Talia Iniziato Incognito
Il terzo millennio vede
protagonista un uomo fortemente caratterizzato da due dimensioni , quella dello
spazio e quella del tempo. Schiavo della
velocità e della divisione, l’essere umano si rende omologato a schemi sempre
più subdoli di adeguamento ad una vita che non gli si confà nella quasi
totalità degli aspetti. Trascorriamo ore
ed ore della giornata in movimento, rubando numerosi attimi a cose che nel
nostro profondo consideriamo importanti. Ma questo non basta a fermarci. È
essenziale essere in quel posto, nel minor tempo possibile, il più velocemente
e meno disagiatamente si riesca. Lo spazio è inteso come punto di partenza e
punto di arrivo, con un nulla fastidioso ed intermediario. All’uomo della
velocità mancano essenzialmente due cose: l’amore per il viaggio, ed il perché
del viaggio. Entrambi risiedono nella consapevolezza, di ciò che è nella natura e di ciò che è
dentro di noi. Perdiamo e sperperiamo
ogni messaggio che ci giunge dall’esterno a curare e nutrire la nostra parte
più intima, più profonda. E quando
cerchiamo di normare - in maniera alquanto naif –la fuga da queste schiavitù,
soggiaciamo facilmente a rimorsi per un tempo, pur piccolo, non vissuto alla
massima velocità. Parliamo e filosofeggiamo di libero arbitrio, senza neppure
avere la capacità di dosare od ottimizzare i nostri spostamenti
quotidiani.
Gli antichi greci
avevano almeno due parole per indicare il tempo, chronos che indicava il tempo
cronologico, nelle sue dimensioni ordinarie di passato presente e futuro,
insomma il ben conosciuto scorrere delle ore, il tempo logico e sequenziale; e
kairos, un tempo indeterminato e
speciale, il tempo definibile opportuno, la buona occasione, il momento
propizio. Oggi anche l’uomo contemporaneo si abbuffa come il mitologico Crono,
che divorava ciò che aveva generato lui stesso, padre oppressivo e
ossessionato. Kairos – da sempre sconfitto di fronte a Kronos - significa
invece "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo
indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade; è il lampo
straordinario, nel senso etimologico del termine, di fuori dall’ordinario.
Kairos è, secondo Aristotele, il contesto del tempo e dello spazio in cui la
prova sarà affrontata. Questo tempo sfugge costantemente alle definizioni
perché si trova sempre al centro di due concetti, l'azione ed il tempo, e non è mai
completamente da un lato o da un altro. L’uomo contemporaneo, così diverso da
quello del secolo scorso, ma anche sorprendentemente da se stesso proiettato in
una manciata di anni addietro, vive in un contesto ricco di stimoli e
strumenti, ovattato in condizioni – spesso solo apparenti – di conquiste
sociali e culturali, in un’ oasi antropologica in cui poter crescere più
serenamente. Chiunque desideri trovare un’informazione o approfondire un
argomento, lo può fare semplicemente attraverso la rete, e quando desideriamo
metterci in contatto con qualcuno basta usare un cellulare. Siamo sempre
connessi quindi, ma disconnessi da noi stessi. Questa nostra sgraziata enorme
apertura verso l’esterno ci diluisce in potenza nel rivolgerci verso la parte
più profonda di noi, ed inoltre ci espone senza sosta a coinvolgimenti, più o
meno coscienti, in ondate negative che ci trascinano come uno tsunami. Lo
spazio in cui quotidianamente ci muoviamo, pur debordante di opportunità e di
finestre comunicative, ha come caratteristica principale l’omologazione.
L’agorà in cui scendiamo ogni giorno - non per prendere decisioni bensì per
subirle – ha sostituito i templi con nuovi edifici in cui ciascuno ritrova le
convenzioni la cui aderenza appare esteriormente rassicurante. Subiamo quindi
un appiattimento unificante da un lato, mentre dall’altro siamo assaliti da un
perpetuo senso di inadeguatezza, che ci porta a muoversi da un luogo all’altro
motivati soprattutto non dalla ragione ispiratrice quanto dallo scopo
prefissato. Partiamo da un punto per arrivare ad un altro e godere della
conquista di questo ma, in pratica, realmente solo se condivisa. Il progresso
moderno non appartiene pertanto all’individuo ma alla massa; in questo processo
di megavetrina, si accresce lo strato di pelle esposta mentre la parte interna,
raggrinzendo lentamente, marcisce. Nell’antica Grecia invece l’agorà era uno
spazio necessario in cui scendere per matura volontà ed i templi erano luoghi
sacri in cui l’uomo divideva il suo spazio dalla profanità, e ritrovava –
all’interno di un edificio – la parte interna del suo essere. Non vi può essere
estetismo in una ierofania ed i templi infatti erano non-luoghi in cui
concentrare ed incentrare l’innalzamento spirituale. Oggi ci plasmiamo in
direzioni orizzontali, nell’antichità ci elevavamo lungo assi verticali. Come
ogni era ha una sua evoluzione ciclica, anche la nostra epoca si sta
attorcigliando e sta scivolando lentamente verso la sua coda, preparando nuovi
tempi per nuove cose. L’uomo (qualche uomo…) non è più appagato di viaggiare in
superficie, velocissimamente ed incessantemente sotto il sole. L’essere umano
ha da sempre bisogno delle stagioni, così della notte e del giorno, in un
alternarsi di luce ed ombre che fa parte di lui. Ma basta davvero desiderare il
cambio di rotta? Basta provare un forte bisogno perché questo venga trasformato in scelta cosciente? Non
solo è necessario vivere una sorta di variazione di programma, ma per fare ciò
si deve andare a “ripescare” dietro le nostre spalle, e tradurre tutto ciò che
viene rievocato in linguaggio a noi oggi comprensibile. È qui che interviene la
Tradizione che, come un fiume carsico, riaffiora nel momento stesso in cui se
ne ha più bisogno, e siamo pronti a riceverlo a piene mani.
Arte dimenticata ma mai
perduta, la tradizione si esplicita in simboli, rituali, dottrine che colmano
quelle distanze ritenute dapprima insulse e cadenzano un nuovo tempo non
misurabile. Il linguaggio dei misteri diventa attuale e parla all’uomo di oggi
mediante operazioni di rettificazione, individuazione, purificazione che si
sono arricchite – nel corso dei secoli – attraverso le conquiste razionali e
scientifiche ma che continuano ad avere senso in quanto affondano l’origine
nellaprisca sapientia. La tradizione non lascia scampo alla consolazione
improvvisata perché è un albero dalle radici solide e profondissime che dona
frutti maturi e profumati, è un’araba fenice che non si risparmia e torna a
donare tutto ciò che ha mantenuto gelosamente nel suo sangue. Attraverso questa
“trasmissione” riacquistiamo in solidità in quanto il solo desiderio di cambio
di rotta provocherebbe un lavoro così pesantemente faticoso che alla fine ci
sconforterebbe, ci piegherebbe fino a spezzarci. La Tradizione permette di
scivolare più fluidamente verso il nostro progetto di reintegrazione, grazie
alle sue acque possenti arricchite in anni ed anni di scorrimento.
L’uomo amplifica così le
caratteristiche del proprio genio personale, inserito in un’orchestrazione
strutturata ed arcaica, e finalmente liberato dalle illusioni del tempo e dello
spazio, delle forme, dei nomi, dell’apparenza, proteso verso l’universalità,
verso la divina unità. La tradizione
inserisce l’uomo di desiderio in una catena che moltiplica possentemente la sua
volontà e non disperde l’energia generata in elucubrazioni intellettive o in
concetti astratti, ma la concentra e la potenzia nella ricostruzione originale
dell’essere umano. La tradizione oggi è spesso erosa dall’omologazione, dalla
caduta dei valori, dall’esteriorizzazione il formalismo l’apparenza,
caratteristiche delveloce e movimentato mondo moderno, ma conserva intatte le
tessere del mosaico dell’essere divino nell’uomo che è nostra meta ricostruire
e far risplendere. L’iniziato contemporaneo non è più un uomo solo ma è un
solitario che procede su di un cammino al di fuori delle due dimensioni del
tempo e dello spazio; non è più un uomo che corre velocemente sempre sotto il
sole, ma è un calmo pellegrino consapevole
al riparo del suo mantello. È un uomo che riesce ad astrarsi dai vincoli
della società moderna che avverte sempre più limitativi, ed andare oltre. L’iniziato di oggi innalza nuovamente il suo
tempio, edificando giorno dopo giorno il proprio essere, portando con sé il
divino che è riuscito a riportare alla luce, camminando fra le colonne della
propria personalità e rettificando i passi verso la propria essenza. Non si
tratta di un uomo che ha bisogno di edifici né di luoghi ove convenire, ma di
un uomo che porta il sacro ovunque inequivocabilmente dentro di sé. L’iniziato
di oggi si riappropria del piacere del viaggio, cammino lungo cui è possibile
la conoscenza, con occhi di nuovo desti e capaci di cogliere ogni pur minimo
messaggio ci possa far progredire verso la meta.
Non è un uomo che vive
fuori dal tempo, ma è un uomo che è tornato a discernere la differenza, ed a
recuperare finalmente il proprio kairos.
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento