Elenandro XI S:::I:::I:::
Il rituale giornaliero
di catena è la costante e laboriosa opera di edificazione del tempio martinista (C:::G:::M:::)
1. Introduzione
Ovviamente non è desiderio del presente
lavoro di enunciare nello specifico l'esatta composizione e strutturazione del
rituale giornaliero martinista, ed in particolare quello del N.V.O. Ciò in
relazione sia all'evidenza pubblica che il presente scritto ha, quindi non
circoscritta all'ambito iniziatico, sia per una certa varianza formale che il
rituale giornaliero presenta in relazione ai vari ordini, raggruppamenti, o
linee di liberi iniziatori.
È
sempre bene ricordare, ed è doveroso farlo in premessa, come l'Iniziatore
martinista è comunque libero di riformulare l'espressione rituale in rapporto
funzionale alla propria naturale inclinazione, seppur rimanendo sempre
all'interno del perimetro tradizionale del martinismo. Avremo quindi che un
iniziatore con un'impronta maggiormente legata alla cabala inserirà elementi di
tale branca del sapere iniziatico all'interno del rituale, mentre colui che
sarà maggiormente legato ad un patrimonio mistico cristiano, o gnostico, o
ermetico, sempre nel rispetto del perimetro martinista, provvederà a dare
un'impronta ad essi consona.
Risulta
altrettanto ovvio, e questo non è in contraddizione con quanto sopra enunciato,
che in quelle realtà che raccolgono più iniziatori vi è l'esigenza di avere un
impianto comune di ritualistica, onde meglio esaltare il lavoro energetico
individuale, di gruppo ed egregorico. In assenza di tale impianto comune, siamo
in presenza di un’orchestra dove non solo manca il direttore, ma dove ognuno
dei musici suona un diverso spartito.
L’iniziazione
rituale, il rito di Luna Nuova e il rito giornaliero, sono gli elementi
basilari e necessari dell’identità martinista. In assenza dei quali, nella loro
complementarietà, assistiamo ad una virtualità che si estrinseca nella forma di
una verbosa massoneria povera. Risulta implicito che quanto andremo ad esporre
è rispondente a quelle realtà mariniste regolari. Dove con regolare
correttamente dobbiamo intendere laddove l’iniziatore è tale in forza di un
lineare e progressivo percorso che lo ha portato a formarsi doceticamente ed
operativamente. Altrimenti siamo in presenza di fantasiose e rocambolesche
investiture, spesso prezzolate, prive di ogni sostanzialità, che ci conducano
fuori dall’ambito dell’iniziazione e dell’opera, per entrare in quello della
carnevalata eogica.
In
breve:
1.
La reale iniziazione martinista,
conferita in virtù di un effettivo potere iniziatico, è condizione sostanziale
ed inderogabile dell’essere martinista.
2.
Il rito di Luna Nuova consente
l’indispensabile rinnovamento del patto con l’Egregore dell’Ordine Martinista.
Tale rinnovamento perpetua le condizioni che consentono il riconoscimento e la
conseguente accettazione dell’adepto da parte dell’Egregore.
3. Il rito giornaliero è la pietra
d’angolo su cui si basa l’operatività martinista. La sua funzione primaria è
quella di "legare" tutti i membri dell’Ordine … “Ut unun
sint” …, tramite la corrente magica e spirituale dell’Eggregore Martinista,
supremo Ente e Vettore di unificazione.
Se
la reale iniziazione martinista porta l’uomo di desiderio all’interno della
fratellanza, e se il rito di luna nuova ne rinnova la comunione, è il rito
giornaliero che dà senso e vita alla sua aspirazione spirituale.
Già
da quanto sopra esposta si comprende come il rituale giornaliero sia parte
integrante dell’identità martinista, e come questa sia composta da
elementi che riguardano la generalità
del martinismo, come la particolarità della struttura in cui si opera.
In
meritò all'identità generale il Martinismo diremo che esso è una scuola d'opera
fattiva e non di speculazione. Ciò non significa ovviamente che il martinista è
escluso da una dimensione filosofica, ma solamente come quest'ultima, nei
giusti modi e giusti tempi, è tesa ad esaltare e contribuire alla pratica
stessa. Lo studio deve fornire all'iniziato quei riferimenti culturali,
simbolici, e immaginifici che gli permettono di riattivare la memoria
spirituale, e fornire un proficuo indirizzo alla pratica stessa. Sempre
rimanendo all'interno di una prospettiva generale, dobbiamo altresì ricordare
la matrice evidentemente cristiana del martinismo. Louis Claude de Saint-Martin
era un mistico ed esoterista cristiano, così il Papus, e gli altri padri
storici della nostra scuola tradizionale. Quindi in tale ottica, volta a
mantenere il martinismo ben connesso alla propria radice spirituale, è ovvio
che il rituale giornaliero, così come ogni altro elemento strumentale e
filosofico, debba mantenere traccia evidente della sua natura spirituale
cristiana. Ciò per impedire il suo degenerare in una deriva relativistica tanto
cara allo spirito dei tempi, causandone da un lato il completo snaturamento, e
dall’altro la perdita di ogni qualsiasi sostanza e vitalità spirituale.
In
merito all'identità particolare questa è frutto della specificità formale
scelta dall’iniziatore per trasmettere l’iniziazione martinista, e predisporre
e trasmettere gli strumenti di reintegrazione. Ecco quindi che il rituale,
nella sua strutturazione complessiva o in alcune parti di esso, avrà l'impronta
filosofico-operativa di colui che è il reggitore della catena. Gli iniziati ad
esso collegati, in virtù dell'opera fattiva e del crisma iniziatico,
disporranno strumenti affinati alla particolare cadenza e natura del lavoro che
individualmente e collettivamente andranno a svolgere. Prendiamo ad esempio un
elemento di cui non è mistero la presenza nei lavori di gran parte delle strutture
mariniste, quale la croce cabalistica. Questa avrà valenza diversa in
ragione della prospettiva data ai lavori rituali: “In un'ottica meramente
cerimonialista sarà strumento di apertura-chiusura o di bando, oppure potrà
avere impiego come attivatore di centri energetici, ed infine di
"identificazione" dell'operatore con particolari attributi del divino
sul piano della manifestazione.“
2. Rituale
giornaliero di catena, e sua scomposizione nei singoli momenti (apertura,
operatività, chiusura)
Il
rituale giornaliero di catena, come tutti i riti di natura magico-operativa, si
articola in tre distinti momenti: apertura, svolgimento operativo e chiusura
dei lavori. Una tripartizione, questa, che sussiste solo a livello
docetico-illustrativo, in quanto tale scomposizione non ha spazio nell’armonia
operativa che non solo rende il rito come Ente in se indiviso, ma addirittura
unisce l’operatore a tutti i fratelli e le sorelle in catena e quindi
all’Egregore.
Le
tre Croci cabalistiche di apertura hanno come finalità quella di creare uno
spazio sacro, rimettendo l’operatore al mondo del Divino, dell’ultrasensibile.
Le quattro Croci conclusive del rito indicano la chiusura dei lavori e la
riconsegna al mondo profano del luogo che ha visto la celebrazione del rito. Lo
strumento cabalistico è uno dei fondamentali linguaggi operativi ermetici,
strumento di interazione e correlazione fra il martinista e l'Egregore. La
Croce viene dal martinista stesso vivificata, in quanto è essa è tracciata
sulla propria carne, mente ed anima.
La
Croce quale simbolo di spazialità, ma anche di determinazione fra l’ascesa
verticale dello Spirito e il dispiegamento orizzontale del fisico e della
mente.
Il
totale delle croci cabalistiche da il numero 7, simboleggiante la regola creativa
(sette le note, sette i giorni, sette i colori, ecc..) che governa la nostra
manifestazione. È questa regola che determina ogni relazione sussistente fra
gli elementi della creazione.
Essa
trova la sua massima espressione nella settima Lama degli Arcani Maggiori (Il
Carro), dove l’auriga guida due cavalli dall’interno di un cocchio formato
da quattro colonne (1+2+4=7) che richiamano il simbolismo dei quattro elementi
fondanti la creazione. Elementi che il filosofo Empedocle di Agrigento (nato
nel 492 a. C) chiama "radici" e afferma che sono quattro: fuoco,
aria, terra e acqua. L’unione di tali radici determina la nascita delle
cose, la loro separazione la morte. Si tratta perciò, sempre seguendo il
pensiero di Empedocle, di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che
l’Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in
continua trasformazione che trova direzione solo attraverso la volontà che
guida la forza positiva e la forza negativa. L’auriga guida consapevolmente il
carro, domina i due cavalli (ragione e magia, conscio ed inconscio, ecc..),
verso la conoscenza. Così è l’iniziato che consapevolmente esegue il rito nella
sua duplicità formale e sostanziale. L’iniziato consapevole non subisce il
rito, non rimane immobile; bensì ne comprende le dinamiche e le regole che lo
formano e lo animano.
L’accensione
della candela è crogiuolo di molteplici simboli. Essa è in primo luogo un
autentico atto magico che investe la materia attraverso la discesa del fuoco
vivificatore. È la luce della conoscenza che brilla nella notte dell’ignoranza,
è testimonianza del fuoco mistico che tutto arde, è monito della spoliazione
cui il martinista si consegna ed, infine, espressione dell’atto di volontà
magica del martinista.
Passo
successivo è il collegamento telepatico con gli altri fratelli, nelle ore
prestabilite (in cadenza di sette), governate dalla potenza e dalla
gloria dell’Angelo del giorno, quale tramite fra l’operatore e il mondo
superiore.
La
visualizzazione dei fratelli e la rappresentazione psichica e materiale del
sigillo dell'Ordine collocano "volontariamente" l’operatore
all’interno della fratellanza che lo ha accolto e di cui è membra congiunte.
Unione in virtù della forza vitale eggregorica, sacro sangue che anima tutto
l’Ordine e che assume la veste delle sacerdotesse che, assieme ad Iside,
ricomposero il corpo mutilato di Osiride (in questo caso magnificamente
rappresentato dalla continuità passata, presente e futura di tutto l’Ordine
Martinista).
La
visualizzazione e il tracciamento del sigillo sono dunque l’attivo ordinarsi
all’interno della fratellanza, il consegnare spontaneamente la propria
individualità ad un’Entità superiore.
Movenze,
queste, che devono essere compiute con la sacralità e il trasporto amoroso con
cui lo Sposo e la Sposa si consegnano l’uno all’altro. A compimento
dell’apertura dei lavori vi è la batteria e il segno. Essi altro non sono che
il presentarsi del martinista all'Egregore. Leggiamo ciò come il voler essere
riconosciuto, da parte del martinista, da chi è in grado di riconoscerlo,
l’Egregore. Al contempo la batteria e il gesto simboleggiano il giungere ad una
soglia sempre presente, ma non per tutti aperta. In assenza del riconoscimento e
della coesistenza dei requisisti essenziali (iniziazione e purificazione),
l’operatore è illuso o si illude di far parte della catena, mentre ne è
realmente escluso.
Edificato
lo spazio sacro, il martinista intona la recita dei tre salmi, dando così inizio
alla fase operativa del rito.
Tradizionalmente
ogni cerimonia magica si snoda in una fraterna unione, il primo salmo: Ecce
quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!; a un’attestazione
della condizione di grazia, il secondo salmo: Beatus vir, qui non abiit in
consilio impiorum; ed, infine, da un’invocazione e/o evocazione, il terzo
salmo: Ecce nunc benedicite Dominum.
Il
martinista allontana da se ogni umana tribolazione e si compiace nell’unione
con i fratelli d’Opera e nell’amore che essi lega. Assieme a loro si pone nudo
innanzi al cospetto Divino, mostrandosi degno della sua Grazia ed, infine, ne
chiede la Benedizione.
L’invocazione
del Nome pentagrammatico rappresenta l’apice del rito giornaliero, espressione
ultima del lavoro posto in essere, cui segue la chiusura del rituale. Senza
voler entrare troppo nel merito di questa Parola di potere, possiamo dire che
essa non solo simboleggia il Riparatore, nella sua funzione di tramite e di
agente di reintegrazione, ma nella sua quintuplice combinazione ne raccoglie
ogni qualità.
Il
Nome pentagrammatico si ottiene introducendo al centro del tetragramma la scin (Lettera
madre associata al Fuoco). Questo è un fuoco diverso dal fuoco primordiale
della potenza creativa, rappresentato nel Tetragramma dalla iod o vau (a
seconda dei sistemi), questo è il fuoco misurato e costante dell’amore che
è in grado di agire come forza trasmutatrice dei vari elementi. Si noti che il
nostro cuore, sede immaginaria dell’amore, è anch’esso, come la c al centro del
nostro corpo fisico. È bene ricordare che sul questo piano quaternario della
nostra esistenza, è proprio il fuoco fisico, dispensato nella giusta
proporzione, che è capace di trasformare gli altri elementi nei vari stadi che
colmano la distanza fra il grossolano e il fine (da stato solido a stato
liquido - da stato liquido a stato gassoso).
Quanto
sopra esposto è l’essenzialità del rituale giornaliero di catena. In esso, fra
la recita dei tre salmi e la professione del nome pentagrammatico, è possibile
(su espressa indicazione del proprio Iniziatore per i primi due gradi, e
sull’assunzione di responsabilità per gli altri fratelli e sorelle elevati al
terzo grado) di inserire un "qualche" elemento di personalizzazione
(preghiera, meditazione, supplica, ecc... ). Ciò risponde a varie logiche,
alcune legate alla contingenza del momento (catena terapeutica, ad esempio),
altre in ragione di un particolare lavoro proposto, ed altre ancore per
consolidare il rapporto egregorico. Ovviamente ognuno di questi inserimenti,
che può essere vissuto anche come rito separato, deve rispondere a criteri di
armonia, e complementarietà.
È
bene ricordare, onde evitare scempi e pericolose contaminazioni, quanto segue:
1.
L’Ordine non è al servizio del
martinista, ma è il martinista al servizio dell'Ordine. In quanto è il primo
che conferisce al secondo la possibilità e l’utilità di operare, all’interno di
una corrente magica ed attraverso strumenti tradizionali.
2.
La Tradizione vuole ed impone che
vi sia concordanza e congruità fra lo strumento, il fine e l’operatore.
3.
Ogni mutamento è una possibile perturbazione, che anche violentemente si può
ripercuotere nella vita del singolo. L’Egregore non è espressione contingente
di un momento, ma una eterna ed intelligente presenza.
4.
Ciò che differisce, è sempre
responsabilità individuale.
5.
Il fine essenziale del martinista, così come insegnatoci dai Nostri Maestri, è
la reintegrazione dell'uomo nell'uomo, e dell'uomo nel divino.
3. Finalità del Rituale giornaliero di catena
Il
rituale giornaliero di catena sviluppa una serie di interazioni fra il
martinista e se stesso, e il martinista e gli altri fratelli. Possiamo
suddividere queste relazioni in due categorie:
a)
Interne
Il
rituale, nella sua giornaliera ripetizione, è un incentivo e al contempo un
ostacolo, che permette al martinista "anche" di lottare contro la
propria pigrizia. È bene sempre ricordare che come sussistono ed insistono
agenti che premono per la rovina dell’uomo celeste, sussiste ed insiste
nell’uomo l’inerzia, forza opponente ad ogni compimento intimo.
Inutili
sono i propositi di cimento, se non si è in grado di imporre a noi stessi la
volontà che predichiamo di avere.
La
continua proposizione di "identici" gesti e parole nel corso del
tempo, richiede un impegno in attenzione e presenza da parte dell'operatore,
affinché la pratica non divenga monotonia da evitare o espletare in malavoglia.
Tale obiettivo è conseguibile solamente alla presenza di due elementi. Il primo
è da ricercarsi nella vivificazione del rituale, nell’auspicio che dalle
parole, in se morte, si giunga ad un riverberarsi delle stesse nella sfera
intima dell'operatore. Il secondo è la capacità del martinista di divenire
parte integrante della catena, componente del pulsare della corrente psichica
dei fratelli e delle sorelle.
È
attraverso il necessario raccoglimento e separazione dal flusso del tempo e
dello spazio profano, che il martinista ha la possibilità di osservare come la
propria psiche reagisce all’operazione posta in essere. Attraverso
l’individuazione degli stati d’animo e del proprio spettro emozionale ed
energetico, egli può valutare il proprio equilibrio, e le mancanze su cui
operare. È, infatti, possibile, con la dovuta capacità di percezione e analisi,
determinare corrispondenze fra le fasi del rito, e la composizione occulta del
corpo. In quanto il rito è tale, in virtù del martinista che è esso stesso
rito.
b)
Esterne
Il
rituale permette, come accennato, al martinista di essere parte integrante
della catena, attraverso il collegamento egregorico.
La
catena non deve essere percepita nella "ridotta" della loggia o
dell’Ordine, ma quale continuo "giammai" interrotto con i fratelli
passati, e futuri, in virtù della presenza unificatrice dell’Egregore.
La
funzione di questa realtà psichica, consolidata nel tempo, è quella di ricevere
dai mille rivoli rappresentati dalla persistenza dei fratelli. Essi si forgiano
in un’unica "corrente" intelligente e possente, che ovviamente
travalica la sfera del singolo.
È
quindi per rinnovare il collegamento con
via di comunicazione e comunione, che è necessario il rito di purificazione
durante la fase della Luna Nera. È solo attraverso il retto pensare,
l’abluzione nell’acqua e nei fumi dell’incenso che il martinista espelle da se
le scorie psichiche accumulate nel corso del suo transito, e rinnova
volontariamente il patto con l’Egregore.
Altresì
è necessario che il martinista ricordi il sacro impegno di ricercare la
reintegrazione con la propria sfera divina, in ogni momento della sua vita, affinché
il sentiero di rettitudine sia un atto di volontà. La comunione con i fratelli
permette all’operatore di godere di un’intensificazione dello spazio, degli
strumenti, e dell'attitudine magici, agevolandolo nelle parti preparatorie ed
operative del rito.
4. Rapporti fra il Rituale giornaliero, natura e
qualità del martinista.
Se
è vero che quella martinista è un’iniziazione reale, è altrettanto vero che il
rituale giornaliero è la basilare operatività del martinista. L’iniziazione è
il deporre un seme e l’operatività il lento germogliare dello stesso, fino al
compimento della propria natura. L’essenza del rito giornaliero, come si è
visto, risiede in un vero e proprio atto magico, tradizionalmente tripartito
(fratellanza, testimonianza, invocazione ed evocazioni), la qualità quindi
richiesta al martinista è quella sacerdotale, per i fratelli che hanno tale
ruolo all’interno dell’Ordine, e coadiuvatori del sacerdote per i primi due
gradi. La capacità di purificare e consacrare il tempio (il martinista stesso)
e porvi in essere la celebrazione del rito, differenziano la recita teatrale,
dalla vera Cerimonia, la pantomima dall’Opera, la farsa dalla Realtà, e
l’improvvisazione dalla Tradizione.
Per
ottenere questa naturale inflessione del proprio essere, è richiesto
l’integrale compartecipazione dei tre corpi del martinista.
Il
corpo fisico che deve essere non sottoposto all’azione perturbatrice di
sostanze che lo rendono schiavo.
La
mente deve essere erudita sulla tradizione martinista, sempre attenta e ricettiva verso l’operazione
che si sta compiendo.
L'anima
consacrata alla purificazione e redenzione, non deve essere straziata dai
clamori del mondo profano.
È
utile quindi che il martinista approfondisca lo studio dello gnosticismo, della
cabala, della mistica, e del significato di reintegrazione. Riesca ad abbattere
i propri condizionamenti culturali e psicologici nei confronti della preghiera,
che non deve essere vista come passivo atto devozionale, ma sollecitazione
dell’uomo verso il Divino. Deve il martinista interrogarsi sul perché della
nascita del martinismo stesso, e del messaggio di conoscenza che esso incarna.
Inoltre il martinista deve preservare il proprio corpo, avendo la
consapevolezza che esso è involucro necessario al suo agire su questo piano
denso e grossolano.
Ancora
la mente deve essere educata, tramite la meditazione e l’esercizio
dell’attenzione. L’armonia, l’erudizione
e l’intuito sono le condizioni necessarie per il mago, come per il sacerdote.
Il
rito giornaliero non deve essere quindi visto come atto dovuto ed impaccio, ma,
tenendo presente quanto detto, come espressione finale di una preparazione
costante e profonda.
5.
Conclusioni
Il
rituale giornaliero, nella sua armonica strutturazione, consiste in
un'apertura, una fase operativa, e una chiusura. Dove elementi simbolici,
sonori, e gestuali trovano una fusione che investe, o dovrebbe investire il
martinista, in ogni espressione del suo essere: sfera fisica, psicologica, ed
energetica. La presenza a noi stessi, e l'attenzione sull'Opera che si sta
compiendo, oltre ovviamente ad una congruità ideale e spirituale alle radici
tradizionali del martinismo, porteranno l'iniziato a non vivere il rituale
giornaliero come una parentesi più o meno ostica all'interno del transitare del
tempo, ma ad organizzare la propria vita attorno al rituale giornaliero stesso.
Così come una ruota trova il proprio centro e ragion d'essere nel perno. La
comprensione delle dinamiche che legano ogni elemento del rituale, porteranno a
considerarlo non come una sequela di elementi fra loro misteriosamente ed
artatamente connessi, bensì come unica e sempre fruttuosa espressione dove lo
stesso martinista è elemento di volontà e d'opera, parte integrante ed
indistinta di un rituale che non è più posto esternamente a sè, ma ne
rappresenta una simbiotica risonanza.
Il
rituale giornaliero è uno dei capisaldi dell'identità martinista, che
continuamente ripeto essere di fattiva opera e non di sterile filosofia, e
l'iniziato trova in esso quel nutrimento supersostanziale. Nutrimento che
investe ogni bisogno del proprio essere magico, in virtù della prospettiva
operativa che lo guiderà attraverso l'esercizio della docetica impartita da
propri superiori viventi, e sotto l’influsso benefico dei Maestri che hanno
passato il velo ma che sono sempre presenti.
È
mia profonda convinzione che il bene e la longevità dell'Ordine da una maggior
comprensione delle sottili dinamiche e degli strumenti che ci legano, pur nella
nostra specificità, l'un con l'altro. Tale funzione di "legato" è
simboleggiata in massima espressione proprio dal rituale giornaliero, che
assomma in se ogni aspetto dell’opera martinista.
Concludo
con l'auspicio che ogni fratello e sorella abbia sempre attenzione allo studio
e alla pratica, alla comprensione dei sottili dinamismi dell'operatività
martinista, affinché il suo operare sia nobile, e non un mero involucro senza
sostanza.
www,martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
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