TALIA I:::I::: Collina Abraxas (Toscana)
Il biologo tedesco Richard Semon ipotizzò
l’esistenza di una traccia mnestica che
conservasse gli effetti dell’esperienza nel tempo, consistente in una ipotetica
alterazione più o meno permanente di qualche struttura all'interno del sistema
nervoso, coniando il termine engramma: era l’anno 1904. Qualche anno prima, i
Romani indicavano con il termine oblivium – da cui la nostra parola “oblio” -
composto dal suffisso ob “verso” e dalla radice liv “scolorire” ma anche e
soprattutto “lisciare”, la cancellazione appunto di segni o simboli mnemonici
riportati su di una tavoletta di cera. Qualche
anno prima ancora, i greci davano vita al mito delle Muse, definite da Esiodo
nella Teogonia "oblio dei mali”, proprio loro figlie predilette di Zeus e
della personificazione della memoria, Mnenosine. Anni ed anni sciorinati in
secoli, legati da trame incerte che potessero condurre a scoperte solide ed inoppugnabili sulla
memoria.
La memoria è la capacità intellettiva di conservare
informazioni, ossia quella funzione psichica o mentale basata sul processo di
apprendimento, immagazzinamento e richiamo di dati acquisiti tramite
esperienza. Viene formalmente suddivisa in memoria a breve e lungo termine. La
prima, chiamata anche “memoria di lavoro”, è una sorta di filtro che decide
quale esperienza selezionare ed inviare alla seconda, in base ad un ordine
soggettivo non costante, dipendente da molteplici condizioni. La memoria a
lungo termine, il vero e proprio tesoro di database personale, può presentarsi
come esplicita, evocando situazioni o particolari narrabili e comunicabili,
oppure come implicita, ossia inconscia, che segue un processo di riemersione
che non sappiamo spiegare né a noi né tantomeno agli altri. Plotino fu il primo
a fare una differenziazione di questa sorta
fra i due tipi di memoria, corta e lunga, utilizzando come discriminante
la “forza dell’immaginazione”. Memoria e ricordo non sono la stessa cosa. “Ricordo” presenta la radice cor -cordis
che significa cuore, e quindi rimanda palesemente ad una dimensione affettiva,
mentre “memoria” ha la radice mem (radici indoeuropee man o mna)
e richiama il concetto di “eccitazione, sollecitudine,
sobbalzo”. Il ricordo è un riallacciamento al cuore, sede delle nozioni, azione
finalizzata a riattivare la memoria, che in quell’attimo ha un soprassalto.
Nel 450 a.C., il poeta lirico Simonide di Ceo,
scampato ad un banchetto fatale in cui i partecipanti era rimasti uccisi per il
crollo del soffitto, riuscì a
identificare ognuna delle irriconoscibili vittime, grazie alla propria memoria
dei posti in cui gli ospiti si trovavano durante la cena, partorendo così la
“teoria delle stanze”, metodo attraverso cui ricostruire la memoria legandola
ad immagini di luoghi. Cicerone ne narra l’episodio nel “De Oratore”,
sviluppandone in seguito l’idea che sarà perfezionata nella sua “tecnica dei
loci”, fondamentale supporto alle due arti maggiori, la retorica e l’oratoria:
le sensazioni e le emozioni sono il miglior metodo per fissare nella mente ogni
tipo di informazione, sia volontariamente che involontariamente, e ciò accade
in maniera al meglioquando queste sono legate ad un “luogo”, ad una immagine familiare.
Immaginazione e visualizzazione, dunque, alla base di questa prassi che sarà
poi traghettata nei secoli col nome di “mnemotecnica”, tramutando di essenza
oltre che di scopo, pur mantenendo sempre vividi i riferimenti dell’origine
classica, soprattutto facendo riferimento ad un testo “Ad Herennium”risalente
agli anni 86-82 a.C. di anonimo, ma in realtà da molti ritenuto opera di
Cicerone. In esso si fa riferimento a due tipi di memoria: una naturale, nata
insieme col pensiero, l’altra artificiale, prodotto appunto di educazione
tecnica. Tutta l’arte della memoria farà sempre riferimento, più o memo
palesemente, a questo testo nel corso dei secoli.
Aristotele tratta della memoria nel suo “De
anima”, basandosi sulla teoria della conoscenza e dando come chiave di
volta l’immaginazione. E’ questa che funge da intermediaria tra le percezioni
rilevate dai sensi, rielaborate e trattate, e l’intelletto. E’ proprio questa
che forma le immagini dell’anima,
facendone così parte appunto come la memoria stessa.Platone –
soprattutto nel suo “Fedone” -impronta la sua teoria della memoria
similmente, dando però una natura diversa alla conoscenza che non è prodotta
aristotelicamente da esperienza sensoriale, bensì trova origine nelle Idee,
forme ed impronte che l’anima acquisisce prima di scendere nel mondo materiale.
Questi simulacraesono innati nella memoria di tutte le anime, e la
conoscenza risiede nella loro reminiscenza di cui l’esperienza terrena è solo
una sbiadita corrispondenza. Le angolazioni di interpretazione dell’arte della
memoria dei due grandi filosofi saranno alla base delle due impronte
caratterizzanti lo sviluppo di tale pensiero, rispettivamente nel Medioevo, con
la forma scolastica della mnenotecnica,e nel Rinascimento con la forma
neoplatonica più ermetica.
Nel Medioevo l’arte della memoria diventa argomento
importantissimo di grandi pensatori quali Alberto Magno e Tommaso
d’Aquino. Questi riesuma il concetto
aristotelico di memoria come parte dell’anima che, assieme all’immaginazione,
rielabora i phantasmata(=immagini), ma vi aggiunge l’intervento
essenziale dell’intelletto. Esiste un iter ben preciso da seguire per
realizzare tale reminiscenza, secondo il pensiero tomistico, e lo troviamo
esemplificato in brevi versi di una “Summa” usata da frati predicatori:
“le cose che aiutano l’uomo a ricordare sono l’ordine, la passione, le
similitudini e la frequente meditazione”.
Nel XVI secolo, l’arte della memoria potrebbe
apparire in declino ma invece sta solo cambiando natura, allontanandosi dalla
pura e semplice tecnica del ricordare, così cara alla retorica e poi in seguito
all’etica, ed assumendo un nuovo forte carattere: quello del movimento
neoplatonico inaugurato da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Ma c’è un
altro nome (meno conosciuto) che ha dato
un’impronta caratteristica ed affascinante a tale arte, dedicandovi un intero
progetto – mai realizzato – di teatro: Giulio Camillo Delmino. Questi, amante
dei testi ermetici tradotti dal Ficino(soprattutto il “Corpus
Hermeticum” e l’“Asclepius”) apparteneva alla tradizione cabalista
fondata da Pico e creò questa ipotesi di architettura di anfiteatro (ispirata
al teatro romano descritto da Vitruvio), in cui l’opera finale doveva essere
una perfetta fusione magico-mistica con l’arte della memoria classica. Il
Teatro della Memoria di Giulio Camillo si innalza in sette gradi, separati da
sette corsie dove si trovano sette porte, decorate con immagini. Non esiste
pubblico: lo spettatore sta al centro della scena, rivolto verso l’auditorium,
sul proscenio poggiato sui sette pilastri della Casa della Sapienza di
Salomone. Le gradinate rappresentano i tre mondi dei cabalisti, attraversati in
maniera differente dalle manifestazioni: quello delle Sephiroth o delle divine
emanazioni, quello mediano delle stelle, quello degli elementi. Tutto il Teatro
di Giulio Camillo è la raffigurazione dell’universo attraverso gli stadi della
creazione, visione del mondo e della
natura ispirata dalla lettura del “Pimander” (primo trattato del Corpus):
l’uomo è particula della mente divina ed è capace di catturare con la
memoria l’universo, attraverso movimenti ascendenti e discendenti tra
macrocosmo e microcosmo, ove può contenere il tutto nella sua divina mens(=memoria).
Si tratta quindi di una scenografia magica che esteriorizza tutto ciò che è già
in possesso dell’uomo nella sua costituzione occulta ed è già individuabile
nelle immagini interiori di impronta divina.
Raimondo Lullo, con la sua “Ars Magna”, una sorta
di logica della memoria che è anche metafisica, si basa sull’idea che l’anima
ha tre facoltà: intellectus, arte del conoscere e trovare la verità, voluntas,
arte dell’educare il volere all’amore, e memoria, arte del ricordare la
verità. Lullo introduce nell’arte della memoria il concetto di movimento, di
dinamismo: la memoria non è passiva ma attiva e vivace volontà.
Potremmo andare avanti parlando dell’arte della
memoria attraverso altri grandi personaggi quali Giordano Bruno, Robert Fludd
passando daLeibniz, Descartes, Spinoza, Bacon ma procederemmo solo in uno
studio semplicemente pedissequo della memoria. Preme invece accennare al
filosofo Henri Bergson, nato a Parigi a metà ‘800, ed autore del libro “Materia
e memoria”. Accusato di essere paladino dell’irrazionale, sostenitore sfacciato
della via intuitiva, Bergson afferma la realtà dello spirito e la realtà del
corpo, determinando il rapporto tra l'una e l'altra su un esempio preciso,
quello della memoria. Raffigura il suo concetto con l’immagine di un cono che
appoggia il suo vertice (percezione) su di un piano (la realtà, la materia) e
la cui base rappresenta appunto la memoria, lo spirito. Il cervello, mezzo per
cui avviene la rilevazione, non è sostanziale per la natura del ricordo ma è
solo uno strumento attraverso cui richiamarlo, un mezzo espressivo della
memoria. Con un’altra immagine altrettanto esplicativa potremmo dire che siamo
in presenza di un giradischi, dove la puntina è “inutile” finché non viene
fatta scendere sul disco, segnato da molteplici incisioni, apparentemente
illeggibili, dando vita ad una amabile armonia.
Quando formuliamo la fatidica domanda “chi siamo?”,
inneschiamo immediatamente un meccanismo di ricordo che è alla base della
costruzione della propria identità personale, o di ciò che comunque pensiamo
essere. Un uomo senza memoria è una forma geometrica piana in un universo
tridimensionale. L’essere umano invece ha bisogno di un collegamento temporale
di coscienza per strutturare la propria personalità, e soprattutto per arrivare
alla percezione del Sé. Ogni volta che noi ci ricordiamo qualcosa - in
particolare ciò che apparentemente sembra dimenticato – eseguiamo un lavoro di
ricostruzione. La memoria viene fatta “sobbalzare” (secondo il suo
etimo) con un ricordo che non è mai un’azione lineare perché ogni volta viene
reinterpretata secondo l’impronta emotiva vissuta dal cuore (secondo il suo
etimo). Oggi gran parte della nostra memoria intellettuale acquisita o
ipotetica viene contenuta in un hardware oppure comodamente su una rete
universale, ed esistono milioni di sistemi di collegamento che possono aiutarci
quando desideriamo sovvenire un concetto, un testo, una immagine. Questo tipo
di memoria può quindi essere dilatata quasi all’infinito, con dinamiche di
similitudine e di accoppiamento in quantità esponenziale. Il potenziale di
questa memoria si potrebbe definire illimitato, eppure nella natura stessa di
ciò che è contiene il suo perimetro strettissimo. Si tratta di nozioni,
conoscenze, idee a disposizione di chiunque abbia lo strumento adatto per quel
tipo di memoria che manca di caratteristiche fondanti rispetto a quella
ricercata soprattutto da chi intraprende una via spirituale. Questa continua e
perpetua opera strutturale si sviluppa grazie a due elementi fondamentali di
cui gli antichi ci avevano già parlato. Per prima cosa, l’immaginazione.
Questa, da Aristotele a Platone fino a Giordano Bruno, ha funzione di
mediatrice conoscitiva tra i sensi e l'intelletto, tra il mondo delle idee e
quello delle cose sensibili. Le immagini per MirceaEliade mettono a nudo le
modalità più segrete dell'essere. Henri Corbin definiscemundusimaginalis
quella dimensione intermedia tra corpo e spirito, tra sensibile e
intelleggibile, dove si verifica - attraverso la pratica dell'immaginatione-
la “spiritualizzazione dei corpi e la corporificazione degli spiriti”.
L’immaginazione è un ponte con tante infinite arcate che ciascuno di noi
costruisce, più o meno consapevolmente, con maggiore o minore destrezza e
facilità, per viaggiare nelle proprie interiorità. Immaginare significa
compiere un’azione conscia dentro se stessi attraverso rappresentazioni che
vanno a costituire il mezzo mediante il quale poter svolgere il viaggio. L’Uomo
Magico vive così la sua perpetua eikasia (=immaginazione) nella
ricostruzione della sua interezza. E poi, poi,
la nostalgia, quel sentimento divino innato nell’uomo che strugge
dall’interno senza un motivo apparente, in un ricordo perpetuo ma spesso
superficialmente inconscio di una felicità perduta. La memoria è una Santa
Barbara gigantesca pronta ad esplodere ad ogni scintilla del cuore, ma senza il
desiderio del ritorno avrebbe ben poco valore, senza la consapevolezza della
caduta non ci sarebbe la volontà di risalire. Abbiamo dentro di noi questa
straordinaria molla che ci permette di percepire il vuoto ove prima avevamo
qualcosa di amato, stimolandoci a reintegrare quanto dimenticato,
apparentemente perduto. Struggente dolore che pungola al di sotto della carne,
la nostalgia - tortura e viatico assieme
– è il fuoco posto sotto l’athanor, è il cuore degli antichi gnostici che
richiama l’anima alla sua casa, che tutto muove da questa prigionia alla patria
vera, è la luce che insegna il cammino tra le ombre e gli inganni del percorso terreno,
rammentandoci sempre -fiduciando di essereascoltata - la nostra vera essenza, che
è deposta nella nostra memoria, lampeggiante nei nostri ricordi, evocata nella
nostra immaginazione.
Dobbiamo tornare ogni giorno a costruire la nostra
Odissea interiore e ad imparare a sapercela “cantare” ogni volta che ne abbiamo
bisogno. Dobbiamo riconquistare il territorio della memoria attraverso quei
piccoli intensi sobbalzi del cuore e camminare lungo la strada della nostalgia
che sa indicarci perfettamente il sentiero, sa di cosa necessitiamo, sa cosa
manca e dove tornare. Dobbiamo trovare il coraggio (la solita radice –cor),
oltre che la volontà, di stare desti ad occhi spalancati alla meraviglia edallo
stupore. Il giorno sarà una palestra di addestramento ricca di fonti di
ispirazione, la notte sarà il terreno dove poter correre liberamente. Ricordiamoci
infine di quell’importante aiuto riportato nei versi dei frati predicatori: la
frequente meditazione. Con questa tecnica possiamo far riemergere immagini dal
nostro deposito della memoria e rinforzare il filo che ci riconduce a queste,
per ritrovare la sintesi perfetta, l’armonia. Fermiamoci dunque e dedichiamo
tempo a quel ricordo che riemerge da scenari nebulosi alle nostre spalle,
rendiamogli consistenza con attimi di attenzione, facciamolo tornare vivo. E’
qui la magia di quell’architettura mai costruita e che possiamo innalzare ogni
giorno, ogni istante nel nostro tempio interiore, cibando nutrendo costruendo
il nostro Sé luminoso, compiendo la vera Magia.
La memoria è un magnifico infinito coloratissimo
poliedrico bersaglio appeso sul nostro muro interiore ed i ricordi sono curiosi
appuntiti dinamici rapidissimi dardi che spesso lanciamo verso di essa, con
l’intenzione di cogliere sempre più il centro. L’augurio per tutti noi, alfine,
è quello di smettere di parlarne e di dedicare più tempo al gioco delle
freccette, e ricordarsi (!) sempre che:
Di Mnemosine è questo sepolcro.
Quando ti toccherà di morire andrai alle case ben costrutte di Ade: c'è alla
destra una fonte, e accanto a essa un bianco cipresso diritto; là scendendo si
raffreddano le anime dei morti. A questa fonte non andare neppure troppo
vicino; ma di fronte troverai fredda acqua che scorre dalla palude di
Mnemosine, e sopra stanno i custodi, che ti chiederanno nel loro denso cuore
cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso. Di' loro: sono figlio della
Greve e di Cielo stellante, sono riarso di sete e muoio; ma date, subito,
fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine. E davvero ti mostreranno
benevolenza per volere del re di sotto terra; e davvero ti lasceranno bere dalla
palude di Mnemosine; e infine farai molta strada, per la sacra via che
percorrono gloriosi anche gli altri iniziati e posseduti da Dioniso.
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
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