Immanuel I:::I::: Gruppo Longino-Luce (Mantova)
“Ora et labora”
PREMESSE
NECESSARIE
Il
rapporto tra Martinismo e Massoneria è un argomento ampiamente discusso e
variegato nel quale le opinioni e le scuole di pensiero inevitabilmente
divergono, attenendoci però ai dati storici e ai dati di fatto, è chiaro che
entrambe sono istituzioni iniziatiche con origini differenti, metodi
differenti, strumenti differenti. La Massoneria ha una storia dibattuta: la
nascita ufficiale dell'istituzione come la conosciamo oggi risale all’inizio
del XVIII secolo, sebbene le origini e i passaggi che portarono dalla fase
operativa a quella speculativa non sono chiari né definitivi. Sulla nascita del
Martinismo come fratellanza iniziatica organizzata in “Ordini” invece le cose
stanno diversamente, tutto è più chiaro e ben documentato. Al limite minor
chiarezza esiste su ciò che ha portato alcuni uomini vissuti tra il XIX e il XX
secolo a creare un sistema noto appunto come Martinismo, ma ciò che abbiamo è
più che sufficiente per non cercare risposte nel mito. La storia ci dice che
Martinismo e Massoneria hanno intessuto rapporti abbastanza stretti, buona
parte dei Maestri Passati infatti ebbero a che fare in varia misura con la
Libera Muratoria e i precursori del Martinismo, Martinez De Pasqually e
Willermoz, sfruttarono la Massoneria per innestare in essa altri sistemi,
seppur diversi. Al di là poi dei tanti maldestri tentativi di agganciare l’una
e l’altro, non si può negare che evidentemente diversi massoni sono anche
martinisti, quindi una reciproca attrazione tra i due sistemi deve pur esserci.
Se
escludiamo tutte quelle variabili effimere che portano un massone a cercare il
martinismo, ciò che rimane è veramente degno di nota? Ritengo di sì. Il breve
studio filosofico che segue verte su alcuni punti di aggancio che possono
rivelarsi proficui per percorrere entrambe le strade senza ritenerle
complementari o gerarchicamente ordinate, ma bisogna precisare che le mie
argomentazioni non sono da ritenere programmatiche né puramente speculative.
Esse trovano un senso compiuto per chi cerca di percorrere entrambe le vie
contemporaneamente con profondità e coerenza, conoscendo i contenuti, le
tecniche, gli strumenti e i rispettivi perimetri. Non è necessario per un
martinista essere massone, né per un massone divenire martinista. Il Martinismo
non è una sorta di somma accademia di perfezionamento della Massoneria, né la
Massoneria può dirsi il “ginnasio” del Martinismo, entrambe le vie possiedono
la propria autonomia e conducono a obiettivi differenti con strumenti
differenti, sebbene alcuni elementi possano essere proficuamente equiparati e
reciprocamente sfruttati. Questo scritto si rivolge dunque in primis a tutti
quei Fratelli Liberi Muratori che abbiano scelto la dura strada del Martinismo,
essi solo, forti della loro esperienza collettiva all’interno di un’Officina
massonica e di un arduo e solitario lavoro rituale cadenzato nella catena
martinista, possono cogliere alcune cose non scritte e comprendere lo sforzo
che anima il proprio lavoro. A chi invece percorre l’una o l’altra via ma non
entrambe queste parole comunque si rivolgono, ma in una misura differente.
Senza nulla togliere all’acume di ciascuno, un percorso può essere compreso a
tutto tondo solo da chi lo percorre.
MASSONERIA
vs MARTINISMO
Il
breve e lacunoso studio che segue si incentra su quelli che possono essere i
punti d’aggancio tra pratica della Libera Muratoria e del Martinismo, prendendo
in esame in particolare il primo grado in entrambi i sistemi. La domanda che
sorregge la riflessione si può porre in questi termini: quali tipi di affinità
sussistono tra il grado di Apprendista nella Massoneria e il grado di Associato
nel Martinismo? A mio modo di vedere la duplice appartenenza può essere vissuta
proficuamente se, e solo se, si percepiscono le autentiche dimensioni dei due
sentieri che nel primo grado delle rispettive scale vengono delineate nelle loro
basi. Prima di procedere con i parallelismi è utile indicare le differenze
sostanziali tra pratica massonica e pratica martinista, non perché tali
differenze indichino incompatibilità, quanto piuttosto perché delineano
precisamente il terreno sul quale ci si muove ed evitano che si cada nel
classico errore di considerare un sistema propedeutico o perfezionante l’altro.
Intendiamoci, in qualche modo il massone che pratichi il Martinismo troverà
sempre che una cosa completa l’altra, ma rimane una questione di esperienza
individuale che non può essere sistematizzata. Innanzitutto si diventa
martinisti per mano di un Iniziatore, il quale è sempre tale e in qualsiasi
momento ha la facoltà di associare chi vuole, senza passare per meccanismi di
voto. Esiste un riconoscimento dell’Iniziatore il quale riveste tale facoltà in
quanto a sua volta ha ottenuto il potere di iniziare da un altro Iniziatore e
via dicendo: per i dettagli sul meccanismo rimando ad altri scritti che meglio
approfondiscono l’argomento. Nella Massoneria, quanto meno in quella
“regolare”, non esiste un iniziatore nel senso proprio del termine, piuttosto
esistono Fratelli con il grado di Maestro che, a seguito di meccanismi di
delega collettivi, detengono provvisoriamente, per l’arco del loro mandato, la
facoltà di iniziare profani alla Libera Muratoria; tali Fratelli sono detti
Maestri Venerabili e contestualmente alla facoltà di iniziare detengono il
potere di presiedere e rappresentare la propria Loggia; terminato il mandato
perdono la facoltà di iniziatori. Nessun Ex Maestro Venerabile, e in generale
nessun Maestro, può iniziare un profano all’Arte Muratoria se non è il Maestro
Venerabile in carica della Loggia in cui viene accolto il profano, mentre un
Iniziatore martinista, genericamente parlando, possiede tale facoltà, inoltre,
almeno questo vale nel SOGM, un Iniziatore non corrisponde necessariamente con
il Filosofo, ovvero con chi presiede una Loggia. Questa prima differenza
delinea già uno spartiacque netto tra Massoneria e Martinismo e permette di
intuire quanto siano differenti i concetti di iniziazione nell’uno e nell’altro
sistema, più specificatamente nel Martinismo al primo grado si parla di
associazione, mentre in Massoneria si parla di iniziazione solamente per il
primo grado, mentre per i successivi si parla rispettivamente di “aumento di
paga” ed “elevazione”, facendo così capire che l’iniziazione massonica coincide
con il momento in cui, dopo aver visto la Luce, il profano viene accolto dalla
collettività dell’Ordine come Libero Muratore. Un’altra pregnante differenza
tra le due vie è la dimensione del lavoro, che in Massoneria è prettamente
collettiva, mentre nel Martinismo è individuale; a volte questa differenza è
proprio ciò che spinge alcuni massoni a cercare nel Martinismo una dimensione
maggiormente profonda nel lavoro individuale che permetterebbe di colmare le
lacune legate al lavoro collettivo. Ora, sebbene l’impulso iniziale di questa
scelta possa essere salutare, non bisognerebbe cadere nell’errore di
sottovalutare la dimensione collettiva, perché se il massone disprezza il
lavoro comune farebbe bene a porsi in sonno. La pratica della Libera Muratoria
avviene in una dimensione esclusivamente collettiva, in cui i lavori della
propria Officina debbono essere frequentati e in maniera proficua, non solo
perché i Regolamenti prescrivono ciò in maniera vincolante, ma anche perché se
ciò non avviene decade completamente il senso dell’appartenenza massonica. E’
nella cadenza costante delle Tornate di Loggia che la Massoneria si vivifica
come sistema di crescita tradizionale, la partecipazione meditata alla
ritualità è un elemento fondante che consente al Fratello di evolvere nel tempo
e di entrare nel cuore dell'Arte Muratoria. Separati la Squadra e il Compasso e
chiuso il Libro Sacro, il Fratello torna ad operare nel mondo profano cercando
di influenzarlo, irradiando le più elevate virtù massoniche, ma di fatto il
lavoro massonico vero e proprio termina lì. Non esiste, al di là dello studio
individuale che viene lasciato interamente alla discrezionalità del soggetto,
una ritualità o una serie di pratiche che permettano ad un massone di
"operare" in qualche modo la Libera Muratoria, questo almeno è ciò
che avviene nella Massoneria regolare, autentica e tradizionale. L'appartenenza
martinista invece pare fondarsi proprio sulla costante ripetizione della
pratica individuale, nella forma della ritualità che viene consegnata
all'Associato e nei gradi seguenti. Il martinista vive una dimensione
collettiva su un piano sottile innanzitutto, solo successivamente, in misura
minore e senza obbligo alcuno vive anche una dimensione collettiva fisica che
si esplica nelle riunioni di Loggia o di Gruppo, laddove ci sia questa
possibilità. La crescita di un martinista viene resa possibile dalla vivificazione
dei carismi iniziatici ricevuti personalmente dal proprio Iniziatore solo
attraverso una integerrima pratica della ritualità quotidiana e mensile,
all'interno della quale si viene a conoscere in misura molto profonda la
dimensione collettiva intesa come appartenenza alla catena eggregorica della
quale il Fratello/Sorella diventa, con il progredire dei suoi lavori, anello
sempre più temprato. E' fondamentale cogliere questi due aspetti perché parlano
molto dell'identità delle due Fratellanze e permettono di meglio apprezzarne i
punti di contatto.
L’APPRENDISTA
E L’ASSOCIATO
Ritorniamo
alla domanda iniziale: quali tipi di affinità sussistono tra il grado di
Apprendista Libero Muratore e il grado di Associato Incognito? Per fornire
spunti parziali di riflessione ritengo opportuno partire dall'analisi di alcuni
aspetti rituali e simbolici del primo grado della Massoneria Azzurra che
paragonerò ad altri aspetti propri del grado di Associato Incognito, ma sempre
tenendo bene a mente che non esiste una propedeuticità di qualche tipo, semmai
il Martinismo opera in una dimensione maggiormente verticalizzata. Il grado di
Apprendista racchiude nel proprio simbolismo il seme e le basi di tutta l’Arte
massonica, ecco perché si tende a lavorare per lo più in primo grado nelle
Logge. Il rituale di iniziazione ricorda ad ogni Fratello il lungo iter passato
per potersi avvicinare all'Istituzione, le attese e le molte interviste
affrontate in fase di tegolatura, fino al fatidico momento in cui l'attesa
snervante cessa e di colpo ci si ritrova catapultati in un nuovo mondo. Ogni
volta che si assiste all'iniziazione di un profano si ritorna a quei momenti e
si rimette in discussione il proprio essere massoni, specialmente rammentando
il momento probabilmente più drammatico dell'iniziazione massonica: il
Gabinetto di Riflessione. Nell'economia del simbolismo rituale la permanenza
nel Gabinetto (che nella ritualità di famiglia Scozzese è riccamente decorato
di simboli) è probabilmente il momento più vicino all'intimità e alla solitudine
di un Associato Incognito perché in quei lunghi minuti che separano il profano
dal dramma rituale che verrà, il candidato all'iniziazione rimane solo con se
stesso nell'oscurità a riflettere sulle proprie scelte, paradigmizzate dalle
tre domande del testamento. Il Gabinetto di Riflessione rappresenta il primo
dei quattro viaggi simbolici che il profano compie durante la propria
iniziazione. I successivi tre viaggi avvengono nel Tempio, bendati, ma il primo
avviene nel profondo delle proprie paure, nelle viscere dell'elemento Terra e
da il via alla radicale opera di purificazione dalle scorie della profanità per
predisporre il recipiendario alla visione della Luce. La purificazione con gli
elementi nella ritualità massonica è simbolica, ma per un Associato Incognito
avviene costantemente nell'arco di tutta la sua vita martinista. Anche
l'Associato, seppure in maniera differente, compie i quattro viaggi e le
quattro purificazioni degli elementi nel rituale di associazione, ma
mensilmente, in luna nuova, continua l'opera di purificazione che non è solo
simbolica ma effettiva; esiste un certo parallelismo nei processi di creazione
di un Apprendista e di un Associato: l'Associato vive la propria
"tegolatura" come un confronto con sé stesso e i propri peccati nella
Meditazione dei 28 giorni, viene consacrato dal proprio Iniziatore che lo
associa all'Eggregore e compie successivamente la purificazione degli Elementi,
è come se alcuni elementi simbolici del percorso muratorio venissero resi
operativi, espandendoli e ripetendoli ciclicamente. Questo ancora una volta
dimostra come il percorso massonico avvenga in una dimensione orizzontale e
geometrica, come ci ricorda molto bene Arturo Reghini, mentre il percorso del
Martinismo è finalizzato alla verticalizzazione dell'esperienza iniziatica. Il
rituale di iniziazione all'apprendistato massonico prosegue, dopo le prove
legate ai viaggi elementali, dopo il giuramento sulla coppa delle libagioni che
scava uno spartiacque invalicabile tra la profanità e l'iniziazione (elemento
presente anche nella ritualità associativa del Martinismo), con la tanto attesa
visione della Luce. Il profano viene sbendato e poco dopo le luci del Tempio si
accendono e i futuri Fratelli mostrano il loro volto. Dopo la Promessa Solenne
l'iniziando viene condotto al cospetto del Maestro Venerabile che, con la spada
fiammeggiante e il maglietto, inizia il profano alla Libera Muratoria e lo crea
Apprendista. Ho già scritto in merito alla profonda differenza che sussiste tra
il potere iniziatico delegato di un Maestro Venerabile in una Loggia massonica
e il potere iniziatico effettivo e personale di un Superiore Incognito
Iniziatore. Non starò a insistere tuttavia sul fatto che l'iniziazione
massonica sia virtuale rispetto a quella martinista, in realtà sono due cose
diverse, ognuna finalizzata al proprio scopo, quindi un confronto diventa
plausibile esclusivamente sotto gli auspici dello spirito che anima il presente
lavoro, in cui ci immaginiamo un massone, nello specifico Apprendista, che cerca
di vivere con coerenza la sua vita massonica e la sua vita martinista. Ritorna
ancora una volta l'idea di un piano orizzontale della Massoneria, in cui viene
data la Luce, simboleggiata da una serie di simboli (le Tre Luci al centro
della scacchiera e dietro all'Ara, il Triangolo luminoso dietro al Maestro
Venerabile, i due Luminari ai lati del Triangolo) per il tramite un sistema
corporativo di delega iniziatica con l'ausilio di un altro simbolo, la spada
fiammeggiante. Come “riceve la Luce” un Associato al Martinismo? L’innesto di
un individuo nella catena martinista riverbera come un’onda e abbraccia la
lunga catena che va dai Maestri passati, conosciuti e sconosciuti, passando per
tutti gli anelli attivi fino a ritornare al nuovo arrivato, il nuovo Associato
Incognito, che non la riceve vedendo i suoi nuovi Fratelli e Sorelle e i
simboli, bensì si vela al mondo profano per ricevere il carisma della Vera Luce
e per apprestarsi a divenire ricettacolo del Fuoco dello Spirito e Luce egli
stesso. E’ un dinamismo che possiede un momento angolare diverso, non mi viene
in mente null’altro se non la verticalità in rapporto all’orizzontalità.
La
vita in Loggia di un nuovo Apprendista è caratterizzata dal silenzio, la regola
impone infatti, senza eccezione alcuna, che gli Apprendisti non abbiano diritto
di parola in Officina durante i Lavori, ovvero quando la Squadra è sovrapposta
al Compasso. Il silenzio dell’Apprendista viene vissuto come la ricerca
dell’autocontrollo finalizzato alla riflessione profonda in seguito
all’ascolto, solo tacendo (il Silenzio è uno dei voti ermetici) egli può udire
la voce della sua coscienza e imparare a spogliarsi dei metalli e a lavorare la
Pietra Grezza. L’Associato Incognito ha già superato la soglia nel silenzio,
nel senso che già è entrato nel profondo della sua coscienza e si è confrontato
coi suoi demoni, rivestito dei simboli comuni a tutti i gradi del Martinismo
egli è pronto, col beneficio della protezione eggregorica e col carisma
trasmessogli dal suo Iniziatore, a navigare nell’immenso mare del silenzio
iniziatico, cullato dal salmodiare dell’opera cardiaca. Il lavoro operativo
dell’Associato è cardiaco, per lo più, e nella preghiera si rende liquido il
muro che separa il suono dal non suono e si entra nel suono del cuore, preceduto
dal silenzio della mente. L’Apprendista impara la disciplina orizzontale del
silenzio, osservando il movimento dei Luminari e degli astri nella mappa
geografica del cosmo che è il Tempio; dalla posizione della sua Colonna tace e
impara l’alfabeto dei simboli che parlano al cuore, egli infatti “non sa né
leggere né scrivere”, egli sgrossa a fatica la Pietra Grezza e cerca di trovare
un senso ed una geometria nelle mappe del macrocosmo, fino a che non si
accorgerà di essere il burattinaio di se stesso e allora si troverà
d’improvviso al centro delle Tre Luci. Nel centro della scacchiera, dove i
sentieri della Luce convergono, l’Associato che sia anche Apprendista
Sgrossatore di Pietre, non si limita ad osservare il macrocosmo attorno a sé,
ma realizza di essere il riflesso di quel macrocosmo e si identifica col Quadro
della sua Camera innalzando sopra di sé lo sguardo. Egli allora scopre che il
soffitto della Loggia si apre sull’infinito cielo stellato e lì, nel silenzio
della sua condizione, chiama a sé la Luce dall’alto per trasportarla in basso e
poi trasmetterla in ogni direzione. E’ nella consapevolezza della verticalità
che l’Associato impara il rito della Croce detta cabalistica. Ma si badi bene,
e lo ripeto per l’ennesima volta, che questo non significa suggerire un nesso
di causa ed effetto tra lavoro muratorio e lavoro martinista, questo può
accadere se si percorrono le due vie, ma può benissimo accadere anche se ne
viene percorsa una delle due o nessuna.
L’OFFICINA,
IL TEMPIO, IL QUADRO
Il
percorso dell’Apprendista deve necessariamente svolgersi nel luogo fisico
denominato Loggia, decorato secondo la simbologia tradizionale della Libera
Muratoria. E’ qui che si compiono i rituali codificati e accettati dalla
Comunione massonica. Codesti rituali possono essere posti in atto solamente
nelle occasioni collettivamente condivise e ratificate dalla Comunione e non ne
esiste una controparte individuale. Sarebbe quantomeno bizzarro scoprire che un
massone a casa propria ha allestito un tempietto massonico nel quale compie gli
“architettonici” lavori in solitudine, magari adattando i rituali di Loggia ad
una pratica solitaria, eppure tali aberrazioni esistono, anche se evidentemente
si tratta di patetici fraintendimenti. Sebbene la Loggia massonica possa essere
concepita come itinerante e provvisoria, a partire dal tracciamento e
cancellazione del Quadro di Loggia, generalmente il Tempio esiste fisicamente
ed è fisso, al di fuori di esso esiste solo la mente creativa del massone che
si sforza di penetrare nella meditazione e nella speculazione i simboli, “con
atti di pensiero e umori cerebrali”, per citare Franco Battiato. Nel caso del
Martinismo il luogo fisico della ritualità collettiva sembrerebbe molto meno
fisso e codificato. Una riunione rituale martinista da più l’idea evocata da
Gesù nel Vangelo di Matteo: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
io sono in mezzo a loro”[1].
Esistono ovviamente delle consuetudini e delle regole, dei simboli fissi, ma il
percorso del martinista si esplica anche solo tenendo presente questa
simbologia senza viverla fisicamente nella dimensione collettiva. Ogni
martinista possiede il suo Oratorio, che si tratti di una stanza o di una
mensola, ma soprattutto fin dal grado di Associato sa esattamente come entrare nell’Oratorio
interiore per connettersi all’ininterrotta catena iniziatica; ciò avviene
attraverso una ritualità quotidiana che manca completamente nella via
massonica. Va detto e ripetuto che un adeguato bilanciamento tra i due modi di
praticare non può che essere un arricchimento per colui che si riconosca
martinista e nella Fratellanza dei Liberi Muratori. Sebbene alcuni elementi
della Loggia martinista in grado di Associato siano paragonabili ad elementi
della Loggia massonica in Camera di Apprendista, nondimeno anche in questo caso
esistono dimensioni differenti che marcano gli opportuni e reciproci perimetri.
Nel Tempio massonico ricorre una geometria sofisticata che combina il tre e il
quattro. Al centro del Quadrilungo, comunemente noto anche come pavimento a
scacchi, si trovano i Tre Pilastri di Saggezza, Forza e Bellezza, riverberati
dall’Oriente e dalle statue di Ercole e Minerva, resi operativi dai dignitari
conosciuti come le “Luci” (Maestro Venerabile e Sorveglianti) e condensati
nelle tre luci dietro all’Ara. Nel Tempio Martinista predomina maggiormente il
numero 4, in riferimento alla quadruplicità della manifestazione e al
Tetragramma, che vela o meglio in sé contiene il numero 5, ma va detto che il
numero 3 nel grado di Apprendista, pur dominando sotto tutti i punti di vista,
cela il numero 4 (i Tre Viaggi dell’Apprendista, ad esempio, sono in realtà
quattro se consideriamo il viaggio della Terra nel Gabinetto di Riflessione,
mentre il ricorrere del numero 3 è sempre fisicamente orientato in un contesto
quadrangolare). Le Tre Luci e il numero 3 nel Tempio martinista si ritrovano
nel Trilume e nei Tre tappetini “alchemici”, oltre che nei tre simboli
principali del Martinismo: maschera, mantello, cordone. Nel Tempio massonico
tutto è espanso architettonicamente, come ad esempio le due Colonne,
tradizionalmente una bianca e una rossa, sormontate dalla melagrana e dal globo
terrestre, recanti le lettere J e B su cui non mi dilungo perché ogni
spiegazione è ampiamente disponibile presso varie fonti di pubblico dominio. Al
centro del Quadrilungo però, tra i Tre Pilastri e in definitiva al centro
fisico della Loggia, trova posto il cosiddetto Quadro di Loggia, il quale viene
tracciato o appoggiato in un dato momento del Rituale di Apertura dei Lavori del
grado e cancellato o rimosso nella Chiusura rituale dal Maestro delle
Cerimonie. Ritengo che un punto significativo di aggancio tra Massoneria e
Martinismo sia proprio la presenza del Quadro che anticamente (e anche oggi in
diverse Officine) veniva tracciato in maniera stilizzata con un certo
diagramma, mentre per lo più odiernamente consiste in un vero e proprio quadro
che riporta dipinti i simboli architettonici principali del grado (c’è un
Quadro diverso per ogni grado), quasi si trattasse di un Tempio condensato in
un’immagine. Il Quadro assume in un certo senso la funzione di mandala e di
sigillo evocativo e a mio modo di vedere risuona con il Tempio fisico del
Martinismo. Il seggio-altare del Filosofo o dell’Iniziatore riporta in sé tutti
gli elementi del Tempio stesso: le Colonne sono ai lati dell’altare o su di
esso, sono una bianca e una nera, e alla loro base riportano i rispettivi
simboli: i tre tappetini alchemici, la spada cruciforme da un lato, la
maschera-mantello-cordone dall’altro. Tra di essi si trova il Libro Sacro, cioè
il Vangelo di San Giovanni aperto all’incipit, lo stesso delle Logge Azzurre
dei Liberi Muratori, denominate anche Logge di San Giovanni, sovrapposto ad
esso vi è il Pentacolo martinista nel grado appropriato, proprio come nella
Loggia massonica si trovano Squadra e Compasso accuratamente sovrapposti,
dietro si trova il Trilume, insieme al Cero dei Maestri Passati. Se questi
elementi, con le dovute differenze esteriori, vengono espansi nel Tempio
Massonico e poi condensati nel Quadro di Loggia, nel Tempio martinista si
trovano già saldamente condensati all’Oriente per divenire Quadro sempre
presente, come se i lavori martinisti fossero “tracciati” a mo’ di sigillo e
chiave d’accesso al regno dello Spirito, e in effetti così è, anche in virtù
dell’invocazione del Nome che tutto infiamma e che non si ritrova nel rituale
massonico. La preghiera e di conseguenza la fase cardiaca purtroppo sono venute
a mancare nell’evoluzione rituale della Massoneria. Non mancano interessanti
esempi a tal proposito, come la ritualità Emulation e la ritualità delle Logge
Azzurre Rettificate, ma l’invocazione rimane piuttosto distante dal lavoro
sullo Spirito. Non dimentichiamo che molti elementi della ritualità collettiva
martinista hanno subito una pesante influenza strutturale massonica, a questo
si devono determinate somiglianza, ma non si tratta di una caratteristica
esecrabile se ponderata con i pesi adeguati, al contrario dimostra come,
nonostante le molte e radicali differenze tra le due Fratellanze, esiste
qualcosa di comune a cui entrambe hanno attinto. Una pratica in particolare a
mio avviso denota una forte comunanza operativa, forse anzi si tratta
dell’unico elemento operativo comune, ovvero la Catena d’Unione. Nella Loggia
Massonica essa è simboleggiata dal cordone intervallato dai nodi d’amore che
circonda l’intero perimetro interno del Tempio e come rituale viene posta in
essere prima della chiusura dei Lavori, come avviene nella ritualità
martinista, per altro con modalità fisiche simili. Ricordo ancora una volta che
la Catena d’Unione per il martinista diventa una pratica costante che travalica
la dimensione fisica e momentanea del rituale.
IL
GREMBIULE E IL MANTELLO
In
questa disamina non possono mancare cenni all’abbigliamento rituale delle due
tradizioni; è l’elemento che forse più porta a riflettere, spesso compiendo
arbitrari accostamenti che però si rivelano poco plausibili, come quello tra
Maschera e cappuccio. La Maschera del martinista, presente ai piedi di una
delle due Colonne del Tempio e indossata in determinati contesti rituali,
indica l’abbandono della propria personalità profana per divenire “Incogniti”,
Sconosciuti, come ci ha insegnato il nostro Venerabile Maestro Passato
Louis-Claude De Saint Martin; questo atteggiamento favorisce la spoliazione dai
“metalli” che appesantiscono la nostra profanità al fine di ascendere e
trascendere l’orizzonte visibile degli eventi di questo mondo; in tal senso la
Maschera diviene anche “lente” che permette di vedere le cose al di là dei
punti di vista. Il cappuccio massonico invece ha principalmente una funzione
strumentale legata alla necessità di non svelare l’identità profana dei
Fratelli all’iniziando cui la Luce viene data gradualmente. Quando nel rituale
di iniziazione il profano è bendato i Fratelli sono a volto scoperto, ma non
appena gli viene tolta la benda si trova circondato da massoni incappucciati, i
quali si tolgono il cappuccio “al terzo colpo” del maglietto del Maestro
Venerabile, segno che la Luce scaturisce pienamente e liberamente a beneficio
dell’iniziando che è in grado finalmente, in virtù della Luce che viene
dall’Oriente, di rileggere il mondo con gli occhi della Fratellanza. E’
importante sottolineare che in un consesso massonico l’identità profana non
viene cancellata o celata, piuttosto viene rettificata e sublimata, illuminata
dalle virtù muratorie; il massone concorre direttamente a portare un raggio di
Luce nel mondo poiché sa utilizzare gli strumenti del mestiere con i quali egli
misura se stesso e il mondo, sgrossa, livella, circoscrive, costruisce. Il
massone nella Loggia e nell’Obbedienza viene conosciuto col proprio nome
profano, non assume uno ieronimo. Nella catena martinista, all’atto
dell’associazione, si assume un nome iniziatico che rimane per sempre la
propria “maschera” e che, insieme alla maschera vera e propria, pur celando,
non nasconde ciò che non deve essere visto, ma oscura ciò che ai fini del
lavoro iniziatico è illusorio; si tratta di una differenza sottile ma
pregnante, senza contare che comunque benda e cappuccio massonici mantengono un
utilizzo circoscritto ad un dato frangente rituale per poi scomparire, mentre
la maschera trova posto addirittura sull’altare e tra i simboli fondamentali
del Martinismo. Il mantello del martinista, come quello dell’Eremita dei
Tarocchi, protegge dalle influenze esterne e completa il compito isolante della
maschera, in questo senso è decisamente più affine al paramento massonico per
eccellenza, il Grembiule, il quale ha una valenza protettiva essendo strumento
da lavoro e va sempre indossato, insieme ai Guanti, durante i Lavori
architettonici; in particolare l’Apprendista indossa il Grembiule con la
bavetta rialzata, per indicare la maggiore protezione cui deve essere soggetto
durante il suo lavoro caratterizzato dall’inesperienza; un surplus di
protezione che viene garantito anche all’Associato diligente che ancora non è
pienamente agganciato alla catena ma ne è associato. Inoltre il Grembiule
dell’Apprendista, così indossato, raffigura la sagoma della Pietra Cubica a
Punta (che unisce il Quadrato al Triangolo), prefigurando successivi segreti
del mestiere. La “divisa” martinista è caratterizzata dall’Alba e dal Cordone,
di diversi colori a seconda del grado, quello da Associato è nero. Analogamente
il Grembiule varia nel colore e nelle decorazioni a seconda del grado;
l’Apprendista ha un Grembiule bianco. Potrei azzardare dunque che il Grembiule
racchiude in sé le funzioni del Mantello e del Cordone martinista, mentre i
guanti, simbolo di purezza, si avvicinano alle accezioni dell’Alba; il
complesso relativo alle capacità simboliche dell’Apprendista, all’ordine del
suo grado e all’obbligo del silenzio possono essere in certa misura paragonate
all’uso della Maschera e del Cordone; ovviamente non è possibile redigere una
tabella esatta di corrispondenze ma solo evocare analogie che si arricchiscono
col lavoro meditativo. Non bisogna inoltre dimenticare che il martinista si
avvale di propri strumenti del mestiere che in grado di Associato sono il
Pentacolo, il Vangelo di Giovanni e il Lume individuale, ma lascio ai Fratelli
e Sorelle ulteriori riflessioni in merito a possibili analogie con gli
strumenti del mestiere a disposizione dell’Apprendista, in quanto se è vero che
gli strumenti massonici derivano dai tradizionali strumenti dei mastri
tagliapietre operativi, è altrettanto vero che il martinista, fin dal grado di
Associato, si avvale di strumenti che non è possibile citare in questa sede,
non per desiderio di segretezza, ma per necessità di non impoverire la forza di
tali strumenti e lasciarli velati sotto il Mantello legato dal Cordone.
CONCLUSIONI
La
storia del Martinismo ha purtroppo offerto, e continua ad offrire, tristi
esempi di come i famosi cavoli a merenda siano sempre fuori luogo, e la storia
della Massoneria non è certo da meno. Quando queste due venerabili e
rispettabili Fratellanze si incontrano, emergono spesso più ombre che luci.
Molti dei Maestri Passati del Martinismo hanno tentato improbabili connubi
docetici e operativi con la Massoneria, più spesso tralasciando la vera
Massoneria, che è quella Azzurra e Simbolica, per addentrarsi in un arcobaleno
di gradi di perfezionamento senza capo né coda. E’ facile scambiare i ruoli e
pretendere di innestare elementi estranei negli alti gradi di certa Massoneria,
salvo dimenticare che la Libera Muratoria non prevede in alcun modo la pratica
della preghiera, della terugia e del sacerdozio. Forse alcuni caratteri di
queste funzioni vengono esplorati a livello speculativo, ma la Massoneria non
ha come scopo il perseguimento e la pratica di queste strade, mentre il
Martinismo va in questa direzione, sebbene ogni singolo martinista sia libero
di scegliere in quale direzione andare in base alle proprie attitudini. Nulla
vieta che un Associato rimanga tale per il resto dei suoi giorni se nel grado
trova la sua quadratura, mentre un Apprendista Massone è destinato prima o poi
a fare, massonicamente parlando, carriera, si tratta di un meccanismo
inevitabile. Nelle parole parole di certi Maestri Passati invece è rimasto un
tesoro che denota la ponderatezza di chi ha saputo vivere dimensioni differenti
integrandole nella propria esperienza individuale. Questo è il duro lavoro che
un martinista e massone dovrebbe fare, misurare l’orizzonte del macrocosmo per
sgrossarlo fino a trovare il microcosmo e al tempo stesso scrutare le immense
altitudini e i più profondi abissi dentro di sé affidandosi a Dio e al
Riparatore. La Tradizione ci insegna che edifici troppo alti e stretti, troppo
verticali, sono destinati a crollare come la Torre dei Tarocchi, mentre il fumo
dell’incenso sale verso Dio ed è a lui gradito. Insomma, ogni cosa al suo
posto.
A
tutti gli Associati Incogniti che hanno l’onore di essere anche Artigiani
Liberi e di Buoni Costumi, auguro di trovare sempre la strada tra i quadrati
bianchi e neri che porta alla Tavola da Disegno. E’ lì che si fa notte e si
rompono gli indugi e la bussola impazzisce, è lì che inizia la scalata..
nell’Abisso.
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