Il geografo Eugenio Turri nella sua opera “Il paesaggio come
teatro” (1998) definì gli iconemi come “i dati
incontrovertibili della percezione, i dati di partenza dell’operazione
semiotica che ci porterà, a diversi livelli, a riconoscere un territorio o una
regione, con i rapporti interni tra vari elementi, traducibili in segni” e
ancora “le
unità elementari della percezione, il segno di un insieme organico di segni, la
sineddoche, come parte che esprime il tutto delle unità di paesaggio con una
funzione gerarchica primaria. Sono gli elementi che maggiormente incarnano il
genius loci di un territorio e la sua anima vera e profonda, sono il
riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una
società stabilisce con il proprio territorio”. In un percorso
iniziatico nell’ambito della meditazione e della ritualità si entra in contatto
con immensi paesaggi simbolici dei quali si cerca di costruire una mappa,
potremmo quindi traslare il significato filosofico del termine “iconemi”
nell’ambito iniziatico e individuare nei vari simboli, linguaggi, movenze,
cadenze del rituale e degli strumenti, nella fattispecie martinisti, gli
iconemi di questo paesaggio dello spirito. Questo consente di circoscrivere
un’identità del nostro corpus operativo e di perimetrarlo in modo da non cedere
alle facili tentazioni di contaminazione che ne impoverirebbero le
caratteristiche peculiari; il corpus operativo martinista proprio di un Ordine
possiede infatti caratteristiche sue proprie strettamente connesse all’identità
eggregorica che incarna. Dalla consapevolezza profonda dello spazio operativo
in cui operiamo può scaturire quindi una riflessione sulle forme e le dinamiche
dello spazio sacro, inteso non soltanto come spazio fisico o mentale nel quale
si pone in atto l’operatività martinista, ma anche come spazio iconico,
metaspazio nel quale il simbolismo vivente del rituale si stratifica e si
modella in sinergia con l’operatore in un progressivo costruirsi di ponti e
percorsi che rendono comunicanti le varie dimensioni del micro e del
macrocosmo. Solo quando questo spazio
iconico raggiunge la sua completa definizione possiamo dire che dagli iconemi
si è passati allo spazio dell’icona. Nella teologia cristiana d’oriente l’icona
rappresenta il veicolo visibile dell’invisibile, l’essenza stessa del simbolo,
la porta che attraverso l’immagine conduce alla visione dell’archetipo divino
ma che in se stessa non reca alcuna natura divina. L’icona non ha
caratteristiche ontologiche ma attraverso
il concorso dell’ecclesia orante coglie l’ipostasi del Logos nella sua
specifica forma di Eikon e permette di contemplare il Prototipo della divinità
immerso nella luce dell’astrale solare, del mondo archetipo arcangelico, come
durante l’episodio della Trasfigurazione evangelica. Se il testo sacro veicola
l’ipostasi divina attraverso il Logos e l’icona attraverso l’Eikon, il rituale
teurgico, a partire dalle sue forme più basilari già presenti nel rituale
giornaliero martinista, agisce secondo una logica analoga. Non sono i singoli
elementi del rituale presi come tali a segnarne le peculiarità, bensì è la
vivificazione del simbolismo tramite un concorso di elementi materiali che crea
il supporto quaternario ideale per la costruzione di un campo dinamico che
d’ora in avanti denominerò spazio sacro. La simbologia adottata dalla ritualità
martinista, che è tradizionale quindi costantemente nutrita nell’Eggregore, in
un estremo gioco di riduzioni e semplificazioni, combina elementi geometrici e
numerici che si rifanno al quadrato, al numero 4, al numero 3, alla croce, al
cerchio, al triangolo, al cerchio. La peculiarità del modo in cui percepiamo lo
spazio fisico è che si vive in 3 dimensioni ma si proietta in 4 direzioni; lo
spazio sacro sicuramente si proietta in 4 dimensioni, le quali vengono
armonizzate dal cerchio e l’aspetto triangolare richiama l’idea di convergenza.
Tuttavia le 4 dimensioni dello spazio sacro trascendono decisamente l’idea che
possiamo avere di spazio. L’area sacra viene costruita partendo dai gesti
rituali quali, come già detto, sono solo veicoli simbolici che, come i colori e
il supporto ligneo in un’icona, permettono all’invisibile di manifestarsi in
tutti i piani del visibile. I gesti che prevedono la proiezione del pantacolo,
il tracciamento del cerchio, la croce cabalistica ecc generano reti sottili che
attecchiscono nel piano astrale intercettando le correnti trascendenti
provenienti dal piano archetipico e costituendo architetture geometriche basate
sul quadrato e sul cerchio, figure piane sublimate però nel ripetersi frattale
delle tre dimensioni dei corrispondenti solidi nelle infinite dimensioni dei
piani dell’esistenza. Per chi abbia confidenza con la scacchiera massonica, è
come se questo reticolo costituito da linee rette che si intersecano a 90 gradi
venisse a riverberarsi in tutte le dimensioni fino a generare un ipercubo ad
evoluzione infinita, il quale, essendo costituito da infinite proiezioni e
roteando genera un’ipersfera, ovvero una sfera costituita da n-dimensioni.
L’intima relazione che esiste tra il quadrato e il cerchio, come la famosa
quadratura del cerchio, viene suggerita ad esempio nella topologia dove cubo e
sfera sono omeomorfi, cioè possono essere trasformati l’uno nell’altra senza
interromperne la continuità. In questo campo di lavoro il teurgo genera il suo
spazio sacro e il suo ambiente di lavoro, non uno spazio astratto nel senso
intellettuale del termine, ma uno spazio costituito dalle forme primordiali dei
numeri e della geometria, il che in campo teurgico riveste una certa
importanza, come ad esempio ci mostra il “Trattato della Reintegrazione degli
Esseri” di Martinez De Pasqually.
La discriminante tra
astrazione e realizzazione magica è, a mio avviso, nella percezione dello
spazio sacro in cui si opera, uno spazio topologico dove non solo vige un
omeomorfismo tra n-cubo ed n-sfera, ma dove anche i simboli tracciati a loro
volta sono dominati da inediti rapporti matematici (ad esempio l’esagramma
costituito da due triangoli opposti che si intrecciano ha le caratteristiche
topologiche di un grafo euleriano, il che indica che esiste una qualche forma
di tensione matematica che lo permea, ma l’analisi di questo esula dal presente
lavoro). Finché lo spazio sacro viene immaginato sic et simpliciter, esso
rimane un paesaggio immaginario. Per poter adeguatamente percepire lo spazio
sacro il martinista deve porre in atto tutta una serie di pratiche preliminari
il cui scopo è allargare la percezione di sé e del mondo oltre i confini
sensibili, biologici e culturali. L’insieme delle pratiche di concentrazione,
respirazione, visualizzazione, lo studio delle scienze iniziatiche e
filosofiche atto a rimodellare i propri canoni di erudizione, la meditazione,
la riprogrammazione delle proprie priorità esistenziali sui parametri del
percorso iniziatico, tutto ciò insomma che, come scrive Joseph C. Lisiewski,
costituisce la propria sintesi soggettiva, contribuisce a generare giorno per
giorno la percezione dello spazio sacro, a patto che tutto ciò venga scandito
dal ritmo e sostenuto dallo sforzo volitivo, per giungere a saturazione. La
sintesi soggettiva, che costituisce tutto lo sforzo che il discepolo pone in
essere per condensare e unificare il proprio cammino, riguarda l’intero
complesso della propria esistenza ed è solo la cornice preparatoria e
preliminare, l’insieme delle tecniche che permettono di transitare nella Via
Cardiaca. Il rito giornaliero e le pratiche cicliche tipiche di ogni grado
martinista rappresentano, nel continuum temporale, i punti di coagulazione dei
propri sforzi al fine di costruire una solida sintesi soggettiva, sono i
momenti in cui tutto ciò viene posto in atto, in cui tutta la tensione viene
liberata e la percezione può di conseguenza superare le barriere della materia
e metterci in contatto con i piani ulteriori, i piani oltre la nostra esistenza
meramente materiale, in primis in piano astrale inferiore o astrale lunare. E’
importante notare che il contatto con il piano astrale inferiore può avvenire
in maniera spontanea o poco più, come accade ad esempio nei sogni, ma questo
costituisce solamente l’aspetto medianico ed emotivo della nostra esistenza a
prescindere da un percorso iniziatico. Il martinista che ponga in atto la ricerca
cosciente nel cammino rituale cerca invece di immergersi in modo volitivo nel
mare astrale mantenendone il dovuto controllo attraverso la perimetrazione
dello spazio sacro di cui sopra. Tra le tecniche preliminari a mio avviso un
posto speciale occupa la visualizzazione, la quale permette realmente, se ben
sviluppata, di controllare i fluidi e i simulacri che abitano il piano astrale
lunare e di plasmarne a propria volta al fine di meglio astralizzare i simboli
rituali e utilizzarli come strumenti sottili di lavoro; la visualizzazione di
fatto parte come sforzo immaginativo, ma col tempo e l’addestramento permette
di agganciare le istanze che trascendono la dimensione intellettiva e
immaginativa.
Il percorso del grado di
Associato, prevalentemente dedito alla Via Cardiaca, è specialmente dedicato
alla purificazione, che si può aspirare a raggiungere se sono ben chiari i
motivi che precludono la situazione di purezza. Il lavoro in luna nuova
dovrebbe consentire di rischiarare la strada ai riflessi che provengono dai
mondi archetipici superiori, i quali riflessi tendono a venire distorti o
addirittura nascosti dalla torbidità peculiare dell’astrale lunare. Scrivevamo
all’inizio di un paragone tra l’icona religiosa e il rituale martinista; è
interessante notare come i religiosi dediti all’arte dell’icona compiano veri e
propri atti preparatori e penitenziali, oltre a condurre una vita
caratterizzata dalla preghiera, prima di accingersi a dipingere le icone. Nel
lavoro rituale in grado di Associato si fa qualcosa di simile, si prepara il
terreno, si prepara il proprio complesso psico-fisico come si tratterebbe una
tavola di legno per la pittura, si compie un lavoro sulla propria moralità
accompagnato da una prima cesellatura rituale al fine di iniziare a percepire e
costruire quello spazio sacro che, quando si passerà al lavoro in luna piena,
sarà divenuto acqua limpida pronta a veicolare la luce dell’astrale solare
opportunamente filtrata. Lo spazio sacro così preparato, percepito al di là
dell’intelletto nella sua tensione topologica cubico-sferica, è una immensa
tavola da disegno millimetrata e reticolata pronta a dare ordine e senso ai
riflessi di luce che provengono dal mondo dei Prototipi. Nel grado di Iniziato
la ritualità quotidiana diventa così l’occasione per dispiegare lo spazio sacro
e modularlo in modo che sia un portale, un Monte Tabor. L’Iniziato nella sua
scacchiera n-dimensionale dispiegata a partire dai gesti rituali, utilizza la
lama consacrata, autentico strumento di difesa e autorità, per tracciare il
glifo teurgico, la cui origine è da rintracciare nella funzione di marchio e
per estensione sigillo, chiave di chiusura ma anche di apertura a chi ne
conosca il corretto codice. Il glifo teurgico ripropone la cadenza del 4 e il
dinamismo del cerchio, in unione con la lama consacrata o spada magica esso
diventa chiavistello, grimaldello proiettato sul lume individuale, che agisce
nel reticolo della scacchiera n-dimensionale deformando topologicamente le
linee che separano i quadrati per creare una breccia attraverso la quale si
pone in atto l’invocazione teurgica. In Massoneria si dice anche che l’iniziato
percorre la linea mediana che separa i quadrati della scacchiera, che si
alternano tra bianchi e neri.
Arrivati a questo punto
potrebbe risultare ostico capire in cosa consista il lavoro teurgico all’atto
pratico, ma non è possibile in uno studio limitato come questo essere
esaustivi, soprattutto perché l’arte teurgica ha bisogno di essere praticata a
lungo per coglierne la profondità. Rimane comunque abbastanza evidente, a mio
avviso, come l’arte teurgica abbia a che fare col mondo degli archetipi o, per
dirla nel linguaggio della teologia ortodossa, dei Prototipi. Un Prototipo
racchiude in sé qualità divine e al tempo stesso umane, quindi è in grado di
realizzare un possente incontro tra il visibile e l’invisibile in questa Camera
di Mezzo che è l’esistenza, di cui il mondo materiale non costituisce che
l’ultimo stadio di emanazione. La peculiarità della teurgia è quella di
generare le condizioni ideali affinché i Prototipi angelici possano entrare in
comunicazione con l’uomo e riversare la Grazia che permette il percorso di
Reintegrazione. L’atto teurgico non è dissimile da un atto sacramentale, meglio
ancora diciamo che condivide con l’azione sacramentale diverse peculiarità, ma
a sua volta rimane qualcosa di diverso. La ritualità teurgica condivide la
struttura con i sacramenti ma al tempo stesso lavora sulle immagini sublimate
come l’arte delle icone, l’atto teurgico si avvale di un variegato apparato
simbolico in cui entra in gioco la visualizzazione come è tipico delle tecniche
cardiache occidentali, ma al tempo stesso presuppone che si entri in uno stato
sovra-intellettivo raggiungibile solo con la padronanza di alcune tecniche
cardiache tipicamente orientali. Sicuramente è fondamentale che il teurgo
superi le schematizzazioni e le apparenze della vita psico-biologica per
entrare in quello spazio sacro e topologico dove si fa esperienza
dell’invisibile e delle strutture stesse che sorreggono e demarcano i mondi
sottili, per entrare poi in contatto con il mondo degli archetipi e trarne
beneficio quando recherà nel suo percorso a ritroso i doni o “passi” ricevuti.
Ciò che non si da per scontato però è che, nonostante le roboanti parole e
intenzioni di molti estimatori della teurgia, forse appena confusi in merito ad
essa, è che difficilmente si può assurgere direttamente al mondo astrale solare
degli archetipi, questa peculiarità sembrerebbe appannaggio di pochi che per
altro ne sono assurti dopo la morte fisica. Il teurgo, nella migliore delle
ipotesi, può sperare, se ha lavorato bene nei percorsi preparatori, di
beneficiare degli influssi del mondo archetipo angelico attraverso strumenti
mediatori che costituiscono appunto la sostanza dei lavori teurgici.
Un esempio di ciò che nella
vita quotidiana un adepto della via teurgica compie è il lavoro sulle virtù
cardinali e sui vizi capitali, estensione e prosieguo su altri livelli dei
lavori della meditazione dei 28 giorni e dei lavori purificatori. Nella
ritualità quotidiana l’Iniziato mantiene il contatto con le gerarchie
arcangeliche e utilizza gli strumenti di contatto sopra descritti all’interno
dello spazio sacro topologico e, banalmente (o forse non tanto banalmente) non
fa altro che ricercare l’aiuto divino alla maniera teurgica per poter lavorare
in modo radicale sui singoli difetti del suo essere contrapposti alle virtù. E’
chiaro che nello spazio sacro dove si entra in contatto con gli schemi sottili
costituenti l’essere stesso, il lavoro è ammantato, o meglio sintetizzato, da
simbologie tradizionali e il lavoro sulla purificazione trascende, o meglio si
trasfigura, rispetto al lavoro morale dei percorsi preparatori. Per
semplificare possiamo dire che ad ogni Arcangelo corrispondono virtù e vizi,
questi ultimi raffigurati dall’immagine della nera bestia dalle sette teste che
sorge dal mare oscuro e profondo dell’astrale inferiore. Il teurgo, costruito
lo spazio sacro, dinamizzatolo attraverso la deformazione topologica della
scacchiera ipercubica col grimaldello del glifo teurgico e aperta la breccia,
traccia il glifo arcangelico che veicola i carismi dell’arcangelo proprio. E
poi che succede? La domanda andrebbe posta chiedendosi dove tutto ciò accade.
Martinez De Pasqually insegnava ai propri Eletti Cohen che qualche segnale
forse nel mondo fisico appariva ad indicare l’avvenuto contatto con le
gerarchie angeliche, ma forse il Maestro intendeva altro, perché col tempo ho
imparato che le manifestazioni su questo piano, qualora avvengano, sono sempre
estremamente impercettibili. Tutto avviene nel piano proprio di lavoro
all’interno di quello spazio sacro di cui vado cianciando fin dall’inizio e
soprattutto avviene seguendo logiche e regole che trascendono i normali
comportamenti e le classiche dinamiche della vita ilica. Mouni Sadhu nella sua
opera “La Rota Magica dei Tarocchi” ha spiegato in maniera mirabile e fin
troppo chiara che la filosofia iniziatica ragiona per triangoli che diventano
quadrati, ovvero per copie di opposti che generano un terzo elemento neutro;
l’unione dei tre elementi costituisce a sua volta un quarto elemento, il quale
però funge anche da primo termine di una nuova copia di opposti e via dicendo.
Lo scopo dell’iniziato è quello di neutralizzare le copie di opposti in maniera
operativa, cercando il punto d’appoggio per la costruzione dei così detti
“vortici astrali”. Sulla scorta di queste spiegazioni che trovano la loro
origine nella verità della Tradizione, appare evidente come il lavoro sulla
purificazione morale in Via Teurgica sia molto profondamente teso alla ricerca
di quei punti d’appoggio che consentono la generazione dei vortici i quali
nascono nel momento in cui l’Iniziato sia stato in grado, beneficiando
dell’aiuto e dell’esempio proveniente dal mondo angelico invocato nello spazio
sacro, di neutralizzare un vizio e la virtù ad essa opposta. Dove portano i
vortici astrali? La domanda deve rimanere appannaggio di conosce la risposta.
Rimane infine essenziale
capire che la Via Teurgica non deve essere percorsa con l’arroganza di cercare
poteri sovrumani dispensati da entità sovrumane, le quali non sono entità
personali come noi e nemmeno entità astrali inferiori a noi, ma sono entità
Prototipiche, Archetipi divini che non cercano ma dispensano a chi sappia
vedere le immagini divine nello spazio sacro con gli occhi degli Apostoli che
videro la Trasfigurazione non sotto la luce terrestre ma sotto la luce del Sole
superiore. Il lavoro parte sempre dalle concrezioni morali che non ci
consentono di intuire in maniera consapevole il mondo divino e prosegue
specializzandosi sempre con lo stesso scopo, in maniera sempre più profonda e
peculiare, ma sempre sulle impurità si deve lavorare. Ogni altra ambizione è
destinata a crollare miseramente e ad inabissarsi nelle acque profonde se non
si parte da se stessi e dai propri angusti confini umani.
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento