Uriel Associato Incognito
Il pensiero
contemporaneo è permeato dal male endemico dello scientismo che con le sue
spinte totalizzanti, forte degli oggettivi e indiscutibili successi della
scienza e della tecnologia, ha oramai raggiunto livelli di pandemia tali da
diventare la base di un unico ethos occidentale. Lo scientismo attribuisce al
metodo scientifico sperimentale la capacità di soddisfare tutti i problemi e i
bisogni dell’umanità, fino ad improntare di sé non solo la cultura ma anche
l’etica e le scelte politiche, configurandosi così come l’unico ethos
possibile. Questa mentalità ha conseguenze pericolose per il genere umano
perché in nome di una presunta felicità crescente fornita dalla sempre
potenzialmente possibile risoluzione a eventuali nuovi problemi che si vengono
a porre, sono sacrificate certe facoltà umane che sono state adoperate per
secoli ma adesso cadute in disgrazia poiché fuori dalla portata della scienza
sperimentale. Quindi tutto ciò che ricade nell’alveo del metafisico, del
trascendente, dello spirituale, del mito, finisce inevitabilmente per essere
progressivamente relegato a retaggio del passato, a credenza popolare, a
superstizione.
Tuttavia il soddisfacimento delle necessità
primarie e un buon grado di realizzazione dei bisogni superflui non solo non
porta necessariamente ad un buon livello di appagamento personale, anzi lascia
un senso di vuoto nella massa e acuisce in pochi individui più avvertiti
l’impotenza a rispondere al problema esistenziale. Le religioni tradizionali,
che dovrebbero occuparsi del piano spirituale e avere a cuore la sorte delle
anime dei loro seguaci, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo
enucleare, hanno finito per occuparsi di etica e fare politica, abdicando al
ruolo pastorale di curare lo spirito di una comunità religiosa; al massimo
possono operare sul piano del conforto, ma è poca cosa per chi ricerca una
spiritualità.
Paradossalmente, in epoca scientista
dilagante, si assiste al fiorire di movimenti spiritualistici di qualsiasi
gamma, genere e sorta che operano su una ristretta élite di uomini con il fine
di nutrire quegli aspetti umani sacrificati sull’altare dello scientismo.
Alcuni di essi hanno obiettivi e profili intellettuali realmente onesti, per
quanto poi questo non basti da solo a garantirne l’efficacia; altri invece sono
maliziosamente creati ad arte per approfittare e fare business o più banalmente
sono calati nella dimensione del gioco di ruolo.
La grande scommessa di un’organizzazione
iniziatica è, secondo me, quella di riuscire ad armonizzare la dimensione
conoscitiva con quella sapienziale, oppure - detto alla maniera martinista - la
dimensione filosofica con quella della reintegrazione, infine - detto con
parole più comuni - la dimensione scientifica con quella umanistica, che in
principio erano unite, nate dalla medesima tensione, coltivate nei Templi che
erano contemporaneamente luoghi di culto e punti di osservazione della natura,
e che ora invece sono diventate nemiche. Il nostro tempo non è capace di
armonizzare queste due dimensioni e le conseguenze si sperimentano nelle crisi
sociali e politiche.
Il Martinismo è, a mio avviso, è uno dei
movimenti spirituali contemporanei che può vincere questa scommessa;
l’iniziazione martinista pone l’individuo davanti ad un cammino con diverse
prospettive (io ne indicherò solo tre poiché più pregnanti con il tema in
oggetto, ma ve ne sono altre) che mi appresto ad analizzare sinteticamente.
La prima prospettiva è insita nell’opera che
il martinista compie su se stesso per liberarsi dal proprio ego poiché,
liberandosi dall’ego appunto, si pone a servizio di qualcosa di più grande e di
più importante di se stesso. Così uomo libero (o meglio liberato da se
medesimo) avrà creato uno spazio vuoto dentro di sé e questa liberazione è la
prima grande possibilità che l’uomo possa realizzare poiché apertura verso
l’alterità e creazione di spazio per altro. Questo altro sono tutte quelle
esperienze che oggi sono negate dalla mentalità scientista, e mi riferisco a tutte
le esperienze spirituali, all’esperienza del proprio sé intesa come
consapevolezza della propria essenza, poiché il valore di un essere umano
dipende da ciò che è, e non da ciò che sa e meno ancora da ciò che ha.
La seconda prospettiva è l’ideale di
reintegrazione spirituale che il martinismo persegue; seppur vero che tale
ideale è presente in altri percorsi iniziatici, secondo me nel martinismo si
raggiunge una maggiore efficacia per via di una serie di scelte fatte dai
Maestri Passati e presenti, quali l’allontanamento da qualsiasi commistione
illuminista (tipico di certe massonerie), l’esclusione di obiettivi puramente
moraleggianti, la ricerca del sé fatta tramite operatività rituale che punta a
risvegliare facoltà umane latenti, separazione tra teurgia e tutto ciò che sia
occultismo e spiritismo.
La terza prospettiva, forse a me più cara, è
l’uso che il martinismo invita a fare della conoscenza. In primis bisogna
intendersi sul concetto di conoscenza: la mentalità scientista considera
conoscenza l’insieme di tutte le ipotesi scientifiche che hanno superato la
verifica sperimentale, mentre la mentalità martinista include nella Conoscenza
- si dica pure Tradizionale - aspetti che fanno parte integrante della natura
umana, quali il mito, il sacro, lo spirito, l’amore. Del resto gli esseri umani
nella loro vita quotidiana non compiono soltanto scelte razionali, anzi fattori
come l’emotività, l’istinto, l’attrazione, la paura, la repulsione giocano
quasi sempre un ruolo preponderante se guardiamo la vita degli uomini su una
scala temporale più ampia che non sia l’affannoso decidere del giorno per
giorno. Indi per cui, poiché esiste ed è innegabile questa enorme pressione
interiore, che poi interagisce con quella degli altri individui in forma
empatica o dispatica (se vogliamo restare sul piano psicologico) o eggregorico
(se si vuole provare ad andare sul piano sottile). perché non imparare a
conoscere, per quindi governare e gestire questa forza interiore e dirottarla
verso finalità più alte, anziché vivere nella più alienante modernità?
Provando a stendere un filo rosso tra
l’iniziazione martinista e l’uomo del terzo millennio, senza essere scientisti
ma nemmeno antiscientifici, posso dire
che una soluzione risiede nel modo di attribuire significato
esistenziale alla conoscenza. In altre parole, poiché gli stessi dati che la
scienza analizza possono essere interpretati in modo diverso in funzione del
vissuto esistenziale dell’osservatore, c’è sempre uno spazio di libertà
rispetto ai dati esatti e all’interpretazione significativa per il senso del
mondo e della vita, e questo spazio di libertà si chiama Filosofia. Filosofia
non in senso accademico, ma nel senso in cui lo intendesse L.C.d.S.M. ovverosia
quella metodologia - si dica pure Tradizionale - che consente di padroneggiare
il lato umanistico, archetipale, sapienziale e profondo dell’uomo. L’uomo del
terzo millennio, interpretando le teorie della scienza sotto l’egida di questa
filosofia, può - deve - tentarne una reinterpretazione in ambito esistenziale,
lasciando che la scienza faccia le sue conclusioni in ambito fisico.
E chiunque ritenga che dai dati scientifici
debba necessariamente emergere una unica prospettiva, non sa che cosa sia la
filosofia, nel senso di cui sopra. Chi ritiene che dai dati scientifici possano
scaturire letture diverse sul piano esistenziale, invece crea uno spazio per
riempire il vuoto ottenuto dall’eliminazione dell’ego (sempre se vi sia
riuscito) e crede nella libertà della mente umana rispetto ai dati
oggettivi.
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
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