domenica 23 maggio 2021

LA PENTECOSTE

 


Veni, Sancte Spíritus, et emítte cǽlitus lucis tuæ rádium.”

Carissimi Amici e Amati Fratelli,
fra tutte le celebrazioni cristiane – le quali ricordo essere forme che raccolgono un simbolismo e una sostanza che travalica nel tempo e nello spazio la piana narrazione religiosa – quella della Pentecoste è a noi la più cara e significativa. E’ essa la più cara in quanto tramanda l'effusione dello Spirito Santo dei doni sapienziali, teurgici e terapeutici negli apostoli, in coloro che hanno vissuto e testimoniato l’insegnamento in una militante vocazione: tutto hanno abbandonato e tutto hanno sacrificato per portare la parola e quanto, ben oltre l’apparire, ivi custodito. Essa, la Pentecoste, è per noi significativa in quanto costituisce la genesi di un potere, o meglio di un novero di poteri, che infonde sostanza al cristianesimo stesso, il quale – altrimenti – altro non sarebbe che un insegnamento morale in larga parte desueto e vetusto. Per quanto concerne i nostri perimetri e la nostra prospettiva, essa ci ricorda che ogni cristiano – da non confondere questo termine con cattolico – può in ogni momento e senza intercessione alcuna di casta sacerdotale ricevere questi doni particolari. Ciò accade In forza della sua aderenza spirituale alla fonte prima; in forza del suo effettivo agire e del suo retto operare. Essa al contempo ci ricorda quella mistica unione (la catabasi dello Spirito e l’anabasi dell’Anima) tramandataci nel Nymphôn. Il Nymphôn era un sacramento gnostico, attraverso il quale l'anima dell'adepto veniva "sposata" nella camera nuziale celeste con un eone del Pleroma. In questo modo essa veniva guidata e condotta nel superamento delle insidie degli Arconti, e liberata quindi dal loro potere esercitato tramite i sensi del corpo. Possiamo sicuramente immaginare che tale pratica avvenisse all'interno di una complessa cerimonia simbolica e rituale, e fosse riservata a quei discepoli avanzati nei segreti della gnosi.
Ancora la Pentecoste ci impone di ricordare come il nostro perimetro sarebbe solamente un simulacro psichico, qualora in esso assente fosse la centralità del CULTO DIVINO e della discesa del fuoco spirituale rappresentato dal fuoco spirituale. Ecco perché in questo giorno particolare vi invito a meditare, in solitudine di animo, sulla congruità di voi stessi rispetto al sentiero intrapreso; a meditare sulla vostra reale comprensione dei pesi e delle misure che lo animano. I doni arriveranno non per tutti, ma per coloro che saranno raccolti con veri fratelli nell’attesa, nella preghiera, nella meditazione e all’ombra della riconciliazione.

Nuova Diodati: Atti 2,1-11 La discesa dello Spirito Santo 1 Come giunse il giorno della Pentecoste, essi erano tutti riuniti con una sola mente nello stesso luogo. 2 E all'improvviso venne dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dove essi sedevano. 3 E apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano, e andarono a posarsi su ciascuno di loro. 4 Così furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi. 5 Or a Gerusalemme dimoravano dei Giudei, uomini pii, da ogni nazione sotto il cielo. 6 Quando si fece quel suono, la folla si radunò e fu confusa, perché ciascuno di loro li udiva parlare nella sua propria lingua. 7 E tutti stupivano e si meravigliavano, e si dicevano l'un l'altro: «Ecco, non sono Galilei tutti questi che parlano? 8 Come mai ciascuno di noi li ode parlare nella propria lingua natìa? 9 Noi Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, 10 della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia che è di fronte a Cirene e noi residenti di passaggio da Roma, Giudei e proseliti, 11 Cretesi ed Arabi, li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue!».

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martedì 23 marzo 2021

RIFLESSIONE ATTORNO ALLO STATO DELLE COSE. UNA RISCOSSA TRADIZIONALE


“DA OGGI, LO SPIRITO TRIONFERA’ SUL PANICO E LA LUCE  DELLA CONOSCENZA FENDERA’ LE NEBBIE DELLA PAURA E DELL’IGNORANZA.”

ELENANDRO XI


Amatissimi Fratelli e Sorelle,


Oggi, in questo disgraziato presente, dove tutto è posto in discussione e ogni certezza è frantumata dalla paura e dalla coercizione dobbiamo necessariamente interrogarci in merito al rapporto esistente fra le Strutture Iniziatiche e il mondo contemporaneo. In altri e semplici termini è doverosa una riflessione in merito all’idoneità del messaggio iniziatico tradizionale, nei confronti della struttura psicologica ed animica dell’Uomo Contemporaneo e delle forze esogene ed endogene che (talvolta come un maglio e talvolta come un folle vasaio) agiscono senza sosta sull’uomo. I corpi rituali del settecento e dell’ottocento, il quadro simbolico e teurgico di riferimento, è oggi perimetro docetico e filosofico sufficiente per garantire un viatico di risveglio interiore per noi uomini del terzo millennio? Uomini oramai assoggetti a regole, pesi e misure ed imposizioni che niente hanno di “naturale” e ancor di meno di “tradizionale”; uomini che non mirano più alle stelle, che non volgono più lo sguardo ad un futuro radioso di conquiste e successi, ma sono tristemente sprofondati nel liquame di posticci ideali, accecati da un falso percepito dell’io e nel contagio, quello vero, della confusione e della paura. Uomini non più saldamente raccolti nelle identitarie e tradizionali comunità, dove ognuno aveva un ruolo in base al valore e al merito, ma imprigionati nella più funesta delle reclusioni: quella del falso individualismo e dell’illusorio eterno presente contemporaneo.   Falso individualismo perché mai come oggi tutto è livellato verso il basso; ed è questo un illusorio eterno presente in quanto tutto, e noi ben lo sappiamo, avrà comunque fine a livello individuale e collettivo. La rovina è il feretro degli umani costrutti: orfani della Luce della Conoscenza. Non possiamo, da tradizionalisti che non si lasciano certamente confondere dal progresso meccanico, che considerare come questa nostra civiltà non è la soluzione al problema, ma il problema senza soluzione; come questa nostra società non è la cura dei mali, ma il male privo di cura; come questa nostra cultura non è la luce della ragione, ma la tenebra dell'ignoranza; come questo nostro tempo non è degli eccellenti e dei forti, ma della massa mediocre e debole. Ritenere che l’azione invasiva delle eggregore di questo mondo, la forza plasmante e modellante dell’ipermodernismo e la disgregazione valoriale non siano colpi feriali alla struttura psicologica, animica e fisica dell’uomo contemporaneo e, al contempo, non siano demoniaci agenti di prevaricazione da cui preservarci è assolutamente errato ed espressione di una debole ragione e di una scolorita iniziazione. Ritenere che quanto sopra esposto, e sotto gli occhi delle menti libere, non sia un acido dissolvente nei confronti dei legami formali iniziatici, non sia un’onda d’urto di inaudita potenza atta a tutto polverizzare, è la risposta dello struzzo e del pavido. Certamente non posso che guardare con un certo disprezzo coloro che hanno la pretesa di occupare, non si sa a quale titolo, ruoli “apicali” e conformarsi allo stato delle cose, tranquillizzare fedeli e fratelli che tutto tornerà alla normalità e suggerire di continuare ad operare con identici mezzi (qualora possibile) in attesa di tempi migliori. Maggior disprezzo è rivolto nei confronti di quanti hanno la pretesa di essere del nostro numero e pavidamente temono questo flagello: senza aver minima coscienza di quanto avverrà. La paura non è qualità dell’iniziato che ben sa che il suo misero transito avrà comunque fine. NIENTE TORNERA’ COME UN TEMPO! Prima il vostro ego deformato e deformante se ne renderà conto e meglio sarà per voi.

Tutte le considerazioni di cui sopra, e altre che verranno, ci pongono innanzi al decisivo quesito:

“Siamo oggi in presenza di un tale divario fra Uomo Tradizionale e il presente degenerato, da rendere inadeguato ogni strumento di Opera Filosofica e Laboriosa?” 

Sicuramente dobbiamo avere il coraggio e l’intelligenza, di contestualizzare ogni deposito iniziatico, e la forma che lo raccoglie, all’interno di un ambito forgiato ed influenzato dal tempo che lo ha visto fiorire. Con onestà dobbiamo sottolineare come antropologicamente, psicologicamente e spiritualmente l’uomo dell’oggi, non è certo l’uomo di trecento anni fa. Non solo, ma l’uomo di questo esangue e castrato presente non è certamente l’uomo di due anni orsono. La macina dell’Heimarméne è sempre più possente, sempre più meccanica, sempre più inarrestabile e sempre più inesorabile. Osservando la generazione a noi precedente, ma anche un uomo o una donna che sono separati da noi dal semplice scarto di qualche decennio, non possiamo che riscontrare profonde differenze non solo di prospettiva di vita, di scala di valori morali e religiosi, ma anche, e soprattutto, di percezione individuale e sociale.  Indubbiamente questa nostra società contemporanea è caratterizzata da una parcellizzazione ossessiva, la quale ci ha condotti ad essere individui meritevoli, sulla carta, di un novero impressionante di diritti soggettivi, anche se in genere non garantiti da reale tutela, e al contempo ci ha scollegato da quella rete collettiva di solidarietà comunitaria, psicologica e spirituale che ha da sempre contraddistinto l’uomo come specie sociale. Tutto ciò evidentemente influisce sulla struttura psichica/energetica/animica umana, e di conseguenza sulle forme iniziatiche che sono anche sommatorie di individui.  Un Ordine, una Loggia e una Catena di Amore e di Forza non sono un qualcosa di scisso rispetto al mondo circostante, ma è bensì un punto di unione fra quanto è disposto sul piano orizzontale e quanto si diffonde dal piano verticale. In questo frangente storico, dove le più elementari regole di unione e di relazione sono poste in discussione e dove i rimedi sono soventi peggiori del male, inevitabilmente le strutture iniziatiche devono o dovrebbero ricalibrare la loro azione: onde preservare il fuoco e l’integrità dei fratelli.

Ogni struttura iniziatica reale è tale perché si collega direttamente ad una forma apparente della Tradizione, e ad una sostanza spirituale che in essa è raccolta . Al contempo le grandi visioni che essa offre, sono il frutto di ideali, di affreschi metafisici e di imponenti cosmogonie che necessitano di capacità di autentica lettura interiore da parte dell’iniziato. Questa è il risultato non solo di studio e di opera, ma anche di una sensibilità che non può che derivare da un vivere consapevole ed armonioso, nel riconoscersi come membro di una continuità culturale, razziale e spirituale: in altri termini Identità e consapevolezza della propria identità. Affinché ciò abbia qualità di sostanza è necessaria l’esistenza di adeguate maestranze, capace di operare continuamente al fine di servire il culto, istruire i nuovi adepti e delimitare e proteggere il perimetro del tempio.

Tutto ciò sembra oggi franare inevitabilmente sotto i colpi di una degenerata modernità. Certo possiamo sostenere che ogni epoca ha avuto elementi di antitradizionalità rispetto alla precedente, e ciò perfettamente ovvio, in quanto in ogni rizoma del tempo umano sussiste un necessario punto di divergenza e fuga che precede la nuova sintesi. Essa, la sintesi, però deve muoversi in un solco, che è ben cadenzato dai tempi e dalle misure dell’Uomo e del Divino, e non certo dalle cieche pretese dei burattinai, consapevoli o inconsapevoli, che pretendono di plasmare il mondo in virtù di distopie, morbose burocrazie, schiavitù finanziarie, tumorali precetti mondialisti, e sincretistiche espressioni religiose e spirituali. La distruzione delle culture autoctone, l’abbattimento dei depositi tradizionali, il livellamento culturale/psicologico porta inevitabilmente l’uomo ad essere scollegato da qualsiasi influsso spirituale, e preda delle Eggregore mortifere ed invasive di questo nostro mondo. Un uomo divelto da ogni collegamento orizzontale e verticale, è solamente un numero livellato verso il basso, indistinto ed indifferenziato, oggetto del consumo e della prevaricazione. A ciò si aggiunge la mal opera di coloro che, come topi e termiti, si sono introdotti nei nostri perimetri senza adeguata preparazione, senza adeguato spirito e senza adeguata purificazione. Una empia gramigna che tutto ha infettato con il proprio ego sopraffatto da frustrazioni e desideri fin troppo profani, trascinando nella melma dello psichismo ammantato da pseudo iniziazione schiere di beoti alloro volto in cerca di riscatto da un’esistenza mediocre. Osservando la sciancata fisicità, la deforme moralità e il canovaccio privo di costrutto di fin troppi personaggi che popolano certi palcoscenici sedicenti esoterici, mi sovviene che oramai fin troppo sia stato irrimediabilmente corrotto.

Innanzi a tutto ciò, comprendete fratelli miei che i nostri gruppi, le nostre colline, la nostra catena non sono astrattamente composti da Iniziati che vegetano sotto una campa di vetro, o che per merito del potere della nostra iniziazione sono occultati al mondo dal mantello di Apollonio. I nostri iniziati ogni giorno vivono in un mondo antitetico alla nostra scala di valori e necessità. Quanto è angosciante ed invasivo il secondo, quanto il nostro vorrebbe essere ermetico e ristoratore il nostro. Quanto il nostro percorso mira alla rettificazione interiore, quando il mondo demiurgico quaternario ci contamina con mille istanze, e ci divora con contingenze ed impellenze. Senza adeguata comprensione di tali evidenti dinamiche, i nostri ambiti finiranno per essere a loro volta invasi e contaminati, sradicati dal loro alveo tradizionale, e resi sterili filosoficamente e operativamente. 

Quanto oggi viviamo non è altro che una progressiva, pianifica e diabolica corrosione che agisce da secoli, tesa a distruggere ogni retaggio storico, ogni simbolo di riconoscimento, ogni patrimonio che colleghi l’uomo alla sua dimora celeste. Prima l’avvelenamento dei pozzi e adesso l’insabbiamento dei medesimi; in tal modo L’uomo, così come noi lo intendiamo, sta morendo: assetato e appassito, privo della vitale linfa spirituale.

Fratelli Miei, se l’uomo di oggi non ha più consapevolezza della propria esistenza, e memoria di ciò che lo rende individuo, come potrà accedere alla Memoria Antica che in esso dimora? La quale è fruibile solamente preservando ed utilizzando determinate chiavi, che immutabilmente sono giunte fino a noi grazie all’occultato traghettamento ad opera delle Culture, delle Filosofie e delle Religioni Tradizionali. Purtroppo queste chiavi sono state oggi spezzate proprio laddove si era fatto sommo voto di preservazione. Coloro che si erano assunti l’impegno innanzi al popolo di tutelarlo e difenderlo, lo stanno svendendo. Coloro che pretendono di rappresentare il tramite con il divino, compiono atti scellerati contro l’uomo e la natura. Coloro che si erano assunti l’obbligo di rappresentare e tutelare il popolo lo stanno asservendo con l’inganno. Ciò dovrebbe essere evidente anche per il più dormiente di tutti noi.



Le stesse strutture iniziatiche non sono rimaste immuni dal corrotto spirito dei tempi. Riscontriamo come la sovversione abbia agito in esse tramite quattro linee di azione: 

1. Una forte influenza teosofica e massonica illuministica che ha portato ad annacquare prima, e recidere poi ogni collegamento con la Tradizione. Il simbolo è decaduto a vuoto segno, e la parola sacra si è involgarita a confuso balbettio. E’ bene capire che la trascendenza di ogni forma religiosa e tradizionale non è relativismo, è bensì comprensione dei meccanismi e delle misure. La quale permette di liberarsi dal giogo delle forme, e non rifuggire in un vuoto astrattismo. La Trascendenza è una sintesi a posteriori di un’opera realmente compiuta, il relativismo è un pensiero tumorale, che ammorba le menti e le anime. Ciò inevitabilmente a portato alla confusione dei depositi docetici, e delle qualità da ricercarsi in un iniziato.

2. L'incapacità di selezionare coloro che bussano alle porte dei Templi. Valutando esclusivamente requisiti meramente formali, riducendo in molti casi tale valutazione ad ambiti di convenienza sociale/politica/economica. Con la conseguenza dell'allungamento delle catene iniziatiche e il loro progressivo sfilacciamento.

3. Il coprire posizioni di vertice, di governo delle energie, e del potere iniziatico, con figure, o figurine, non qualificate a tale ruolo. Incapaci di amministrare la docetica, di selezionare le future figure apicali, hanno determinato la rottura delle catene iniziatiche.

4. L'impossibilità di passare dalla fase informativa, spesso ridotta ad un maldestro e maleodorante minestrone, ad una fase formativa. Chi medita, chi prega, che pratica puntualmente, chi studia la meccanica del rituale? Ciò ha determinato lo svuotamento energetico delle catene iniziatiche.

Questo è il dramma odierno, facilmente riscontrabile, facilmente verificabile. Un dramma che ci ha condotto ad una situazione di morbosa proliferazione di ordini, strutture, senza dignità, senza storia, senza reale potere nelle maestranze. Di continue transumanze da un ordine all’altro in cerca di facili promozioni, o di illusioni attorno a miracolosi depositi rituali. Quando non siamo in presenza di meri e propri asservimenti economici, o di bassa politica all’interno di quelli che dovrebbero essere luoghi di Tradizione e Rinascimento Umano. Di strutture che niente hanno da dire e ancor meno da opporsi innanzi a quanto sta avvenendo. Strutture che falsamente predicano la nobilitazione del fratello o della sorella, che offrono trastulli tanto per impegnare il tempo e far sentire i propri membri come parte di qualcosa, che inorgogliscono i petti di pavoni e annacquano le coscienze e le menti. 

Innanzi a questo quadro, ben evidente per colui che desidera vedere, qual è il ruolo delle Istituzioni, ancora sane, che pretendono di custodire e tenere viva la fiamma della Sapienza? Cosa offrire a quell’uomo, oggi così diverso, in cerca di uno spazio sacro, di un bastione, dove edificare la cittadella divina? 

Ecco carissimi amici ed amatissimi fratelli su cosa è necessario interrogarsi realmente. Identità e Funzione nel mondo contemporaneo debbono essere temi reali, e rappresentare la cartina di tornasole fra istituzioni che veramente operano al fine di una reintegrazione dell’uomo e salvaguardia di una Tradizione Vivente, rispetto a quelle sedicenti istituzioni, che preferiscono mostrare ed elargire brevetti, patacche, prebende, e discorrere di qualche ingarbugliata e fantasiosa linea iniziatica. Quando ci presenteremo alla soglia da cui si accede al Tempio Eterno, a poco serviranno le collezioni di pergamene, a molto servirà l’aver Operato Realmente in accordo con la Tradizione e le contingenze della nostra epoca: Tradizione Vivente e Testimonianza Militante.

Il dovere di un Ordine Tradizionale non è solamente quello di passare un novero di insegnamenti, e trasmettere un’iniziazione,  ma è soprattutto quello di rendere entrambi cosa VIVA ED UNICA: di strappare questi concetti dal tempio delle parole e delle asserzioni e, con insensibile volontà, scolpirli nei nostri cuori tramite l’opera che tutto vivifica. 

Nostro compito è quello di trasformare l’iniziato in adepto e l’insegnamento in pratica laboriosa. Onde uscire dal mondo delle idee e della separazione, e rendere il nostro Fratello e la nostra Sorella capaci di comprendere e dominare il tutto. Ciò può avvenire solamente se siamo in grado di comunicare attraverso un linguaggio comprensibile per la psiche e l’anima del FRATELLO DI OGGI, e non certo per il fratello ottocentesco. Al contempo dobbiamo essere in grado di fornire all’iniziato utili strumenti con cui agire su se stesso, e procedere lungo la via della reintegrazione. Strumenti concreti, funzionali, realmente efficaci ed efficienti, che sapientemente considerano il tempo, e le forze che si muovono attorno e dentro di noi. Non posso che sorridere innanzi a certi ameni siti internet di sedicenti strutture iniziatiche, che tutto imbellettano e pongono in mostra (corpi rituali massonici e paramassonici, vie di perfezionamento individuale che si aprano a ventaglio, chiese gnostiche, linee iniziatiche che si perdono dietro mille e mille erogazioni spesso prezzolate, pacchetti di iniziazioni ricevute un tanto al chilo). E’ reintegrazione questa che viene offerta? Ricordate Fratelli miei tutto quello che viene elargito da altri, da altri ci può essere tolto. Tutto quello che è frutto del nostro lavoro interiore, giammai ci potrà essere rubato. Questa è la legge.

La reintegrazione non è un aspetto filosofico o dialettico, ma si connatura in una serie di operazioni e strumenti, e come l’arte insegna ogni operazione ed ogni strumento devono tenere in debito conto delle capacità dell’artigiano e delle qualità della materia da modellare. Ecco perché, semplicemente, non è possibile oggi pretendere di proseguire lungo tale nobile via senza calibrare gli strumenti in guisa delle esigenze e delle contingenze del nostro mondo. 

Ovviamente ciò non significa che le forme della nostra Tradizione debbano essere relegate in quanto vetuste, oppure che dobbiamo aprire il nostro deposito docetico a sospette ibridazioni o perniciosi inserimenti. Bensì la nostra rivoluzionaria risposta alle forze di prevaricazione, giammai così potenti e mortifere, è edificare una cittadella dalla duplice cinta muraria. La prima rappresentata dalla granita coesione dei nostri rituali individuali e collettivi. La seconda dal lavoro psicologico ed energetico che l’iniziato, sotto l’attenzione dei Superiore Incogniti Iniziatori e su di loro il Grande Maestro, deve compiere assiduamente. Queste due cinte si raccolgono, a loro volta attorno alla grande fiamma del CULTO DIVINO, rispetto a cui tutto è servizio. Tutto ciò colloca l’Ordine su di un piano superiore: quello di una guerra spirituale perenne fra le forze delle tenebre e della dissoluzione e le forze della luce e dell’integrazione.

Oggi a maggior ragione dobbiamo essere coesi, dobbiamo essere consapevoli della nostra identità la quale non è certamente legata alle misere contingenze di questo nostro corpo e di questo transito. Essa è espressione, per noi pochi, di un mondo superiore di assoluta ed immutabile verità. Queste certezza non è astratta, non è decantazione di illusione e suggestione innanzi alle cose di questo mondo. In sapienza vi dico che sono quest’ultime ad essere illusione e suggestione in quanto esse sono destinate a perire inesorabilmente, mentre l’esperienza e il ragionamento ci portano ad intravedere come la nostra tradizione, quella gnostica, ha carsicamente attraversato civiltà, tempi e luoghi sopravvivendo a cataclismi umani e stravolgimenti naturali. Essa ancora oggi è presente in noi. 

Ma l’identità non è sufficiente, a tempi di emergenza si risponde con l’audacia e con la forza. Noi possiamo, in quanto siamo un Ordine che si raccoglie attorno ad un’idea Superiore e non risponde alla lettera morta di falsi precetti. Nel marzo 2020 la nostra struttura formale ha prodotto una reattiva risposta agli eventi, dando vita alla figura del fratello “uditore”. E’ questo un uomo o una donna impegnato lungo un sentiero rituale, fermamente cadenzato, che ha ancora non ha ricevuto l’iniziazione ma che partecipa anch’egli al servizio del Culto Divino e conseguentemente (questa la giusta processione) alla propria edificazione interiore. Il tempo e la volontà lo porteranno ad essere inserito nel cerchio interno. Ancora abbiamo costituito dei “Convivium Filosofici” dove sono raccolti fratelli e sorelle provenienti da altri Ordini, che assumendo alcune integrazioni rituali operano anch’essi alla celebrazione del Culto Divino, pur mantenendo elementi a lori consoni. Queste strutture si vanno ad accompagnare alle Logge/Colline federate (logge sovrane che hanno deciso di federarsi nella nostra comunione eggregorica). 

Se ciò è la forma, vediamo adesso la sostanza. Il lavoro dei Superiori Incogniti Iniziatori è stato completato attraverso l’introduzione dei rituali dei quarti di Luna (crescente e calante), il lavoro dei fratelli è stato rettificato ed integrato attraverso doverose pratiche legate al governo delle energie interiori (pratiche invocative, evocative e cicli di comprensione interiore). Al contempo l’Ordine ha aperto finestre rituali verso l’esterno. Nessun uomo è un'isola! Grande è questa verità, che ricorda - con poche lapidarie parole - l'interconnessione esistente fra tutti gli esseri umani. Una connessione che se vissuta inconsapevolmente può condurre a grandi rovine, ma se compresa nei suoi aspetti sottili può permettere ad ognuno di noi di protendersi verso il cielo. Crediamo fermamente in ciò e al contempo siamo consapevoli delle gravi limitazioni fisiche di questi strani tempi e del loro corrosivo agire sull'articolata composizione dell'uomo. In considerazione di ciò abbiamo deciso di creare dei canali operativi-rituali per permettere a tutti coloro che lo desiderano di poter intraprendere un percorso di silenziosa ed individuale Opera Interiore. Oltre ad aver previsto un percorso da "uditore" (uomini e donne che ancora non hanno ricevuto la nostra iniziazione, ma che giornalmente operano ritualmente), l'Ordine pone a disposizione alcune porte di pratica strutturata. Queste sono la “preghiera sul cuore”, la “meditazione dei 28 giorni”, la “terapeutica” e gli “esercizi spirituali”. 

Orbene queste in estrema sintesi le nostre risposte “operative” e “strutturali” innanzi allo stato attuale delle cose. Ognuna di essa intimamente raccolta attorno al servizio del Culto Divino ed ognuna di esse baluardo contro la prevaricazione di questo mondo mortifero. 

Adesso, mi rivolgo a tutti coloro che intendano perseguire un percorso senza più essere ostaggio di sedicenti maestri dalla vuota retorica e dall’illusoria opera, di buffi personaggi che ostentano patenti onde camuffare la vuotezza del proprio animo e di incongrui fra quanto predicato e quanto realmente vissuto. Mi rivolgo a coloro la cui identità tradizionale è forte, che non hanno remora a giudicare quanto è giusto e separarlo dall’ingiusto. Mi rivolgo da coloro che hanno reale desiderio di operare all’interno di un edificio volto alla preservazione della tradizione e al culto dell’Essere. Io vi parlo e vi dico venite a noi e sarete accolti, venite a noi e sarete raccolti in una reale fratellanza d’Opera che trova genesi spirituale dell’Inno al Logos e strumento filosofico/trasmutativo nella formula Pentagrammatica. Venite a noi e il viatico avrà forma, sostanza e senso.

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domenica 2 settembre 2018

LA NOSTALGIA GNOSTICA


E' facile per il lettore esaltarsi nella meraviglia, o sprofondare nello sconforto, innanzi ai raffinati miti gnostici.Le elaborate teogonie, le machiavelliche cosmogonie, gli oscuri nomi, gli eoni infedeli, le suicide missioni salvifiche sono gli ingredienti comuni a ogni scuola e comunità gnostica, realizzando così un intricato, quanto raffinato, ordito per mente e anima.  All'estraneo, al curioso, potrebbe sembrare che nessuna di queste fratellanze gnostiche cristiane avessero pace  fino a quando non si differenziava rispetto alle altre per qualche peculiarità, per un nuovo estroso nome demoniaco, o per qualche particolare mitologico. Vi è però differenza fra ciò che appare all'estraneo, e la sostanza che coglie l'adepto, ed è proprio su questo binomio ( apparenza –sostanza) che si fonda l'intera speculazione gnostica cristiana.


Prima di proseguire nella trattazione, è però necessario ricordare come la comunicazione gnostica non ha mai avuto come finalizzazione l'universalità umana, ma bensì quella di trasmettere all'interno delle strette fratellanze la luce, il verbo, i fondamentali, della scuola. Tale distinzione ragionevolmente ci porta a considerare che è l'uomo moderno, il non gnostico per eccellenza, che deve sforzarsi di comprendere  ciò che i pneumatici riservavano ai loro simili, e non stupirsi per la presunta incomunicabilità di questi ultimi che certamente non volevano e non potevano comunicare a colui che risultava esterno al cerchio.

Dobbiamo costatare come solitamente gli studiosi, i curiosi, gli esterni in generale, danno lettura del mito gnostico in chiave involutiva. Tale chiave discende dall'umana tendenza di ricercare ciò che è fuori e non ciò che è dentro, l'esatto opposto dell'azione percettiva-cognitiva gnostica che si muove dall’esterno verso l’interno.

La quiete del Pleroma è rotta dal desiderio di un Eone ( Sophia ) che, in virtù della propria colpa lunare, crea un Dio inferiore che a sua volta plasma altre potenze psichiche, il mondo, e l'uomo. Nell'uomo è prigioniera una particola di pneuma che anela a tornare al mondo celeste, sfuggendo dalla ferrea presa degli Arconti. Questo a grandi linee, salvo modifiche formali, è il tracciato del mito gnostico involutivo, com’è stato definito. Purtroppo tale lettura, o meglio la direzione della stessa, non corrisponde al moto iniziale, alla molla, della speculazione gnostica. Essa non è una nevrotica rappresentazione della Creazione e della Genesi della Creatura per eccellenza innanzi a un Dio prima di Dio, bensì, come mostreremo a breve, una risposta intimistica e scevra dall'onnipresente fardello degli dei al perché pochi anelino a non essere, a liberarsi di ogni umano limite, di ogni imposizione posta dall’uomo a se stesso. 

Lo gnostico è l'unità di misura di ogni fenomeno, e ogni fenomeno è esterno allo gnostico. In tale prospettiva intima è negata ogni sostanza, ogni assolutezza, ogni immutabilità a tutto ciò che lo circonda. Lo gnostico intuisce ( attraverso i doni divini, conseguenti alla propria naturale condizione di risveglio ) la profonda caducità della creazione, il vacillare della mente nel trovare giustificazione omnicomprensiva a quanto la circonda, la persistente insoddisfazione che le cose di questo mondo gli procurano e, di riflesso, l'incapacità di trovare nel mondo ristoro per l'anima. Leggiamo: 

<< L'anima erra in un labirinto, infelice, non c'è via di uscita davanti al male..... tenta di sfuggire al caos amaro, ma non sa dove dirigersi >> ( Salmo dei Naaseni )
L’anima gnostica è racchiusa nel corpo fisico, e resa in catene dalla percezione dei sensi, incapace di trovare soddisfazione e appagamento in quanto la circonda. Il mondo esterno  assume forma di intricato labirinto. Essa non trova linimento alcuno al dolore che anzi è amplificato dalla constatazione che a esso non vi è uscita. Questo salmo Naaseno rappresenta al meglio l'origine della speculazione gnostica che non è riconducibile al  fenomeno depressivo, ammantato di retorica o aulico fraseggio, bensì attivo interrogarsi su di uno stato di disagio, di perenne insoddisfazione, di intuizione che vi è altro oltre il fitto ordito della realtà. Lo gnostico riconosce un disagio intimo, non dettato dall’avere ma dall’essere, e a esso vuole dare risposta e rimedio. Il primo atto dell'anima gnostica è rappresentato dal riconoscimento di una prigione  e dalla ricerca di una via verso la libertà. Non è, infatti, il primo atto di colui che desidera evadere, quello di rendersi conto della prigionia in cui versa ? Questa volontà di trascendenza non è forse ciò un attivo relarsi ?

<< questo fuoco è ingannevole, poiché dà agli uomini un'illusione di verità e li imprigiona in una dolcezza tenebrosa >> ( tratto dal Libro di Tommaso l'Atleta )

Una sorta di profonda malinconia pervade tutto il pensiero gnostico, fino a prendere la forma della nostalgia che accompagna il pneumatico lungo il proprio viatico terreno. Se ogni aspetto di questo mondo è avvertito come estraneo e alieno, è perché lo gnostico, nella visione che incarna, è figlio di un'altra terra, di un reame lontano, e si trova,  per caso capriccio o colpa, proiettato in una nazione lontana dagli usi incomprensibili. Attraverso i sensi, l'anima è inebriata, portata a dimenticare una condizione di stato  precedente a questa in cui adesso si ritrova, ma che persiste a livello di rimembranza. Ecco che nella nostalgia individuiamo la radice di ogni costruzione mitologica gnostica.  La nostalgia è quindi intesa sia come profondo lamento per ciò che fu, sia come perenne richiamo verso quello che sarà definito il Ritorno al Pleroma.        

<<1 Quand'ero un piccolo fanciullo dimoravo nel mio regno, nella casa di mio padre 2 lieto della ricchezza e del fasto dei miei nutritori. 3 Dall'Oriente, nostra casa, i miei genitori mi equipaggiarono e mi mandarono,.... (tratto dall'Inno della Perla)>>

Ritorno al Pleroma, o casa del Padre, è lo Zenit del percorso gnostico, la conclusione del sentiero di e verso  la luce che l'anima deve compiere, guidata dalla voce della nostalgia, potente Koan interiore. La nostalgia è la creazione del mito dal mito, o per meglio dire la germinazione della mitologia e cosmogonia gnostica ove il Nadir è rappresentato dalla condizione umana. Un mito titanico, per pochi eletti i quali,  dal basso della  prigionia, cercano di risollevarsi verso ciò che è perduto. E’ necessario rilevare come sia proprio la nostalgia, frutto della considerazione di ciò che si è, e di ciò che si prova a divenire, la pietra fondante di tutto il pensiero gnostico, il cardine attorno cui tutto ruota. E' nel dilemma dell'uomo, nel dramma di uno spirito incorruttibile in un corpo corruttibile che si forgia il pensiero gnostico. Un pensiero che si articola nel rapporto fra uomo e uomo, uomo e creazione e uomo dio.

Lo gnostico non trova risposte alla propria condizione nella Creazione, nella ciclicità del tempo, nel deperimento della materia. Egli si pone domande, cerca risposte che incarnano uno spirito antisociale e anticomunitario, in quanto non vede nella comunità, nel sociale, negli ideali, nella religione, soluzione al lamento e termine al movimento di ricerca.
 

L'unica soluzione a un universo feroce, che divora la vita per donarsi la vita, è volgere lo sguardo interiore verso un Dio prima di dio, estraneo al dolore del cosmo. Se attorno all’uomo vi è disperazione e morte, ciò non può essere frutto del vero Dio ma di un Demiurgo, di una divinità inferiore e  maligna che si manifesta nell'ordine costituito, nella catena degli eventi. Ecco quindi il Dio oltre Dio: Altissimo, luminosissimo, e assolutamente incomprensibile per l'uomo non gnostico. Un Dio così diverso e lontano dal carnale Dio del mondo monoteistico giudaico, circondato da un Abisso di Silenzio.  Come estremità opposta lo gnostico ha un'idea infima della materia e della Creazione, proprio in virtù di quanto esposto in precedenza: la non risposta che essa fornisce al dilemma umano.
L'indagare i costrutti gnostici attorno a questo tema  esula l'attuale portata di questo lavoro, teso esclusivamente a evidenziare la molla che tutto pone in movimento: la nostalgia.

<< Rifletto in che modo questo avvenuto. Chi mi ha trasportato in prigionia lontano dal mio luogo e dalla mia dimora, dalla casa dei miei genitori che mi hanno allevato ? >> ( G 328)

L'anima gnostica si interroga sul come e sul perché è oggi relegata in un corpo. Ecco il punto fondamentale che allontana ogni ombra di depressione dall'universo gnostico. Il pneumatico si pone delle domande sulla sofferenza che attanaglia il cuore, e a essa cerca risposta individuando una via di uscita:

<< O quanto mi rallegrerò allora, io che sono ora afflitta e paurosa nell'abitazione dei malvagi! O quanto si rallegrerà il mio cuore fuori delle opere che ho fatto in questo mondo! Per quanto tempo sarò vagabonda e per quanto tempo affonderò in tutti i mondi?>> (J 196)

L'anima gnostica non si lascia schiacciare dal peso della vita senza senso, ma anzi individua in essa un momento di purificazione, per quanto dolorosa e necessaria alla risalita. Constata lo stato delle cose, comprende che deve darsi, e mantenere al contempo coscienza di sé.

<<Sono una vite, una vite solitaria che sta nel mondo. Non ho un sublime piantatore, non ho un coltivatore, non un mite aiuto che venga ad istruirmi su tutte le cose>> (G.346)

L'anima gnostica è sola, ma questo non la abbatte, non distrugge l'anelito salvifico. Nessuna indicazione “diretta e lineare” della via dei ritorno, ma ciò non le impedisce di essere una pianta solare ( l'uva è un frutto cristico). Apprendimento, ecco la via di uscita. Attraverso il porsi nel mondo, nel trarre esperienza da ogni accadimento, vi è la risposta a ogni quesito. Se manca l’istruttore, allora è lo gnostico che si istruisce.

I Sette mi hanno oppressa e i Dodici sono diventati la mia persecuzione. La Prima Vita mi ha dimenticato e la Seconda non si da pensiero di me>> (J 62)

Oltre alle considerazioni che hanno accompagnato il nostro percorso fino a questo momento, non possiamo disconoscere come emerga una triplicità di elementi che, nelle loro relazioni, determinano e formano l'essere gnostico: il suo sentire. Spirito, Anima(gnostica) e Creato, ove la seconda sostanza è posta al centro, dilaniata e attratta, dall'uno e dall'altro polo. Un polo superiore che avverte, che intuisce, che anela, e un polo inferiore che la invade, la inebria tramite il desiderio, i sensi, i bisogni della materia. La nostalgia gnostica perdura per tutta la vita durante il tragitto infinito nel labirinto dei sensi, delle ombre e delle luci della mente... A un passo dalla follia, a un passo dalla santità. In quanto la gnosi salvifica e liberatoria non è un tendere, bensì un essere o non essere, e fino a quando non è raggiunta perdura lo stato nostalgico, che anzi tende a dilaniare con maggiore violenza l'animo dello gnostico che ancor più si inerpica lungo la via senza ritorno.  Chi sono i sette se non  le pulsioni, i desideri dei sensi, e i dodici non sono forse la ciclicità del tempo attraverso il ripetersi dei giorni, dei mesi e delle stagioni ? Tempo e desideri ci legano a questo mondo.

Da questo straziante condizione di essere e non essere, da questa amara constatazione sulla natura umana, si determina  la convinzione nello gnostico, di essere diverso: straniero in terra straniera.

Sulla nostalgia gnostica, la Mater del Mito, incontriamo la germinazione del mito gnostico che,  oltre gli Arconti, i bisessuati, la Sophia, la Zoe, gli Eoni Incorruttibili, la Barbelo e il Pleroma, trova conclusione nel ritorno, dopo l'epica lotta dei pochi, del solo contro la moltitudine delle cose tutte. In un titanico sforzo di ricomposizione di ogni porzione psicotica dispersa, di ogni brandello di memoria, in quel mosaico chiamato Uomo, in un anelito sussurrato del Dio prima di Dio: dell'Uomo prima dell'Uomo. 

99 Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che mi aveva mandato:

100 io avevo adempiuto i suoi comandamenti ed egli mantenne quanto aveva promesso

101 alla sua porta mi associai con i suoi principi:

102 egli si rallegrò di me e mi accolse ed io fui con lui, nel suo regno,

103 mentre lo lodava la voce di tutti i suoi servi.

104 Promise che anche alla porta del re dei re sarei andato con lui

105 con la mia offerta e con la perla mi sarei, con lui, presentato al nostro re.


Sicuri che vi è altro oltre i sensi, la carne e la mente, e che vive in noi attraverso il ricordo di un Ideale Superiore. Questa reminescenza ci anima e ci guida nella follia di un mondo che muore a ogni istante per poi rinascere come un Dio cannibale che si nutre dei figli che ha creato, e quindi crearne di nuovi. Se questa molla fa difetto, se questo ricordo è assente, se questa volontà è un fuoco fatuo o spento, allora la nostra vita non sarà altro che un non senso, che un'occasione sprecata, che un servire da pasto alla Luna vorace e famelica. La nostalgia non come rammarico e fuga ma come pallido ricordo di ciò che fu, e che può tornare ad essere: peso insostenibile per alcuni, via di redenzione per altri.

ELENANDRO XI
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MARCIONE


Analizzando la storia e gli avvenimenti del Cristianesimo primitivo, gli studiosi assolutamente non possono non incrociare una delle personalità più interessanti dell’epoca: Marcione, vescovo e teologo greco antico, fondatore della dottrina cristiana che prende il nome di Marcionismo e senza dubbio uno dei primi a creare un canone del Nuovo Testamento. La sua storia è giunta sino ai nostri giorni unicamente attraverso gli scritti di alcuni suoi oppositori, grandi eresiologi del II e III secolo d.C., come Ireneo, Clemente Alessandrino, Origene, Ippolito, Tertulliano, Epifanio, Atanasio e molti altri. Purtroppo le sue opere teologiche, ossia i Vangeli e le Antitesi, sono andate perse. Ne abbiamo tracce autentiche solo nelle citazioni fatte dagli studiosi della sua eresia.
Della sua vita privata non si riscontrano molte informazioni dettagliate. Si pensa sia nato approssimativamente nell’85 d.C. a Sinope, una città dell’attuale Turchia che si trova nella penisola di Botzepe, sulla costa del Ponto sul Mar Nero. Suo padre era il vescovo della Chiesa Cristiana di quella regione. Già in giovane età si distingueva per la sua intelligenza, era uno studioso notevole, molto rispettato, che spiccava tra gli uomini del tempo. A causa del tradimento che fece alla Chiesa per via della sua ideologia venne scomunicato dal suo stesso padre. Grazie alla sua professione di commerciante e armatore di navi, che gli permise di accumulare ingenti beni, si trasferì a Roma all’incirca nell’anno 140 d.C., con l’idea di propagare la sua fede e di disporre le sue ricchezze al servizio di questa causa.
Contemporaneo di Basilide e Valentino, si crede che Marcione aderisse alla corrente gnostica e ai vari pensieri dei suoi esponenti, condividendo il fondamentale concetto gnostico delle dottrine dualiste e dell’“estraneità” del vero Dio, concezioni che diverranno propriamente sue e conserverà nella sua ideologia.
Attingeva in modo elementare dalle Docetiche gnostiche delle personalità dell’epoca; mettendo da parte tutto l’impianto mitologico, trasse una chiara distinzione tra il Dio tetragrammatico dell’Antico Testamento “YHWH” e quello del Nuovo Testamento. Il primo è il Dio degli Ebrei, autore della Legge, che secondo Marcione è un Dio conosciuto, creatore e giudice del mondo materiale nonché dell’uomo, identificato come il demiurgo della cultura classica, mentre il secondo è un Dio trascendente, assolutamente buono, che si è svelato attraverso Gesù Cristo. Questi però non è incarnato, ma solamente manifestato con le sembianze di un uomo tra gli uomini, mandato per salvare l’umanità dalla tirannia del Dio cattivo dell’Antico Testamento. Secondo l’eretico solo quest’ultimo era il vero Dio che avrebbe portato alla salvezza.
Alcuni studiosi prendendo atto della sua fede cristiana in relazione alla salvezza per grazia divina, ed essendo il suo impianto teologico lontano e privo delle complesse speculazioni cosmogoniche gnostiche, non lo collocano tra gli gnostici del momento. Potremmo definirlo “cristiano gnostico”, perché egli credeva che la Fede in Cristo, più che la Gnosi, fosse causa di redenzione.
Per quattro anni frequentò le riunioni della Chiesa Cristiana Romana, condividendo con essa le proprie idee, anche se col tempo iniziò a suscitare molte polemiche tra i padri della stessa. Tutto ciò obbligò la Chiesa a chiedere a Marcione una spiegazione formale riguardo alle sue affermazioni fortemente avverse all’ortodossia. La sua difesa fu inutile e la sua idea dualistica di un “Dio cattivo e un Dio buono” fu inaccettabile per la dogmatica cristiana. Per questo venne dichiarato eretico e quindi scomunicato dalla grande Chiesa. Gli costò l’esilio e l’oppressione, e il teologo greco Policarpo arrivò persino a definirlo il “primogenito di Satana”. In seguito, secondo gli eresiologi, Marcione stabilì rapporti con lo gnostico siriaco Cerdone.
Fondò e organizzò la Chiesa Marcionita, liberando il suo cristianesimo da ogni legame con l’Ebraismo mosaico. Marcione costituiva la maggior minaccia per la Chiesa primitiva in quanto era molto organizzato e disponeva di sufficienti beni per divulgare le sue teorie. I suoi insegnamenti furono rimarchevoli e accolti nel cristianesimo del II secolo d.C., e nel III secolo ebbe grande fioritura in diverse regioni del Mediterraneo e in Oriente: Grecia, Egitto, Palestina, Arabia, Siria, Asia minore, Persia… Italia, Gallia.
Creò una Chiesa, a differenza di molte altre personalità gnostiche dell’epoca le quali si limitarono a creare soltanto Scuole di pensiero. Emersero Chiese marcionite perfettamente organizzate, composte da vescovi, con una disciplina ecclesiastica e un culto al servizio, della stessa natura di quello che più tardi divenne quello della Chiesa Cattolica. I marcioniti erano più rigidi persino degli asceti, astenendosi dalla carne, dal vino, dal matrimonio (i nuovi convertiti, se sposati, dovevano immediatamente sciogliere l’unione matrimoniale).
Clemente Alessandrino afferma: «Per via di opposizione al Demiurgo, Marcione respinge l’uso delle cose di questo mondo» (Clem. Alex., "Strom." III, 4, 25), dunque secondo il suo pensiero, il principio morale di Marcione non era: “compiere” come comanda Dio ad Adam-l’Umanità in Genesi, ma “ridurre” il mondo del creatore e farne il minor uso possibile. Fortemente assodata è l’opposizione alla procreazione mediante il matrimonio. Continua Clemente Alessandrino: «Non volendo aiutare a popolare il mondo fatto dal Demiurgo, i Marcioniti stabiliscono l’astensione dal matrimonio, sfidando il loro creatore e rendendo culto all’unico Dio buono che li ha chiamati. Pertanto, non volendo lasciare nulla di proprio quaggiù, diventano casti non per un principio morale, ma per ostilità al loro fattore, e per non voler servirsi della sua creazione». (Clem. Alex., loc. cit.)
Già verso la fine del III secolo la Chiesa marcionita era in ripiegamento, però continuò ad essere abbastanza vitale in varie regioni d’Oriente ancora nel V secolo, e sopravvisse sporadicamente ancora a lungo. Il pensiero marcionita continuò tuttavia ad essere latente e influente lungo la storia del Cristianesimo fino ai giorni nostri. 
Si ritiene che Marcione muoia nel 160 d.C. E poiché il suo lavoro speculativo e filosofico non mancò di errori e quesiti, dopo la sua morte i suoi discepoli cercarono di sviluppare delle teorie per sopperire alle imperfezioni lasciate dal maestro.
L’eretico Marcione creò un suo “Nuovo Testamento” e mise in moto un processo grazie al quale, indirettamente, la Chiesa ufficiale emergente si rese conto della necessità di organizzare i vari Testi, che sono la fonte del cristianesimo, in un proprio Canone.
Nella sua dottrina o “Vangelo di Marcione”, l’eretico raccolse soltanto il Vangelo di Luca, eliminandone le parti scomode che secondo il suo pensiero risultavano essere troppo impregnate di giudaismo.
Certi studiosi sostengono che il suo vangelo sia costituito da una parte del Vangelo di Luca, senza aggiunta alcuna e si differenzia da quello integrale di Luca perché:
          Manca l’intero capitolo 1: sia la prefazione che dice esplicitamente trattarsi di una revisione di testi e tradizioni precedenti, che la narrazione della nascita del Battista, l’Annunciazione, il Magnificat (“ha soccorso Israele come aveva promesso ai nostri padri”) ed inoltre il Benedictus il signore Dio di Israele;
          Manca l’intero capitolo 2: nascita e infanzia di Gesù;
          Dal capitolo 3 mancano l’invito alla sollevazione del Battista e la genealogia di Gesù;
          Mancano varie frasi nei capitoli intermedi, tutte con riferimenti ad Israele e all’Antico Testamento;
          Manca quasi tutto l’ultimo capitolo 24 ed in particolare la narrazione delle apparizioni.

Come si può notare, si tratta di capitoli e paragrafi che legano Gesù Cristo alla tradizione e alla storia ebraica e che danno senso politico alla sua opera.
Accoglie le Epistole di Paolo di Tarso quali le Lettere ai Galati, le due ai Corinzi, ai Romani, le due ai Tessalonicesi, ai Laodicesi (che nel canone cattolico è chiamata lettera agli Efesini), ai Colossesi, ai Filippesi e a Filemone.
Secondo Marcione, Paolo evangelista fu il primo a capire veramente la missione di Cristo, e ad aver salvato il suo insegnamento dall’oscuro settarismo ebraico.
Tuttavia l’apostolo Paolo inizia molte delle sue Lettere con la frase: “Grazia e pace a voi, da Dio nostro padre e dal Signore Gesù Cristo (Romani 1:7; Efesini 1:1; 1 Corinzi 1:3).” Per Paolo Dio ci fa dono della grazia e ogni grazia scaturisce da Lui.
L’apostolo è convinto che tutto è già stato realizzato gratuitamente per mezzo di Gesù Cristo. Ecco perché nessuno può vantarsi, perché le nostre opere non ottengono la grazia di Dio per merito, ma semplicemente la manifestano: sono un’espressione del fatto che l’uomo è stato trasformato.  È proprio a causa della Gratuità del perdono di Dio che Paolo sente il potere della Grazia. I peccati non possono mai annullarLa.
L’apostolo si è mostrato contro la circoncisione della carne la quale è segno e simbolo di Alleanza con Dio, di Conversione a Lui, non perché voleva fare un cristianesimo facile, ma perché aveva capito che lo Spirito richiede una circoncisione superiore, quella del cuore, una trasformazione interiore. L’esortazione a “circoncidere il cuore” è un invito alla conversione che Paolo ha imparato dalla Torah e dai Profeti, Parola di Dio di cui si è nutrita la sua fede ebraica, Parola a cui lui aderisce (cfr. Levitico 26,41; Deuteronomio 10,16; 30,6; Geremia 4,4; 9,24-25). In Romani 2,29 Paolo dice che è questa la vera circoncisione al di là del sigillo posto nella propria carne, come segno di adesione all’alleanza, il quale non è obbligatorio per i non ebrei che si convertono al cristianesimo.
La Legge non può giustificare l’uomo, ma solo la Grazia ricevuta attraverso Gesù Cristo. Vivere questa grazia è tuttavia una sfida ancora più radicale di quella che presenta la legge e richiede una resa totale. Questa chiamata alla grazia e alla risposta totale alla morte è una parte essenziale del suo insegnamento e della sua vita.
Marcione esclude tutte le influenze giudaiche dell’Antico Testamento, i Vangeli di Giovanni, i sinottici Marco e Matteo, considerando questi ultimi contaminati da alterazioni ebraiche ispirate da un Dio minore.
Marcione infatti non accettava l’immagine di un Dio pieno d’ira che si manifestava sul monte Sinai suscitando timore al suo popolo e non ammetteva nessuna continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Il suo culto, costituito da amore, misericordia e compassione, subisce sicuramente l’influsso del medioplatonismo, riassumendo essenzialmente il concetto che la salvezza non si possa ottenere attraverso la Legge e le Opere, ma mediante un Dio straniero e buono. Marcione minaccia i circoncisi di dover sopportare il peso della legge del Dio minore da cui Cristo era venuto a liberarli tramite il messaggio di fede che agisce attraverso l’amore (questa antitesi tra Fede e Legge diventerà il fondamento dell’esegesi marcionita della Bibbia). Questi concetti furono il suo fulcro dottrinale; i marcioniti conseguono la salvezza grazie all’amore di Dio in Gesù Cristo, il quale abolisce la “Legge” per la compassione del Padre verso il genere umano affinché si ponga fine alla schiavitù. Cristo discese all’Inferno, luogo in cui il Demiurgo poneva sia i peccatori che i giusti; tuttavia nella sua discesa non salvò Abele, Abramo e Mosè, padri dell’Antico Testamento, che avevano obbedito alla giustizia inesorabile del Dio minore e alla legge del taglione; salvò invece tutti coloro che hanno meritato punizioni terribili per aver disobbedito alle regole della giustizia del Demiurgo.
Dunque, se il luogo dei tormenti viene svuotato da coloro che non hanno riconosciuto il Dio minore, questo rimane pieno dei giusti, dei patriarchi e delle loro discendenze, cioè il popolo d’Israele che non si è convertito a Gesù.
La critica più forte a Marcione viene riscontrata nel testo di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, “L’Adversus Marcionem”, opera costituita da cinque libri contenenti informazioni sufficienti a creare un quadro del sistema marcionita in cui lo scrittore attacca il teologo e il suo vangelo. L’opera, diversamente da quanto sostiene Marcione, afferma che il creatore del mondo non è diverso dal Dio buono e che Cristo è proprio il Messia annunciato nell’Antico Testamento e non è un eone eccelso in un corpo apparente (l’eone che gli gnostici intendono come un essere spirituale procedente per emanazione dal Principio supremo).
Altre informazioni sull’eretico possono essere trovate in molti dei lavori di Tertulliano come il “De Praescriptione”, il “De Carne Christi”, il “De Resurrectione Carnis” e il “De Anima”.
Alcuni dei padri della Chiesa, quali Giustino, Ireneo di Lione ed Epifanio di Salamina, sostengono la posizione dello scrittore Tertulliano in relazione al fatto che Marcione abbia riformato il testo di Luca per adattarlo alle sue tesi.
Essi rimproverano al teologo cristiano Marcione di minare l’attendibilità e veridicità di Luca e Paolo. Anche se ridotti, essi proclamano l’unicità del vero Dio di quel Gesù che essi professano.
Credono inoltre che Gesù è vero uomo, ebreo di nascita di formazione di fede religiosa, credente nel Dio dell’Antico Testamento e praticante secondo la Bibbia Ebraica.
Per la chiesa antica, che lo trasmette ai suoi fedeli di ogni generazione, è determinante che il Credo cristiano si fonda su un Libro unico che raccoglie i Testi dell’Antico e del Nuovo Testamento in un canone continuativo, senza interruzione della storia della salvezza.
Lo sguardo su Marcione porta a considerare il Cristianesimo dell’”Ortodossia” e lo Gnosticismo. Possiamo dedurre che attraverso i secoli si è costatato come tutte le dottrine gnostiche avessero dei punti in comune, e come la questione della salvezza è ricorrente in tutte loro. Molte di queste sono state accolte favorevolmente dalle masse, e per questo ebbero grande diffusione nei primi due secoli della nostra era. Il movimento Gnostico ebbe senza dubbio, un ruolo molto importante per la Chiesa, poiché è stata la prima esplorazione filosofica del cristianesimo. Questa ricerca è stata condotta dai vari gnosticismi dell’epoca contenenti elementi cristiani, mistici, neoplatonici e orientali.

DEDALUS


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Etienne Marconis: Il Rito di Memphis ed il Ramo d'Oro di Eleusi - Seconda Parte


Jacques-Étienne Marconis de Nègre nato a Montauban il 3 Gennaio de 1795 e morto a Parigi il 21 Novembre 1868, è certamente una delle figure più interessanti nell'ambito della libera muratoria francese del secolo XIX.
Il Rito Muratorio di Memphis, da lui elaborato probabilmente facendo ricorso a tutto quello che aveva appreso nel corso delle sue varie numerose iniziazioni ai gradi più elevati sia del Rito Scozzese che del Rito di Mizraïm, costituisce con ogni probabilità uno dei corpus rituali più completi e vari di quelli giunti ai giorni nostri.
Forse è per questo motivo che questo Rito, che si era affermato in Francia sotto la monarchia degli Orléans, venne arbitrariamente e forzatamente fatto assorbire all'interno dei Riti del Grande Oriente di Francia, con contestuale riduzione dei gradi da 95 a 33, per non fare ombra e concorrenza al Rito Scozzese che andava per la maggiore in Francia sotto il secondo impero di Napoleone III e che godeva dei favori governativi.
Quello che ufficialmente era chiamato Rito di Memphis o Rito Orientale di Memphis o anche Antico e Primitivo Rito Orientale di Memphis è ampiamente descritto nel saggio scritto e pubblicato nel 1849 da Marconis intitolato “Hermès ou Le Sanctuaire de Memphis” .
Marconis descrive i principi di questo Rito, che si allontana un poco dalla muratoria tradizionale transalpina, in questo modo:
“Il Rito massonico di Memphis è l'erede dei misteri dell'antichità; esso educa gli uomini a rendere omaggio alla divinità; i suoi dogmi riposano sui principi dell'umanità; la sua missione è lo studio della saggezza che serve a discernere la verità; è l'aurora benefica dello sviluppo della ragione e dell'intelligenza; è il culto della qualità del cuore umano e la condanna dei suoi vizi; è infine l'eco della tolleranza religiosa,l'unione di tutte le credenze,il legame fra tutti gli uomini,il simbolo delle soavi illusioni della speranza che predica la fede in Dio che salva,e la carità che fa benedire”.
Questi principi, sapientemente diffusi da Marconis, la cui serietà e spessore culturale erano fuori discussione, contribuirono fortemente al successo di questo Rito, ma questo successo, come abbiamo visto, portò molto presto all'invidia ed alla neutralizzazione della comunione.
Originariamente Jean-Etienne Marconis de Nègre aveva articolato il Rito di Memphis in 92 gradi divisi in tre serie:  la prima serie, di 35 gradi, era costituita dai primi tre gradi simbolici tradizionali di Apprendista, Compagno e Maestro ed altri 32 che in parte riprendevano omonimi gradi scozzesi, come ad esempio il Maestro Eletto dei Nove, il Gran Maestro Architetto, il Cavaliere dell’Arco Reale, il Cavaliere della Volta Sacra, il Principe Rosa Croce di Heredom, il Cavaliere Kaddosh, il Grande Inquisitore Comandante, il Sovrano Principe del Real Segreto, il Cavaliere Grande Ispettore per concludersi con il Gran Comandante del Tempio.
La seconda serie, dal 36° al 68° Grado, comprendeva gradi di ritualità che spaziava fra le tradizioni egizie ed orientali ed al tempo stesso riprendeva temi alchemici che erano stati elaborati nel secolo precedente dal Barone Théodore de Tschoudy, braccio destro di Raimondo di Sangro.
Ma non può neppure essere tralasciato il cenno alla tradizione norrena che fa capolino nel grado chiamato Cavaliere Scandinavo.
La terza serie, che va dal 69° al 92° Grado, approfondisce alcune tematiche della serie precedente e soprattutto comprende alcuni gioielli rituali, come il Sublime Cavaliere del Triangolo Luminoso (o del Delta Sacro), o il Sublime Maestro dell'Anello Luminoso, che possiamo annoverare fra i più bei testi della muratoria egizia.
A questi gradi ne vennero poi aggiunti altri tre, 93° Sovrano Principe del Santuario di Memphis, 94° Sublime Patriarca Principe di Memphis e 95° Principe e Patriarca Gran Conservatore dell'Ordine e del Rito, a completamento della piramide iniziatica.
Possiamo affermare che quello ideato o elaborato da Marconis fosse un sistema fornito di una certa coerenza e logicità, in quanto, aldilà di alcune ridondanze con Gradi piuttosto fantasiosi ed i cui nomi avevano il probabile scopo di fare colpo sui massoni francesi in cerca di novità (es. Saggio Shivaista, Principe Bramhano, Pontefice di Ogygia, ovvero l'isola ove secondo l'Odissea la ninfa Calipso tenne prigioniero Ulisse per quasi nove anni,etc.); va riconosciuto a Marconis di aver aveva saputo abilmente miscelare il Rito Scozzese, il Rito di Misraim, l’Ordine degli Architetti d'Africa e, probabilmente anche l’Ordine dei Filadelfi di Narbonne per dar vita ad un “Corpus Rituale”interessante e di notevole spessore iniziatico che purtroppo nella sua interezza è di fatto sconosciuto ai più.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che Marconis, emulando i fantasiosi fratelli Bédarride, abbia inventato di sana pianta qualche rituale; tuttavia, se così è stato, occorre parimenti ammettere che queste invenzioni non erano campate in aria ma messe su carta attingendo a Testi antichi ed alle fonti della Sapienza Tradizionale, come dimostrano chiaramente le invocazioni di apertura e di chiusura dei Lavori muratori, da lui illustrate nel citato "Le sanctuaire de Memphis".
Quello che più comunemente viene contestato a Etienne Marconis è di aver voluto fare voli pindarici sulle origini “mitiche” del Rito da lui fondato con il solito quanto scontato riferimento ai Templari  (definiti non origine ma culla della Libera Muratoria): nella sua introduzione al testo, chiamata “Storia Abbreviata della Massoneria”, Marconis parte da lontano ovvero dagli albori delle prime civiltà umane sorte nella Valle dell’Indo per poi passare in Egitto (e così si spiegano i gradi dedicati a Brahma e ai Veda), in Grecia e nel vicino Oriente, con un curioso quanto interessante passaggio su Mani, perseguitato dai sacerdoti di Mithra.
Sarebbero stati i Cavalieri Templari ad abbracciare i tre grandi insegnamenti di Mani, il dualismo, fede nei due principi, il sabaothismo, adorazione delle forze della natura ed il jobaismo, o culto di un dio unico, ed a celebrarne in segreto quei misteri.
Marconis narra che i Templari avrebbero avuto questi insegnamenti in Palestina da alcuni seguaci di un saggio egiziano chiamato Ormus che sarebbe stato convertito al cristianesimo addirittura dall’apostolo Marco. Ormus avrebbe riunito attorno a sé un gruppo di discepoli e fondato una scuola di scienze salomoniche che si sarebbe perpetuata nei secoli sino ai tempi della prima crociata. Questa dottrina sarebbe poi stata comunicata ai primi Cavalieri del Tempio che l’avrebbero esportata in Europa.
Di questa leggenda si trovano spunti in numerosi testi rituali della seconda serie.
Non occorre molta fantasia per concludere che in questo caso, proprio come il Mizraim dei Bédarride, Marconis si sia sbizzarrito con espressioni e leggende "forti" che avevano lo scopo manifesto di attirare affiliati per il suo Rito, soprattutto provenienti dal Rito Scozzese, che si arrestava al 33° Grado, e che non disponeva di questo ventaglio di opzioni iniziatiche.
Come scrive in prima persona nei suoi testi, Étienne Marconis aveva diviso gli Antichi Misteri di Memphis in due classi, i piccoli ed i grandi. I piccoli avevano lo scopo di istruire gli iniziati nelle scienze umane, essendo la sacra dottrina riservata agli ultimi gradi di iniziazione, ovvero la grande manifestazione della Luce.
Fra la conoscenza delle scienze umane e quelle della sacra dottrina vi erano gradini simbolici da salire attraverso un percorso a carattere iniziatico.
Tutti i misteri ruotavano su tre punti principali: la morale, le scienze esatte e la sacra dottrina. Dal primo al secondo punto o grado il passo era abbastanza semplice ed avveniva senza intermediari; ma, giunti a questo secondo grado dell’iniziazione, occorrevano lunghe preparazioni che erano l’oggetto di tre altri gradi simbolici: il primo terminava e completava i piccoli misteri; gli altri due aprivano i grandi.
Era solo al primo grado simbolico, ovvero il terzo dell’iniziazione, che erano esposte le prime leggende e, proseguendo nei secondi due ci si esercitava a penetrare il senso di queste leggende e si diventava degni della grande manifestazione della Luce.
Tutto ciò comprendeva le preparazioni, i viaggi ed i simboli e quella che veniva chiamata tecnicamente “autopsia”, che non va confusa con il moderno termine medico di esame del cadavere.
Le preparazioni si dividevano in due classi: la prima aveva come titolo simbolico “Saggezza” e per oggetto la Morale. Gli iniziati si chiamavano Thalmedimiti o discepoli. La seconda aveva come titolo simbolico “Forza” e per oggetto le scienze umane. Gli iniziati di questo secondo grado si chiamavano Heberimiti o associati.
I viaggi ed i simboli erano divisi in tre classi: nella prima, chiamata i funerali, gli iniziati portavano il nome di Murehemiti; nella seconda, chiamata vendetta, prendevano il nome di Berimiti e nella terza, chiamata l’affrancamento, quello di Nescheriti.
Il grande complemento dell’iniziazione, l’autopsia, era il coronamento dell’edificio, la chiave di volta.
L’iniziazione consisteva nella conoscenza del dogma monoteista che veniva rivelato ai soli grandi iniziati: esiste uno ed un solo dio.
Il Panteismo era la religione dell’antichità e questa parola viene dalle parole greche Pan e Theos, che significano Tutto e Dio, e cioè che Dio è tutto.
Tutto questo, ovviamente, viene scritto da Marconis in linea teorica, perchè era umanamente impossibile che un membro del Rito di Memphis potesse giungere ad avere conoscenza completa di tutti quei segreti che anticamente erano rivelati al settimo ed ultimo grado.
Per fare ciò sarebbe stato estremamente necessario adottare i tempi e le accurate precauzioni dell’antichità – a cominciare dal noviziato - e quindi prevedere tempi molto dilatati ed un impegno costante: tuttavia, in una società in via di secolarizzazione come la Francia dell'800, questo non era possibile, per cui si era reso necessario limitarsi a quelli che vengono definiti i “gradi superiori”.
Étienne Marconis, che, si badi bene, aveva messo per iscritto di considerare il Rito di Mizraim una pura invenzione dei Fratelli Bédarride,  aveva così creato una scala iniziatica in origine a 92 Gradi che si differenziava non solo dalla scala del Mizraim (sia nella versione veneziana che in quella spuria dei Bédarride), sia, per quanto attiene ai primi 33 gradi, dalla tradizione di quello che era in allora chiamato Rito Scozzese.
Marconis aveva posto al vertice di questa scala il grado di Sovrano Principe dei Magi del Santuario di Memphis, dove si trovava la venerata Arca della Tradizione.
Il Santuario di Memphis era composto da cinque grandi Dignitari e da sei Magi nominati a vita e cioè i cinque dignitari erano il Gran Hyerofante, il Sovrano Pontefice Gran Maestro della Luce, il Sovrano Principe dei Magi Sothis, il Sovrano Principe dei Magi Hori, il Sovrano Principe dei Magi Arsine, mentre i sei Magi erano due Magi Sothis, due Magi Hori e due Magi Arsine.
Colui che era di fatto il braccio destro di Marconis e che ebbe un ruolo importante nell’elaborazione del corpus rituale fu Antoine Muttet, colto massone dell'epoca ed autore od elaboratore di molti Rituali della seconda e terza serie.
Dopo l'assorbimento  da parte del Grande Oriente di Francia, avvenuto nel 1862, il Rito di Memphis scomparve quasi completamente dalla Francia per stabilire, al contrario, solide radici in Egitto (Grande Oriente di Memphis d'Egitto), in Italia (sopratutto a Palermo, sede del Grande Oriente del Memphis per l'Italia), negli Stati Uniti d'America (e da lì nell'America Meridionale) ed in Inghilterra.
L'anno precedente Marconis aveva dato alle stampe quello che può essere considerato il suo testamento spirituale, Le Rameau d'Or d'Eleusis, che nella prima pagina descrive il suo contenuto: "La storia riassunta della Libera Muratoria, la sua origine, i suoi misteri, la sua azione civilizzatrice, il suo scopo e la sua introduzione nei diversi paesi del mondo; l'origine di tutti i riti ed i nomi dei loro fondatori, il quadro di tutte le Gran Logge, i luoghi ove hanno sede, l'anno della loro fondazione, il rito che praticano, i nomi di tutti i Gran Maestri che le governano, il numero di quelli che ne fanno parte; i 95 rituali della Libera Muratoria che racchiudono tutte le conoscenze dei riti i più praticati, la spiegazione di tutti i simboli, emblemi, allegorie, geroglifici, segni caratteristici di tutti i gradi ed il Calendario perpetuo di tutti i riti massonici; il Kadosh templare con  l'Agape degli antichi iniziati, il Gran Capitolo della Rosa+Croce, il "Tuileur"  universale, i cinque rituali della Libera Muratoria d'adozione per le signore, etc.".
Si tratta di un programma quanto mai vasto che nel testo originale di prima pubblicazione si estende per oltre 520 pagine e che ovviamente non viene rispettato nella sua interezza.
Questo testo, tuttavia, rappresenta nell'ambito della muratoria ottocentesca uno dei libri essenziali per la comprensione di un mondo quanto mai affascinante e velato dal mistero.
Il Codice Massonico, che inizia a pagina 66 del volume, è composto da soli undici articoli che descrivono nell'ordine i doveri verso Dio, l'immortalità dell'anima, i doveri verso la patria, la famiglia, verso l'umanità in generale, la beneficenza (nel senso di fare il bene), i doveri verso il prossimo, la perfezione morale di sé stessi, i doveri verso i fratelli, verso l'amicizia e verso l'ordine di appartenenza.
Si tratta di un compendio morale quanto mai completo, che riassume in poche pagine tutta quella elaborazione filosofica dei compiti dell'uomo libero che è iniziata nella Scozia del XVII secolo e che è continuata in Francia nel secolo successivo, quello dei lumi, sulla scia di coloro che, in fuga dalla monarchia hannoveriana, avevano portato sul continente le basi per la diffusione degli ideali muratori.
Dall'art. 11, quello che descrive i doveri verso l'ordine di appartenenza, estrapoliamo alcuni versi che un saggio sconosciuto (il Gran Hyerophante) dice a Talete dopo avergli rivelato gli ultimi misteri: "Va e diffondi su tutta la terra le verità sublimi che hai appena conosciuti, ma soprattutto non scegliere e non accordare questo favore se non a coloro che se ne renderanno degni e non dimenticare che...
L'uomo passa quaggiù viaggiatore effimero
La fine del viaggio è per tutti un mistero
Teniamoci sempre pronti.
Andiamo dritti alla meta e se la strada è scivolosa
Aiutiamoci, avanziamo e dei sentieri del vizio
Evitiamo il percorso
Ma lasciamo dietro di noi tracce sulla strada
Come ciò che costruisce, l'uomo indubbiamente passa
Ma non tutto passa.
Il bene che ha seminato sui suoi passi fruttifica.
E' un tempio immortale che passando costruisce

Il Libero Muratore quaggiù.

ELEAZAR

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