Elenandro
XI S:::I:::I:::
Ancora oggi, malgrado i
decenni che sono trascorsi dall’emotiva polemica scatenata da Arturo Righini,
che ricordiamo era stato anch’esso martinista seppur di grado non troppo
elevato, l’esatta comprensione del nome pentagrammatico pare sfuggire ai più, e
drammaticamente spesso proprio a coloro che dovrebbero trovare in esso
centralità e perenne motore della propria opera.
In quanto, è bene
sottolinearlo, non vi può essere nessun reale avanzamento lungo il sentiero
martinista, senza comprensione (prendere insieme, contenere in se) della reale
estensione, intensità e natura di quella che nel Convivium Gnostico Martinista
correttamente chiamiamo Formula Pentagrammatica.
Già tale nostra
indicazione suggerisce molto, forse anche troppo, su quanto simboleggia “l’irruzione
della Scin” all’interno del Tetragrammaton, e certamente non è il nome del
Cristo fattosi uomo, ma ben altro che nel proseguo di questo lavoro, che sarà
sviluppato in un arco temporale che non può ridursi all’oggi, analizzeremo nei
modi e nelle forme opportune.
Dicevamo Formula in
quanto tale parola ha una varietà di significati e sfumature che ben
tratteggiano il pensiero che noi riserviamo a queste cinque lettere. Il senso
profondo della
Formula Pentagrammatica
va intuito più nel silenzio dell’Opera, che con l’occhio della mente e della
dialettica.
Essa indica gli
ingredienti che determinano un composto. Ebbene questo sono le cinque lettere,
in quanto, e lo vedremo, indicano gli elementi formanti la manifestazione, e
fra essi uno che è unica cagione di trasmutazione.
La formula è una frase
di rito, che viene pronunciata durante dei momenti solenni. Evidentemente ogni
vero martinista sa, o dovrebbe sapere con sua buona pace, che il rituale
giornaliero, così come ogni nostro altro rituale individuale e collettivo, è
momento solenne e sacrale. Chi non si riconosce in tale prospettiva è nel
migliore dei casi un martinista solo apparente, deprivato completamente
dell’aspetto sacrale e magico operativo.
Al contempo la formula è
un insieme di segni e simboli di uso convenzionale, che tramite
l’interpretazione di colui che sa leggerli forniscono utili informazioni in
merito agli elementi, e alle loro
relazioni. Ognuno dei nostri associati sa o dovrebbe sapere quali
corrispondenze sono da ricercarsi in queste cinque lettere, e in cagione della
propria maestria applicarle al bisogno e al momento.
Infine la formula è
un’espressione simbolica che sott’intende delle operazioni, attraverso le quali
è possibile, dati elementi certi e conosciuti, giungere a dei risultati. E come
non cogliere ancora l’evidenza di questo enunciato con la formula
pentagrammatica e le operazioni che essa allude, e suggerisce tramite la forma,
il suono, e la permutazione ?
Ecco quindi che già da
questa breve introduzione
vogliamo sottendere,
come è si enunciazione, ma anche elemento vivificante di transizione fra una
forma precedente e una in divenire. È l’indicazione dell’Opera da compiere, ma
è anche strumento di tale Opera, ed infine è l’Operatore stesso, in quanto nelle
suo sviluppo essa tutto investe e raccoglie in se.
È infatti al termine di
ogni lavoro che il martinista assolve che tale Formula trova collocazione, a
voler indicare che tutto quanto è in sua ragione preparatorio, ed essa è
l’architrave che regna sull’intero Tempio Martinista, e la corona di cui si
deve cingere l’iniziato.
Il rito giornaliero, ed
ognuna delle sue articolazioni e completamenti, così come da noi è in uso, in
essa trova finalizzazione. Identicamente
i riti di loggia prevedevano che il filosofo la pronunci con vigore e maestria,
e quanta tristezza quando la troviamo decaduta a mero orpello dialettico, quasi
si fosse in presenza di dilettantesche recite, prive di arte, di passione, di
intelletto. In quanto è con essa, con il simbolo (yantra) e la vibrazione della
parola di potere (mantra) che il Filosofo irradia la luce che fende le tenebre,
e la forza sorretta dall’amore e indirizzata dall’intelletto plasma la materia
bruta. Il martinista, di ogni Ordine e Grado, si dovrebbe ben ricordare che è
stato proprio attraverso tale suono che ha potuto essere accolto nella nostra
antica ed operosa fratellanza. Solamente queste semplici osservazioni
dovrebbero suggerire in ognuno di noi un’attenzione particolare, uno studio
costante, una passione intensa, verso di essa. Purtroppo come spesso accade si
confonde la forma per la sostanza, e si perde di vista ciò che realmente è
fonte di senso e significato.
“Ciascuno vede ciò che
si porta nel cuore.” ebbe a dire Goethe, che sicuramente molto sapeva sui
simboli. Così ognuno di noi, in virtù dell’amore e del genio personale,
intravede nel simbolo centrale del martinismo un qualche significato.
L’aforisma utilizzato vorrebbe però suggerire, valevole per la formula
pentagrammatica così come nella comprensione di ogni simbolo, che è
necessario andare ben
oltre lo studio, spesso svogliato, e piatto di quanto appare (forma), e
procedere tramite la via del cuore, della pratica reale, per permettere che la
Formula abbia a fiorire, e sviluppare la propria azione trasmutativa.
Se tale lettura è
sovente difficoltosa per colui che giornalmente interagisce, o dovrebbe farlo,
con essa, posso immaginare il malevolo profano completamente arido nel cuore
che non comprendendone i misteri e la genesi, finisce col riversare sugli altri
la propria ottusa cecità.
Comportamento spesso
riscontrabile in certi mediocri epigoni di maestri reali o presunti, che hanno
impegnato la propria vita a giudicare tutto fuorchè se stessi, condannandosi
spesso a curiose giravolte, consone più
di una sala da ballo che non di un ambiente iniziatico. È fra gli altri il caso
di Guénon che fino a quanto era martinista trovava conforto e prestigio nel
trattare della formula pentagrammatica, salvo poi ricredersi su essa una volta
allontanato dall’Ordine. Riportiamo qui un suo breve studio inserito
all’interno di un lavoro più ampio dedicato ai numeri.
“Se il centro della
croce è considerato come il punto di partenza delle quattro braccia, esso
rappresenta l’Unità primordiale; se invece lo si considera come il loro punto
di intersezione, non rappresenta che l’equilibrio, riflesso di questa Unità. In
questo secondo significato, è designato cabalisticamente mediante la lettera
scin, la quale posta al centro del tetragramma הוהי , le cui quattro lettere figurano
sulle quattro braccia della croce, forma il nome pentagrammatico הושהי , sul
significato del quale non insisteremo qui, non avendo voluto che segnalare
questo dato di sfuggita. Le cinque lettere del Pentagramma si pongono alle
cinque punte della Stella Fiammeggiante, figurazione del Quinario, che
simboleggia più particolarmente il Microcosmo o l’uomo individuale. La ragione
di questo è la seguente: se si considera il Quaternario come l’Emanazione o la
manifestazione totale del Verbo, ogni essere emanato, sottomultiplo di questa
emanazione, sarà ugualmente caratterizzato dal numero quattro; esso diventerà
un essere individuale nella misura in cui si distinguerà dall’Unità o dal
centro emanatore, e abbiamo appena visto che questa distinzione del Quaternario
dall’Unità è precisamente l’origine del Quinario. “
(Guénon Osservazioni
sulla Produzione dei Numeri. . Pubblicato in La Gnose, giugno-luglio-agosto
1910 con lo pseudonimo Palingenius, inserito nella raccolta postuma René
Guénon, Melanges (Gallimard, 1976). Pubblicato in italiano sulla Rivista di
Studi Tradizionali n° 34, Gennaio-Giugno 1971 e presente nella raccolta René
Guénon, Il Demiurgo, Adelphi, 2007. )
Promettendo di tornare
su quanto riportato in merito al passaggio dal quaternario al quinario, e
sottolineando come esso suggerisca che è necessario approfondire ciò che
precede, per meglio comprendere ciò che segue, vorrei evidenziare questa
espressione della Formula Pentagrammatica, che risulta essere quella da noi
impiegata nel Convivium Gnostico Martinista, e che assume centrale importanza
nei nostri quattro riti di Luna Piena.
L’evidenza della Scin al
centro è resa distinguibile dal rosso
con cui è marcata, che trova contrasto nel nero delle altre quattro lettere.
Visto che niente nelle strutturazioni rituali ed operative è lasciato al caso,
o almeno così dovrebbe essere, è lecita aspettativa interrogarsi su tale
artificio. Indubbiamente siamo innanzi, come si indicava nelle prime frasi di
questo lavoro, ad un’irruzione, ad un rompere una precedente continuità ed
identità. Ciò da vita ad un prima ed ad un dopo (temporali), così come ad una
nuova forma, ma al contempo ad una nuova sostanza. In quanto è formalmente
evidente che non siamo più innanzi
al precedente yantra,
così è altrettanto evidente che non siamo più innanzi all’iniziale mantra.
Qualcosa è avvenuto, e questo qualcosa è appunto il dinamismo trasmutativo ad
opera di un’agente “esterno” che tutto modifica: la Scin.
Forma, Nome, Tempo le
tre grandi illusioni che avvolgono l’uomo, i tre grandi misteri che la formula
pentagrammatica raccoglie, e permette di svelare.
Ecco quindi che ciò che
deve attirare prima l’attenzione del ricercatore, e poi fissarne l’intelletto,
non è tanto quanto di pietrificato esso vede, ma il “movimento” che è stato
necessario per passare dall’una all’altra formula, e quanto si viene a
determinare. Qualcuno potrebbe sostenere che trattasi di “violenza”, di
esperimenti, o quant’altro. Ciò che però
sfugge è che tale movimento non è apparso in modo accidentale e sgrammaticato
nella mente dei martinisti, ma prossimamente vedremo che è giunto da lontano
attraverso l’alchimia tedesca, la cabala cristiana, ed affonda le proprie
radici nello gnosticismo alessandrino;
affascinando lo stesso Guènon. Se questa è la genesi della Formula
Pentagrammatica mi chiedo quale tradizione dei detrattori, e degli ignoranti,
può vantare simile millenaria certezza?
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
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