domenica 23 aprile 2017

XVII. LA MISSIONE DI GESÙ (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.


XVII. LA MISSIONE DI GESÙ

"Sono venuto affinché le mie pecore abbiano la vita e l'abbondanza; ... Affinché  chiunque creda in me non resti nella tenebra. "(Giovanni X, 10; XII, 46)

Se io non credo che Gesù è il Figlio Unigenito del Padre posso ammettere tutte le esegesi umane: le leggende, i miti solari, i simbolismi, le iniziazioni dall’Egitto, dall’India, dalla Caldea e dal Tibet.
Ma se una particola del senso delle cose divine è stata donata a me indegno, perché noi restiamo sempre indegni nel ricevere la più piccola delle Luci eterne, io certamente so che Gesù non fu istruito da nessun adepto e da nessuna divinità. A differenza delle creature che si evolvono dal basso verso l'alto, lo sviluppo della Sua manifestazione terrena è progredita dagli spazi interiori verso quelli esteriori. Si è come involuto. Essendo la Verità, la Vita e la Via, Egli non ha bisogno di alcun studio per sapere il tutto, di nessun allenamento per potere tutto. Egli non doveva essere che Se stesso.
Cristo è una duplice perfezione: uomo perfetto, perfetto Dio. Non un uomo più evoluto rispetto agli altri, ma l'Uomo. Non un dio più grande di Brahma,  di Ahura-Mazda, o Giove, ma Dio. Potenza totale della creatura, Potenza totale di Dio, ecco la Sua Veste e il Suo mantello. Dalla sua nascita dunque, poteva tutto sapere e tutto controllare. Solo l'espressione della Sua conoscenza o del Suo potere furono soggette alle leggi della crescita fisiologica, perché Egli non è venuto in terra che solamente per obbedire a tutte queste leggi che Egli stesso aveva, fin dall'inizio dei tempi, emanato.
Le Sue parole, i Suoi gesti, i Suoi occhi seminavano la vita. Il suolo che i Suoi piedi calpestavano riceveva benedizione dal loro contatto. E ciascuna di queste innumerevoli scintille divine, deposte qua e là, nel nero humus del mondo, attendono, per aumentare e crescere, il sostegno della mia volontà. Anche io posso essere un giardiniere di questi fiori eterni. L'amore è il maestro supremo.

OSSERVANZA: Prima di qualsiasi azione chiedere a Gesù che illumini questo atto e il suo scopo.

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sabato 15 aprile 2017

XVI. PACE NEL CUORE (un anno un percorso)


Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.

XVI. PACE NEL CUORE

"Vi lascio la pace. Vi do la mia pace."(Giovanni XIV, 27)

Per possedere una forza, affinché divenga una parte costitutiva della mia personalità, bisogna che io l’attiri dalle immensità della sua profondità spirituale dove essa si trova allo stato perfetto. E la sola evocazione, sempre possibile, è l’Atto. Devo agire conformemente all'Ideale che io mi propongo di realizzare. Se è la pace che voglio, devo cessare la lotta dentro di me e intorno a me; per possedere la concordia, la discordia deve scomparire; per godere dell'armonia, bisogna che io lavori in armonia.
Tutto questo si trova in una parola: il perdono. Il perdono dei nemici esterni, il perdono dei nemici interni. Ai primi offrendo quanto reclamano; ai secondi agendo in conformità della legge. Perdonare il male non significa obbedire al male; devo subire il male quando io sono l'unico che ne soffre, ma devo contrastarlo quando questo attacca altre persone.
La Fontaine mi ha mostrato, nella mia infanzia, l'enorme quercia spezzata dalla stessa tempesta a cui resiste la canna. Più mi farò piccolo meno genererò delle concupiscenze e più io avrò la pace. Ma comunque, esiste un’umiltà figlia della paura, ed una pace dovuta all'egoismo. Bisogna che io mi faccia piccolo per mezzo della sincerità, perché io mi vedo come sono, spregevole e indegno. Per mezzo dell'Amore devo lasciare ai miei fratelli tutto quanto è superfluo, tutto quanto va oltre lo stretto indispensabile, in ogni necessità dei bisogni.
Qualunque cosa mi accada, seguendo questo piano irragionevole cosa posso temere, dal momento che per fare questo imito l'infinita umiltà di Gesù e che lo Spirito soffia dove Lui vuole?


OSSERVANZA: Lavorare senza la ricerca di profitto personale.

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IL MITO DELLA CADUTA NEL MARTINISMO - URIEL A:::I:::




Ogni tradizione iniziatica necessita di basi per potersi definire tale; una di queste basi, probabilmente la prima, è quella di possedere un mito fondativo su cui innalzare il messaggio che tale tradizione intende trasmettere. Il mito consente di trattare di fatti avvenuti in un tempo metastorico, quando la storia non esisteva; il mito diventa quindi quel necessario generatore di simboli che consentono di descrivere questi fatti metastorici in modo comprensibile, senza i quali la loro descrizione sarebbe semplicemente impossibile. Il mito fondativo del Martinismo è il mito Caduta dell’Uomo, così come narrato nel Genesi al terzo capitolo.
          Come è noto, in tale capitolo, si descrive il mito di Adamo ed Eva nell’atto di trasgredire un comandamento di Dio, tentati dal serpente, oltrepassando il perimetro dei limiti assegnato loro da Dio stesso; le conseguenze della giustizia divina saranno inevitabili, tra cui una vita piena di fatica e dolori, la cacciata dall’Eden, la vergogna della nudità e la mortalità della specie umana, in quanto con questo evento - la Caduta - l’uomo viene separato dalla divinità che è la fonte della vita.
         
          Ci sono varie interpretazioni di tale mito, ma tutte concordano con il fatto che a un certo punto avvenne un evento non ordinario che cambiò lo status dell’uomo, da una situazione superiore e privilegiata, a una inferiore e svantaggiata.
          L’interpretazione della letteratura giudaico antica, nel libro di Enoch, parla di angeli, i vigilanti angelici che si ribellarono a Dio e a causa di ciò caddero sulla Terra; lì si accoppiarono con le donne umane le quali partorirono giganti (detti anche i decaduti) che diffusero il male nel mondo. L’umanità, che era stata creata immortale, quindi si corruppe a contatto con questi angeli decaduti e diventò mortale per punizione divina. Altre interpretazioni, sempre in seno alla cultura giudaico antica, accusano talvolta Adamo di essere causa dell’accorciamento della vita della progenie, talvolta Eva come la vera responsabile che portò il peccato e quindi la morte, in quanto fu lei a cedere alle tentazioni del serpente. Inoltre le conseguenze di questa Caduta sono talvolta eterne, mentre altre volte hanno un termine; con il Diluvio secondo alcuni, con una nuova stirpe pia (quale quella di Noé) secondo altri. 
          Nell’interpretazione della teologia biblica cristiana, questo evento è più che altro considerato dal punto di vista delle conseguenze più che per gli aspetti cosmogonici dell’evento in sé; ad esempio l’apostolo Paolo denuncia la mancanza di intelligenza spirituale dei cuori, l’ottusità della mente su questioni spirituali, e che l’uomo è figlio dell’ira e come tale estraneo a Dio.
          Non mancano altre interpretazioni, quali quelle secondo i cattolici romani, i protestanti, l’islam e poi le varie filosofie e teologie che si dispiegano in modo variegato nel corso dei due ultimi millenni, ma non è possibile dilungarmi in questa sede.

          Personalmente — ma è una mia personale opinione e vale come tale — io penso che l’evento della Caduta potrebbe coincidere con la nascita della coscienza dell’uomo, ovverosia quando nello sviluppo evolutivo del genere umano, l’uomo abbia messo se stesso come oggetto dei suoi pensieri e questo, dal punto di vista formale, coincide con il momento in cui il linguaggio dell’uomo è diventato argomento del linguaggio stesso, quindi un argomento in sé. Con questo non intendo minimamente demonizzare l’evoluzione dell’uomo né tantomeno propalare idee anti-scientifiche, ma più semplicemente sostenere che un tale sviluppo era comunque inevitabile così come lo era una separazione tra Natura e Uomo che diventa razionalmente cosciente di sé, pagando quindi il prezzo della perdita di una naturalità primigenia.

          Al di là delle interpretazioni del mito, il Martinismo innesta su questo mito fondativo il concetto di Reintegrazione Universale, dapprima dell’Uomo nell’Uomo e poi dell’Uomo nel Divino. Infatti il concetto di reintegrazione implica un recupero di qualcosa che è andato perduto, e sottintende una possibilità di recuperarlo. Cosa sia andato perduto è appunto descritto dal mito della Caduta, resta però la questione se una reintegrazione sia possibile, e quindi indicarne un percorso.
          Il Martinismo è un ordine cristiano, ed è proprio nella figura del Cristo, nominato “Il Riparatore” già da Martinez de Pasqually, che viene individuato un altro evento non ordinario che riapre la possibilità affinché una reintegrazione possa essere quantomeno possibile, simboleggiato dalla Shin che scende sul Tetragramma, lo Spirito Divino che precipita sul dispiegamento della manifestazione polare, ovverosia il Cristo che dà la possibilità all’uomo di reintegrarsi con una spiritualità perduta.
          Qui sta il punto: tutto ciò è una possibilità. Per usufruirne serve un atto di volontà del singolo, che parte dall’Iniziazione e, al principio del cammino, ci si deve fidare del proprio Iniziatore e dei rituali ricevuti, che a loro volta sono stati ereditati dai Maestri Passati che li hanno concepiti e sperimentati. Con la pratica quotidiana e le purificazioni poi bisogna imparare a vedere i segnali del processo reintegrativo in corso. Del resto tutti i cammini iniziatici sono tali se provocano dei cambiamenti per cui si diventa innanzitutto diversi da se stessi, se si sa rinunciare serenamente alle tentazioni mondane che ci rendono legati alle pesanti questioni terrene, se si alimenta dentro di noi quell’anelito a ripristinare quella spiritualità naturale perduta con la Caduta e a ristabilire il legame con la Divinità.

          Nel Martinismo, il focus sta quindi soprattutto sulla risalita, nel ripristino delle facoltà perdute con la Caduta, più che nella Caduta stessa, che rimane nello sfondo come mito fondativo, appunto. Nelle varie tradizioni occidentali ci sono già riferimenti alle possibilità di risalita, quali il sogno della scala di Giacobbe (che rappresenta un canale di collegamento tra Uomo e Divino), la risalita del profeta Elia su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco (merkavà), i percorsi di risalita lungo l’albero sefirotico dal Regno verso la Corona, ma il Martismo ne fa proprio l’obiettivo fondamentale.

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LA MAPPA DEL SACRO - IMMANUEL I:::I:::




Il geografo Eugenio Turri nella sua opera “Il paesaggio come teatro” (1998) definì gli iconemi come “i dati incontrovertibili della percezione, i dati di partenza dell’operazione semiotica che ci porterà, a diversi livelli, a riconoscere un territorio o una regione, con i rapporti interni tra vari elementi, traducibili in segni” e ancora “le unità elementari della percezione, il segno di un insieme organico di segni, la sineddoche, come parte che esprime il tutto delle unità di paesaggio con una funzione gerarchica primaria. Sono gli elementi che maggiormente incarnano il genius loci di un territorio e la sua anima vera e profonda, sono il riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio territorio”. In un percorso iniziatico nell’ambito della meditazione e della ritualità si entra in contatto con immensi paesaggi simbolici dei quali si cerca di costruire una mappa, potremmo quindi traslare il significato filosofico del termine “iconemi” nell’ambito iniziatico e individuare nei vari simboli, linguaggi, movenze, cadenze del rituale e degli strumenti, nella fattispecie martinisti, gli iconemi di questo paesaggio dello spirito. Questo consente di circoscrivere un’identità del nostro corpus operativo e di perimetrarlo in modo da non cedere alle facili tentazioni di contaminazione che ne impoverirebbero le caratteristiche peculiari; il corpus operativo martinista proprio di un Ordine possiede infatti caratteristiche sue proprie strettamente connesse all’identità eggregorica che incarna. Dalla consapevolezza profonda dello spazio operativo in cui operiamo può scaturire quindi una riflessione sulle forme e le dinamiche dello spazio sacro, inteso non soltanto come spazio fisico o mentale nel quale si pone in atto l’operatività martinista, ma anche come spazio iconico, metaspazio nel quale il simbolismo vivente del rituale si stratifica e si modella in sinergia con l’operatore in un progressivo costruirsi di ponti e percorsi che rendono comunicanti le varie dimensioni del micro e del macrocosmo.  Solo quando questo spazio iconico raggiunge la sua completa definizione possiamo dire che dagli iconemi si è passati allo spazio dell’icona. Nella teologia cristiana d’oriente l’icona rappresenta il veicolo visibile dell’invisibile, l’essenza stessa del simbolo, la porta che attraverso l’immagine conduce alla visione dell’archetipo divino ma che in se stessa non reca alcuna natura divina. L’icona non ha caratteristiche ontologiche ma attraverso  il concorso dell’ecclesia orante coglie l’ipostasi del Logos nella sua specifica forma di Eikon e permette di contemplare il Prototipo della divinità immerso nella luce dell’astrale solare, del mondo archetipo arcangelico, come durante l’episodio della Trasfigurazione evangelica. Se il testo sacro veicola l’ipostasi divina attraverso il Logos e l’icona attraverso l’Eikon, il rituale teurgico, a partire dalle sue forme più basilari già presenti nel rituale giornaliero martinista, agisce secondo una logica analoga. Non sono i singoli elementi del rituale presi come tali a segnarne le peculiarità, bensì è la vivificazione del simbolismo tramite un concorso di elementi materiali che crea il supporto quaternario ideale per la costruzione di un campo dinamico che d’ora in avanti denominerò spazio sacro. La simbologia adottata dalla ritualità martinista, che è tradizionale quindi costantemente nutrita nell’Eggregore, in un estremo gioco di riduzioni e semplificazioni, combina elementi geometrici e numerici che si rifanno al quadrato, al numero 4, al numero 3, alla croce, al cerchio, al triangolo, al cerchio. La peculiarità del modo in cui percepiamo lo spazio fisico è che si vive in 3 dimensioni ma si proietta in 4 direzioni; lo spazio sacro sicuramente si proietta in 4 dimensioni, le quali vengono armonizzate dal cerchio e l’aspetto triangolare richiama l’idea di convergenza. Tuttavia le 4 dimensioni dello spazio sacro trascendono decisamente l’idea che possiamo avere di spazio. L’area sacra viene costruita partendo dai gesti rituali quali, come già detto, sono solo veicoli simbolici che, come i colori e il supporto ligneo in un’icona, permettono all’invisibile di manifestarsi in tutti i piani del visibile. I gesti che prevedono la proiezione del pantacolo, il tracciamento del cerchio, la croce cabalistica ecc generano reti sottili che attecchiscono nel piano astrale intercettando le correnti trascendenti provenienti dal piano archetipico e costituendo architetture geometriche basate sul quadrato e sul cerchio, figure piane sublimate però nel ripetersi frattale delle tre dimensioni dei corrispondenti solidi nelle infinite dimensioni dei piani dell’esistenza. Per chi abbia confidenza con la scacchiera massonica, è come se questo reticolo costituito da linee rette che si intersecano a 90 gradi venisse a riverberarsi in tutte le dimensioni fino a generare un ipercubo ad evoluzione infinita, il quale, essendo costituito da infinite proiezioni e roteando genera un’ipersfera, ovvero una sfera costituita da n-dimensioni. L’intima relazione che esiste tra il quadrato e il cerchio, come la famosa quadratura del cerchio, viene suggerita ad esempio nella topologia dove cubo e sfera sono omeomorfi, cioè possono essere trasformati l’uno nell’altra senza interromperne la continuità. In questo campo di lavoro il teurgo genera il suo spazio sacro e il suo ambiente di lavoro, non uno spazio astratto nel senso intellettuale del termine, ma uno spazio costituito dalle forme primordiali dei numeri e della geometria, il che in campo teurgico riveste una certa importanza, come ad esempio ci mostra il “Trattato della Reintegrazione degli Esseri” di Martinez De Pasqually.
La discriminante tra astrazione e realizzazione magica è, a mio avviso, nella percezione dello spazio sacro in cui si opera, uno spazio topologico dove non solo vige un omeomorfismo tra n-cubo ed n-sfera, ma dove anche i simboli tracciati a loro volta sono dominati da inediti rapporti matematici (ad esempio l’esagramma costituito da due triangoli opposti che si intrecciano ha le caratteristiche topologiche di un grafo euleriano, il che indica che esiste una qualche forma di tensione matematica che lo permea, ma l’analisi di questo esula dal presente lavoro). Finché lo spazio sacro viene immaginato sic et simpliciter, esso rimane un paesaggio immaginario. Per poter adeguatamente percepire lo spazio sacro il martinista deve porre in atto tutta una serie di pratiche preliminari il cui scopo è allargare la percezione di sé e del mondo oltre i confini sensibili, biologici e culturali. L’insieme delle pratiche di concentrazione, respirazione, visualizzazione, lo studio delle scienze iniziatiche e filosofiche atto a rimodellare i propri canoni di erudizione, la meditazione, la riprogrammazione delle proprie priorità esistenziali sui parametri del percorso iniziatico, tutto ciò insomma che, come scrive Joseph C. Lisiewski, costituisce la propria sintesi soggettiva, contribuisce a generare giorno per giorno la percezione dello spazio sacro, a patto che tutto ciò venga scandito dal ritmo e sostenuto dallo sforzo volitivo, per giungere a saturazione. La sintesi soggettiva, che costituisce tutto lo sforzo che il discepolo pone in essere per condensare e unificare il proprio cammino, riguarda l’intero complesso della propria esistenza ed è solo la cornice preparatoria e preliminare, l’insieme delle tecniche che permettono di transitare nella Via Cardiaca. Il rito giornaliero e le pratiche cicliche tipiche di ogni grado martinista rappresentano, nel continuum temporale, i punti di coagulazione dei propri sforzi al fine di costruire una solida sintesi soggettiva, sono i momenti in cui tutto ciò viene posto in atto, in cui tutta la tensione viene liberata e la percezione può di conseguenza superare le barriere della materia e metterci in contatto con i piani ulteriori, i piani oltre la nostra esistenza meramente materiale, in primis in piano astrale inferiore o astrale lunare. E’ importante notare che il contatto con il piano astrale inferiore può avvenire in maniera spontanea o poco più, come accade ad esempio nei sogni, ma questo costituisce solamente l’aspetto medianico ed emotivo della nostra esistenza a prescindere da un percorso iniziatico. Il martinista che ponga in atto la ricerca cosciente nel cammino rituale cerca invece di immergersi in modo volitivo nel mare astrale mantenendone il dovuto controllo attraverso la perimetrazione dello spazio sacro di cui sopra. Tra le tecniche preliminari a mio avviso un posto speciale occupa la visualizzazione, la quale permette realmente, se ben sviluppata, di controllare i fluidi e i simulacri che abitano il piano astrale lunare e di plasmarne a propria volta al fine di meglio astralizzare i simboli rituali e utilizzarli come strumenti sottili di lavoro; la visualizzazione di fatto parte come sforzo immaginativo, ma col tempo e l’addestramento permette di agganciare le istanze che trascendono la dimensione intellettiva e immaginativa.
Il percorso del grado di Associato, prevalentemente dedito alla Via Cardiaca, è specialmente dedicato alla purificazione, che si può aspirare a raggiungere se sono ben chiari i motivi che precludono la situazione di purezza. Il lavoro in luna nuova dovrebbe consentire di rischiarare la strada ai riflessi che provengono dai mondi archetipici superiori, i quali riflessi tendono a venire distorti o addirittura nascosti dalla torbidità peculiare dell’astrale lunare. Scrivevamo all’inizio di un paragone tra l’icona religiosa e il rituale martinista; è interessante notare come i religiosi dediti all’arte dell’icona compiano veri e propri atti preparatori e penitenziali, oltre a condurre una vita caratterizzata dalla preghiera, prima di accingersi a dipingere le icone. Nel lavoro rituale in grado di Associato si fa qualcosa di simile, si prepara il terreno, si prepara il proprio complesso psico-fisico come si tratterebbe una tavola di legno per la pittura, si compie un lavoro sulla propria moralità accompagnato da una prima cesellatura rituale al fine di iniziare a percepire e costruire quello spazio sacro che, quando si passerà al lavoro in luna piena, sarà divenuto acqua limpida pronta a veicolare la luce dell’astrale solare opportunamente filtrata. Lo spazio sacro così preparato, percepito al di là dell’intelletto nella sua tensione topologica cubico-sferica, è una immensa tavola da disegno millimetrata e reticolata pronta a dare ordine e senso ai riflessi di luce che provengono dal mondo dei Prototipi. Nel grado di Iniziato la ritualità quotidiana diventa così l’occasione per dispiegare lo spazio sacro e modularlo in modo che sia un portale, un Monte Tabor. L’Iniziato nella sua scacchiera n-dimensionale dispiegata a partire dai gesti rituali, utilizza la lama consacrata, autentico strumento di difesa e autorità, per tracciare il glifo teurgico, la cui origine è da rintracciare nella funzione di marchio e per estensione sigillo, chiave di chiusura ma anche di apertura a chi ne conosca il corretto codice. Il glifo teurgico ripropone la cadenza del 4 e il dinamismo del cerchio, in unione con la lama consacrata o spada magica esso diventa chiavistello, grimaldello proiettato sul lume individuale, che agisce nel reticolo della scacchiera n-dimensionale deformando topologicamente le linee che separano i quadrati per creare una breccia attraverso la quale si pone in atto l’invocazione teurgica. In Massoneria si dice anche che l’iniziato percorre la linea mediana che separa i quadrati della scacchiera, che si alternano tra bianchi e neri.
Caratteristica peculiare del lavoro teurgico è l’utilizzo dei così detti glifi angelici, ovvero segni, diagrammi, pittogrammi complessi che sintetizzano a livello grafico le qualità occulte della genialità angelica che rappresentano. Molto ci sarebbe da dire sull’uso dei sigilli angelici e sulle loro caratteristiche, così come in generale sui sigilli magici, la cui costruzione e il cui utilizzo possono servire a veicolare per condensazione cariche e fluidi astrali di ogni natura, sicuramente inferiore quando l’origine di tali sigilli è umana (basti pensare ad esempio alle tecniche di creazione di sigilli illustrate dallo stregone contemporaneo Austin Osman Spare). I glifi angelici sono deposito della tradizione teurgica occidentale e nel loro aspetto grafico racchiudono i più disparati simbolismi, al punto che la meditazione su queste immagini astratte può fornire un’ampia gamma di risultati intellettuali e intuizioni. Di fatto i glifi angelici sono circuiti metapsichici che, se utilizzati secondo opportune tecniche, fungono da ponti attraverso cui veicolare le ipostasi delle entità arcangeliche nel piano astrale lunare.
Arrivati a questo punto potrebbe risultare ostico capire in cosa consista il lavoro teurgico all’atto pratico, ma non è possibile in uno studio limitato come questo essere esaustivi, soprattutto perché l’arte teurgica ha bisogno di essere praticata a lungo per coglierne la profondità. Rimane comunque abbastanza evidente, a mio avviso, come l’arte teurgica abbia a che fare col mondo degli archetipi o, per dirla nel linguaggio della teologia ortodossa, dei Prototipi. Un Prototipo racchiude in sé qualità divine e al tempo stesso umane, quindi è in grado di realizzare un possente incontro tra il visibile e l’invisibile in questa Camera di Mezzo che è l’esistenza, di cui il mondo materiale non costituisce che l’ultimo stadio di emanazione. La peculiarità della teurgia è quella di generare le condizioni ideali affinché i Prototipi angelici possano entrare in comunicazione con l’uomo e riversare la Grazia che permette il percorso di Reintegrazione. L’atto teurgico non è dissimile da un atto sacramentale, meglio ancora diciamo che condivide con l’azione sacramentale diverse peculiarità, ma a sua volta rimane qualcosa di diverso. La ritualità teurgica condivide la struttura con i sacramenti ma al tempo stesso lavora sulle immagini sublimate come l’arte delle icone, l’atto teurgico si avvale di un variegato apparato simbolico in cui entra in gioco la visualizzazione come è tipico delle tecniche cardiache occidentali, ma al tempo stesso presuppone che si entri in uno stato sovra-intellettivo raggiungibile solo con la padronanza di alcune tecniche cardiache tipicamente orientali. Sicuramente è fondamentale che il teurgo superi le schematizzazioni e le apparenze della vita psico-biologica per entrare in quello spazio sacro e topologico dove si fa esperienza dell’invisibile e delle strutture stesse che sorreggono e demarcano i mondi sottili, per entrare poi in contatto con il mondo degli archetipi e trarne beneficio quando recherà nel suo percorso a ritroso i doni o “passi” ricevuti. Ciò che non si da per scontato però è che, nonostante le roboanti parole e intenzioni di molti estimatori della teurgia, forse appena confusi in merito ad essa, è che difficilmente si può assurgere direttamente al mondo astrale solare degli archetipi, questa peculiarità sembrerebbe appannaggio di pochi che per altro ne sono assurti dopo la morte fisica. Il teurgo, nella migliore delle ipotesi, può sperare, se ha lavorato bene nei percorsi preparatori, di beneficiare degli influssi del mondo archetipo angelico attraverso strumenti mediatori che costituiscono appunto la sostanza dei lavori teurgici.
Un esempio di ciò che nella vita quotidiana un adepto della via teurgica compie è il lavoro sulle virtù cardinali e sui vizi capitali, estensione e prosieguo su altri livelli dei lavori della meditazione dei 28 giorni e dei lavori purificatori. Nella ritualità quotidiana l’Iniziato mantiene il contatto con le gerarchie arcangeliche e utilizza gli strumenti di contatto sopra descritti all’interno dello spazio sacro topologico e, banalmente (o forse non tanto banalmente) non fa altro che ricercare l’aiuto divino alla maniera teurgica per poter lavorare in modo radicale sui singoli difetti del suo essere contrapposti alle virtù. E’ chiaro che nello spazio sacro dove si entra in contatto con gli schemi sottili costituenti l’essere stesso, il lavoro è ammantato, o meglio sintetizzato, da simbologie tradizionali e il lavoro sulla purificazione trascende, o meglio si trasfigura, rispetto al lavoro morale dei percorsi preparatori. Per semplificare possiamo dire che ad ogni Arcangelo corrispondono virtù e vizi, questi ultimi raffigurati dall’immagine della nera bestia dalle sette teste che sorge dal mare oscuro e profondo dell’astrale inferiore. Il teurgo, costruito lo spazio sacro, dinamizzatolo attraverso la deformazione topologica della scacchiera ipercubica col grimaldello del glifo teurgico e aperta la breccia, traccia il glifo arcangelico che veicola i carismi dell’arcangelo proprio. E poi che succede? La domanda andrebbe posta chiedendosi dove tutto ciò accade. Martinez De Pasqually insegnava ai propri Eletti Cohen che qualche segnale forse nel mondo fisico appariva ad indicare l’avvenuto contatto con le gerarchie angeliche, ma forse il Maestro intendeva altro, perché col tempo ho imparato che le manifestazioni su questo piano, qualora avvengano, sono sempre estremamente impercettibili. Tutto avviene nel piano proprio di lavoro all’interno di quello spazio sacro di cui vado cianciando fin dall’inizio e soprattutto avviene seguendo logiche e regole che trascendono i normali comportamenti e le classiche dinamiche della vita ilica. Mouni Sadhu nella sua opera “La Rota Magica dei Tarocchi” ha spiegato in maniera mirabile e fin troppo chiara che la filosofia iniziatica ragiona per triangoli che diventano quadrati, ovvero per copie di opposti che generano un terzo elemento neutro; l’unione dei tre elementi costituisce a sua volta un quarto elemento, il quale però funge anche da primo termine di una nuova copia di opposti e via dicendo. Lo scopo dell’iniziato è quello di neutralizzare le copie di opposti in maniera operativa, cercando il punto d’appoggio per la costruzione dei così detti “vortici astrali”. Sulla scorta di queste spiegazioni che trovano la loro origine nella verità della Tradizione, appare evidente come il lavoro sulla purificazione morale in Via Teurgica sia molto profondamente teso alla ricerca di quei punti d’appoggio che consentono la generazione dei vortici i quali nascono nel momento in cui l’Iniziato sia stato in grado, beneficiando dell’aiuto e dell’esempio proveniente dal mondo angelico invocato nello spazio sacro, di neutralizzare un vizio e la virtù ad essa opposta. Dove portano i vortici astrali? La domanda deve rimanere appannaggio di conosce la risposta.

Rimane infine essenziale capire che la Via Teurgica non deve essere percorsa con l’arroganza di cercare poteri sovrumani dispensati da entità sovrumane, le quali non sono entità personali come noi e nemmeno entità astrali inferiori a noi, ma sono entità Prototipiche, Archetipi divini che non cercano ma dispensano a chi sappia vedere le immagini divine nello spazio sacro con gli occhi degli Apostoli che videro la Trasfigurazione non sotto la luce terrestre ma sotto la luce del Sole superiore. Il lavoro parte sempre dalle concrezioni morali che non ci consentono di intuire in maniera consapevole il mondo divino e prosegue specializzandosi sempre con lo stesso scopo, in maniera sempre più profonda e peculiare, ma sempre sulle impurità si deve lavorare. Ogni altra ambizione è destinata a crollare miseramente e ad inabissarsi nelle acque profonde se non si parte da se stessi e dai propri angusti confini umani.

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LA GRANDE OPERA - Francesco S:::I:::




Il termine Grande Opera, nella Tradizione, sta ad indicare la costruzione del tempio dell’umanità.
Operazione alla quale, ogni “iniziato”partecipa dal momento in cui, la pietra cubica e levigata è parte integrante della Cattedrale in fase di costruzione,dove tutta la Massoneria universale partecipa.
Detto questo, mi pare doveroso osservare che il termine G.O appena descritto in chiave massonica, non è la stessa cosa che l’Alkimia (dall’arabo Al-Kimia) intende,infatti essa con il termine G.O sta a significare la costruzione del Tempio interiore,cioè l’uomo. Tale termine viene,da parte di alcuni Adepti della Tradizione Massonica,denominato Piccola Opera o Opera Prima. E’ implicito che coloro che conseguiranno l’Opera Prima saranno conseguentemente quella Pietra cubica e mattone essenziale per la costruzione del Tempio dell’Umanità o Grande Opera. Fatta questa doverosa premessa entriamo nel tema che la tavola mi impone.
Ogni uomo nel corso della propria esistenza terrena,riceve il richiamo Divino che sollecita l’Anima al risveglio,colui che lo riceve avverte qualcosa di interiore,un vuoto che non è vuoto esso contiene qualcosa di enigmatico, qualcosa che l’anima conosce e trasmette,ma non sempre,seppur percepito,viene decifrato dalla mente.Egli come frastornato e nello stesso tempo spronato da qualcosa di cui non ha piena coscienza e conoscenza,comincia a porsi domande esistenziali e concrete,sulla Divinità,sull’uomo sulla sua vita.E’ la carta numero 0 (zero) dei tarocchi,il Matto che ricevuto il richiamo ed in preda a forze a lui ancora oscure inizia il proprio cammino senza una meta precisa,egli non si affida a conoscenze precostituite nel mondo profano,ma alla fede ed all’intuito che dovranno guidarlo lungo la Via. Spesso questo richiamo rimane una voce che urla nel deserto (San Giovanni Battista colui che indica la Via) ed il richiamo si perde.C’è invece chi ode la “Voce” ne percepisce il messaggio ed inizia il cammino alla ricerca della “fontana sacra” dalla cui bocca sgorgano due fonti d’acqua che  trasformano colui che ad essa si disseta.
Ma non tutti trovano la via che ad essa conduce,una parte si perde nel proprio girovagare sconnesso,bruciati dal loro stesso fuoco,annebbiati dal fumo che si leva dalla loro stessa “Terra”. I più pazienti ed attenti dopo un periodo di riflessione ed introspezione iniziano il percorso che porta alla trasformazione,all’uomo nuovo alla Grande Opera,termine questo che sta ad indicare l’insieme delle operazioni che l’iniziato deve compiere per giungere al traguardo finale. Perché l’Opera abbia riuscita bisogna che l’aspirante artista sia ricettivo e volitivo che sia squadra e compasso,pronto a recepire l’azione del Mercurio. Lo stesso Maestro dell’Arte ha bisogno di pietre con tali qualità per proseguire nella Costruzione. Proseguire nella ricerca della Grande  Opera carichi dei nostri metalli e senza quell’essenziale bagaglio interiore fatto di fede,altruismo e fratellanza non servirebbe. Il recipiendario dopo aver abbandonato il gabinetto di riflessione inizia il percorso attraverso l’apprendistato,il cui simbolo è la Pietra grezza,segue poi il compagnaggio simbolicamente raffigurato dalla Pietra cubica,al Compagno viene richiesto di imparare a «levigare» quella «pietra» da lui virtualmente già «sgrossata» da «Apprendista» per ricavarne infine una «pietra cubica» che sia in grado «di inserirsi perfettamente nell'Edificio che i Massoni sono chiamati a costruire»,«Il Compagno è passato dalle tenebre alla luce; egli è ora, massonicamente, un uomo adulto. Dopo essere salito lungo una scala a chiocciola si trova ora in attesa di accedere alla Camera di Mezzo. Ma l'entrare in questo sacro luogo non vuol dire penetrare semplicemente in una stanza: l'accesso vero e proprio richiede che egli sia in grado di collegare mente e spirito alla ricerca della risoluzione del mistero che viene simboleggiato anche dalla lettera G. Ultimo passaggio è la maestria simboleggiata dalla pietra cubica levigata e sormontata da una piramide,raffigurazione questa,anche della Pietra filosofale.Il Massone dovrà morire simbolicamente due volte,la prima morte avviene nel gabinetto di riflessione,la seconda è la morte in grado di maestro che farà rinascere l’uomo nuovo che ha
trasformato la Pietra cubica levigata in Pietra filosofale per mezzo della quale giungerà all’Opera finale. Il simbolo del compimento della Grande
Opera è  illustrato dall’Androgino o Rebis (Re doppio). Una creatura che trascende ogni dualità, e realizza l’ “unione degli opposti”. Le famose “Nozze Mistiche” infatti, rappresentano l’unione che deve avvenire tra piano fisico e livello spirituale dell’iniziato. 
Giunti a questo stadio dell’opera la materia ormai sublimata e purificata non è più quel peso greve  che oscura lo Spirito,ma ne diventa l’espressione più nobile,senza la quale si innalzerebbe verso il piano dell’evoluzione assoluta. E’ necessario evidenziare che sia il
percorso Massonico che quello Ermetico-Alkemico passano attraverso riti e simboli;scienze che non si avvalgono della cultura profana anzi essa è spesso motivo di opposizione alla conoscenza ermetica dei simboli e dei riti che avviene attraverso l’intuito e l’illuminazione divina. Tanto il cielo coi suoi movimenti stellari e planetari, come la terra, le sue stazioni, elementi e regni, ed i vari esseri che l'abitano, parlano all'uomo in un linguaggio magico ed universale che da sempre l'umanità conobbe. Attraverso la contemplazione dei simboli della natura possiamo conoscere la realtà sensibile; ed è per mezzo di essi che l'essere umano arriva a conoscere sé stesso, nella sua interiorità, perché questi simboli hanno la virtù di potere condurre l'uomo alla regione della cosa soprannaturale e sopraumana.
 I simboli fanno riemergere dal nostro inconscio idee archetipe in esso assopite che riemergono se stimolate dall’intuito e dal fuoco interiore. Questo lavoro interiore illumina la mente facendo riemergere verità in esso nascoste e da noi acquisite in vite precedenti. Ma la dottrina simbolica Massonica molto ha attinto dalle scienze Ermetiche non ultime Kabbalah e Alkimia, quest’ultima giunse a noi attraverso l’Arabia proveniente dall’antico oriente. Nel medioevo e fino al sec. XVIII si diffuse in Europa attraverso gli ebrei sviluppandosi poi nell’arte metallurgica.  Ma l’Alchimia è l’Arte di mutare in oro i metalli vili e, con l’impiego della Pietra Filosofale, ottenere l’Elisir di Lunga Vita.
L’Alkimista ha come obbiettivo finale dell’Opera la trasformazione del piombo in Oro ,cioè portare la Materia (Mater) allo stato di purezza originario attraverso lo spirito .L’Artista non considera il corpo prigione dello spirito,esso è il mezzo di manifestazione dello spirito stesso nel mondo concreto del fare,l’Assiah Kabbalistico. L’Alchimista si propone di esplorare la materia fino in fondo, non teme di entrare nei suoi antri più profondi ed oscuri per estrarne la parte nobile, il così detto Oro Filosofale. Questo oro non ha nulla a che fare con l’Oro Volgare, infatti l’Oro dei Filosofi rappresenta l’Eternità e le qualità più elevate dell’uomo. L’Alchimia afferma che per ottenere l’Oro Filosofico occorre partire, però, dall’elemento più vile: il Piombo.
Il nome di questa scienza spirituale significa mescolare; è infatti l’Arte di legare sapientemente Spirito e Materia in un Composto che li trascenda entrambi.
Come per la Kabbalah spirituale, anche per l’Alchimia l’unione degli opposti mascolino/femminino,positivo/negativo,luce ombra ecc.., se positivamente vissuto e realizzato, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’Adepto esso è il traguardo che l’Alchimista persegue con tenacia attraverso lo studio degli Elementi della natura.
Nella Kabbalah,come in Massoneria, l’unione tra  gli opposti, viene rappresentata dai Pilastri di Destra e di Sinistra dell’Albero della Vita ed altre simbologie presenti in loggia(Jakin e Boaz).
Il Sale , lo Zolfo  ed il Mercurio alchemici rappresentano rispettivamente l’Acqua , il Fuoco ed il sale ,l’agente “universale” nel quale ambedue vanno a fissarsi.
L’estrema mobilità del Mercurio, unico metallo liquido, lascia capire che tale unione è oltremodo dinamica ed instabile. L’unione degli opposti, infatti, è un aspetto oscillante che va rinnovato ed adattato continuamente.
Il processo alchemico o Grande Opera consiste in una serie di operazioni che molti autori descrivono con linguaggio ermetico, perché un tempo si voleva sfuggire all’accusa di stregoneria da parte dei tribunali della “santa” Inquisizione.
Questo spiega come molte opere siano fatte di sole immagini; come ad esempio il “Mutus Liber” o il “Rosarium Philosoforum”, costituito da dieci immagini e poche righe.
Le figure più note sono quelle del Re, della Regina, e del Vaso ermeticamente chiuso nel quale hanno luogo le Nozze Regali.
Il Vaso Chiuso rappresenta la necessità di sigillare il rapporto, di mantenerlo isolato per evitare l’interferenza di elementi esterni che andrebbero ad inquinare il composto. L’eventuale “apertura del Vaso” lo cristallizzerebbe bloccando il processo. Tale “apertura” sarebbe un danno irrimediabile perché in una operazione mirata alla purificazione di “Sé” stessi, l’interferenza o l’introduzione di fluidi Mercuriali estranei, distruggerebbe i delicati equilibri del Composto.
Come la Kabbalah anche l’Alchimia mira ad unificare gli opposti attraverso un processo che si divide in diverse fasi. Nella prima, detta Opera al Nero o Nigredo, chiamata anche Putredo, da “putrefazione”, si devono abbandonare le identità egoiche o metalli già precostituiti in quanto potrebbero impedire l’effettiva realizzazione dell’opera. Questa fase consiste nel cercare e riconoscere i propri limiti e difetti che emergono più facilmente rispecchiandosi nel “Prossimo”. Ciò induce una sensazione di depressione psicologica, di abbandono e di “morte”. Senza questa esperienza dolorosa non è possibile iniziare il processo di trasmutazione.
Dice in proposito J. Evola:
"Ora,tutto il segreto della prima fase dell'Opera Ermetica consiste in questo: nel far si che la coscienza non sia ridotta e poi sospesa già sulle soglie del sonno, ma possa invece accompagnare questo processo in tutte le sue fasi, sino ad una condizione equivalente alla morte. La "dissoluzione- - continua l'Autore - diviene allora un'esperienza vissuta, intensa, indelebile - e questa è la morte alchemica, il "più nero del nero", l'ingresso alla "tomba di Osiride", la conoscenza dell'oscura Terra, il regime di Saturno dei testi".
All’inizio del rapporto, le due polarità non sono ancora compatibili del tutto, l’unione, il Composto, non è ancora “stabile”, i due elementi sono ancora troppo carichi delle rispettive specificità, problemi ed aspettative, della propria aggressività. La sensazione dolorosa che si vive è analoga a quella dei livelli più bassi dello Scorpione, che infatti è anche il Segno della rinascita spirituale. Questa prima fase da un punto di vista psicologico, è una vera e propria morte, un cessare di essere ciò che si era. Nigredo è la scoperta delle parti oscure di sé stessi; quelle parti che da soli non si era in grado, o non si aveva la volontà, di riconoscere come proprie, si possono non vedere od illudersi di non avere. Uno dei vantaggi del rapporto, sta nel fatto che i due elementi si fanno reciprocamente da specchio,il bianco (Compagno) riflette il nero(Apprendista) mostrando i rispettivi lati oscuri. La Putrefazione, deve durare solo quel tanto che serve a riconoscere e a prendere coscienza di ogni possibile negatività.
Dopo la sofferenza dell’oscurità e della discesa, viene una fase di gioia, di ascesa, di redenzione. La notte precede il giorno, proprio come insegna il libro della Genesi nella descrizione della Creazione: fu sera e fu mattina.
Il nuovo giorno è l’Albedo; dal Nero si passa al Bianco, il colore dell’Amore e della Grazia. Anche lo Zohar insegna che “non c’è Luce se non quella che viene dalle tenebre.”
La fase finale che segue l’Albedo è detta Rubedo per il suo colore Rosso. Si potrebbe pensare che questo colore rappresenti un momento negativo opposto al Bianco precedente; infatti Rosso è il colore del sangue e dell’aggressività marziana. Ma in questo caso è positivo, come
anche la Kabbalah insegna, il Bianco dell’Amore altruistico deve temperarsi con il Rosso della Forza. Se il Rosso è applicato assieme al Bianco perde le sue connotazioni negative. Nel caso specifico del rapporto di coppia, Rubedo è il fuoco dell’unione, la passione; l’eccitazione è senza dubbio positiva quando conserva la dolcezza dell’amore.
Un amore solo bianco rischierebbe di appiattirsi in una passività “acquosa” che tocca la coscienza, ma non la trasforma. Equivale a quel senso di ripetitività che può subentrare con il passare degli anni. L’amore solo bianco diventa facilmente un’abitudine, finché, come la neve, si scioglie lentamente. Il Rosso è l’eccitazione della scoperta, la forza mai sopita ed indomita che trasforma. Quando il Rosso delle emozioni agisce da solo può esser molto negativo; se però viene dopo od assieme al Bianco, è il miglior stimolante per il rapporto.
Emerge così la necessità di una sintesi di tutte le fasi, devono esser vissute e superate nell’ordine indicato, a cicli ripetuti e successivi, a livelli sempre più elevati.
L’Alchimia, conciliando la pratica della trasmutazione dei metalli con la ricerca ed il perfezionamento interiori, fu sempre tenuta in grande considerazione nella cultura ebraica, Infatti nell’ambito Kabbalistico  troviamo numerose immagini di ispirazione alchemica, probabilmente l’autore o gli autori ben conoscevano la tecnica dell’Arte Regia. I sette tipi d’oro menzionati in un celebre passo, sono una metafora delle Sephirot; il trascolorare del metallo prezioso allude ai diversi tipi dell’energia Divina, sino al culmine di Binah, indicata con il termine di Oro Superno. Quest’Oro è un segreto nascosto, il suo nome è Oro Chiuso. Gli altri tipi d’Oro, invece, possono esser percepiti più facilmente.
Le forze che attraggono o respingono i metalli, come i vincoli di simpatia ed antipatia tra le creature animate, sono analoghe a quelle di un Mondo Superiore in cui le energie Divine sono sottoposte ad un moto incessante che le separa e le ricompone ripetutamente in vista di un fine, e quindi in base ad un principio etico di bene e di male.
I misteri di questa Sapienza (l’Alchimia) sono simili ai Misteri della Kabbalah. Come infatti nel mondo c’è un riflesso delle categorie della Santità così c’è anche quello dell’impurità.  Secondo alcuni cabalisti alchemici, le scorie sono il corrispondente terreno della parte opposta; vanno quindi sublimate ed utilizzate, così da restituire all’oro la sua Luce originale e Restaurare l’Unità Celeste violata dalla Caduta di Lucifero.
L’Alchimia come la Kabbalah è una scienza tradizionale, entrambe, infatti, affondano le
radici nella Torah. Nella Bibbia troviamo le basi e le indicazioni necessarie al lavoro
Alchemico, anche se soltanto accennate o con allusioni molto ermetiche.
Il lavoro basilare, però, emerge chiaramente, assieme ai consigli necessari per effettuarlo.
Lo stesso termine biblico che indica l’Alchimia si riferisce anche alla prova del fuoco cui si
sottopongono i metalli per purificarli dalle scorie, in modo che rivelino il Divino che racchiudono.
In ebraico, un solo termine «Tzoref» definisce sia l’Orefice che l’Alchimista, entrambi lavorano e raffinano (purificano) l’oro.
 Il verbo che indica il loro lavoro è lo «Tzeref» che significa purificare, collegare, combinare in genere, nel caso del cabalista, le lettere. Raffinare, Epurare si dice le Tzaraf; mentre legame - unione si dice Tziruf. Tutto ciò mostra la stretta analogia che lega Alchimia e Kabbalah e
Conseguentemente tutte le società iniziatiche.
Il principio dell’opera è la liberazione dii metalli. Una volta individuata la materia idonea,dopo averla accuratamente esaminata ed identificata,l’Alkimia raccomanda di ripulirla esteriormente,per eliminare ogni corpo estraneo che potrebbe aderire accidentalmente sulla sua superficie essa deve essere ridotta all’essenzialità. In maniera analoga il candidato è chiamato a spogliarsi di tutto ciò che gli appartiene artificialmente,deve anche lui essere ridotto all’essenzialità. Questo è lo stato in cui il candidato viene a ritrovarsi nel gabinetto di riflessione corrispondente al matraccio dell’alkimista, al suo uovo filosofico sigillato ermeticamente. Nel gabinetto di riflessione troviamo tre ciotole contenenti sale,sabbia e zolfo è ovviamente escluso il mercurio. Come per l’Alkimia i tre elementi basilari dell’Opera sono: Zolfo,Sale e Mercurio. Lo Zolfo corrisponde all’energia espansiva che parte  dal centro di ogni essere (colonna J…. Rossa,iniziativa individuale). La sua azione contrasta con quella del mercurio,il quale pervade tutte le cose con un influsso proveniente dall’esterno (colonna bianca B… ricettività,sensibilità). Queste due forze si riequilibrano nel Sale,principio di cristallizzazione,il quale rappresenta la parte stabile dell’essere. Da queste poche righe si evince comunque perché il Mercurio deve rimanere all’esterno del gabinetto di riflessione onde realizzare l’isolamento assoluto del candidato.
Per arrivare a conoscersi,occorre che egli si isoli da tutto ciò che lo circonda,questa è la prova della terra,la discesa agli inferi del sommo Dante,alla quale allude la parola VITRIOL, le cui lettere costituiscono una formula cara agli Alkimisti :Visita Interiora Terrae Rectificando Inveniens Occultum Lapidem . Visita la parte interiore della terra e rettificando troverai la Pietra nascosta. A detta di qualche iniziato “la simbologia della Pietra è essenzialmente Massonica”,pare infatti strano trovarsi nell’ambito dell’Arte metallurgica. E’ del tutto naturale ritrovarla nell’Arte Muratoria dove viene tagliata e levigata secondo le regole dell’Arte.
Difatti ella possiede in potenza tutte le virtù della famosa pietra filosofale Alkemica.
E’ altrettanto vero che per poter operare trasmutazioni bisogna avere il possesso integrale dell’Arte,essere un perfetto maestro.   Superato il momento di caos iniziale ed individuato il contenitore a lui più consono l’iniziato dovrà scegliere,cosa che dovrebbe avvenire naturalmente,la Via che dovrà percorrere per cercare e realizzare la G.O,sia essa umida,passiva,Isiaca; oppure secca,attiva,Osiridea o Solare. La Massoneria non è scienza Ermetica,Alkemica o Kabalistica ma in quanto contenitore le incorpora tutte.Essa pare non essere altro che una moderna trasposizione dell’antico Ermetismo dal quale Astrologia, Alkimia, Magia e Kabalah dairivano. Infatti il simbolismo M. costituisce un complesso di tradizioni estrapolate da antiche scienze iniziatiche.
Possiamo infatti notare che la tradizione M. contiene il valore Kabalistico dei numeri sacri e
regola il cerimoniale sugli stessi principii della Magia,dispone,come possiamo osservare all’interno delle nostre logge dei simboli del sole e della luna e delle stelle,come l’Astrologia
prescrive.Ma le maggiori analogie le con l’Alkimia filosofica come concepita dai Rosacroce nel secolo XVII e trasportata successivamente in ambito M.
Infatti le due tradizioni o dottrine,sono caratterizzate dallo stesso esoterismo e degli stessi
caratteri iniziatici,che si traducono in allegorie derivate le une dalla metallurgia e l’altra dell’Arte edificatoria.
Sotto questo profilo la M. è una trasposizione dell’Alkimia,detta Arte Regale. Come abbiamo potuto vedere nello svolgimento di questa tavola,Il principio dell’Opera è la liberazione dei
Metalli, il termine,la sublimazione dello spirito, nel quale Oro e Argento fusi insieme,dunque senza nessuna opposizione,realizzano la Grande Opera Alkemica,cioè l’Opera Prima o Piccola Opera della Tradizione.

Da questa breve descrizione possiamo notare le difficoltà e l’impegno,oltre a doti naturali che
Il soggetto deve possedere per giungere a questo poderoso traguardo,abnegazione,volontà,fede,intuito sono solo alcune delle qualità che la Pietra deve avere per essere parte di quell’Edificio Universale. Nessuna speranza quindi per coloro che spinti dal proprio orgoglio sono alla ricerca di oro (volgare)e e gloria.

L’Artista non vuole apparire ma essere;essere un petalo di quella fratellanza massonica che sboccia come una Rosa dal composto in fermentazione,chiuso ermeticamente nel Vaso (Loggia),che mescolandosi e rimescolandosi,solvendo e coagulando,diverrà un solo corpo,una sola Famiglia una sola Fratellanza plasmata dal Tutto e pronta per la Fratellanza Universale.

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