domenica 29 gennaio 2017

V. IL PRECURSORE (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli ed Amici Fraterni,

In occasione di questo nascente nuovo anno vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.


V. IL PRECURSORE

"... Giovanni era nel deserto ..." (Marco 1: 4)

Il Precursore è misterioso come il suo Maestro. Figlio dell’anziana penitente, per lungo tempo sterile, Elizabeth e del vegliardo devoto di Dio Zaccaria, Egli è il mio Sé purificato; Egli è il compimento della promessa divina; Egli è il primo di tutti; Egli è l’astinenza, Egli è nudo; Egli è riempito dello Spirito; Egli cammina diritto gridando nel deserto; Egli è terribile ed al contempo mi attira.
Mi sento, di fianco a Lui, come una zolla di terra accanto ad una montagna e tuttavia non mi fa paura. Qualcosa mi dice che è stato anch’Egli una zolla di terra, e che io, se lo voglio (se io lo voglio!), crescerò un giorno fino a raggiungere le dimensioni di quel monte. Se io lo voglio: se accetto ciò che è necessario, se voglio essere come Lui è.
Ah! Ci scommetto: Ram, Fo-Hi, Sesostri, Platone, Cesare, Marco Aurelio, S. Agostino, Carlo Magno, Shakespeare, Napoleone, di tutti gli uomini più illustri, nessuno potrebbe reggere il confronto con il Precursore. Se è vero che Egli ha preceduto il Verbo in tutti i suoi Sentieri, se è stato Lui a camminare davanti al Signore, se ha il diritto di chiamare gli uomini a penitenza, Egli è dunque il formidabile atleta di Dio. Egli è dunque un cavaliere dello Spirito. Egli è allora uno dei Testimoni Eterni?
Il mio pensiero, estraneo alla grandezza spirituale, si ferma qui; è la mia anima a continuare il Cammino. La mia logica si arresta; che la mia ammirazione si elevi ed apra una breccia all’Amore. Che la severità del Penitenziere mi insegni ad essere duro con me stesso. Che le fatiche ed il martirio che Egli ha affrontato mi insegnino ad essere amorevole con gli altri. Che il Suo isolamento mi faccia apprezzare la solitudine. Che la sua indipendenza mi insegni ad aver cara la sincerità.



OSSERVANZA: Privarsi, ogni giorno, di una comodità, per educarsi alla semplicità.

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domenica 22 gennaio 2017

IV. LA SCORTESIA (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli ed Amici Fraterni,

In occasione di questo nascente nuovo anno vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.

IV. LA SCORTESIA

"Entrando nella casa, rivolgetele il saluto." (Matteo X. 12)

Faccio bene a rimanere cortese con una persona indisponente; ma sarebbe ancora meglio se io riuscissi ad evitare di irritarmi; la mia cortesia sarà allora sincera, e produrrà i frutti della sincerità. Se mi comporto educatamente solo per fare una buona impressione, rendo esclusivamente omaggio agli dèi del rispetto umano, della menzogna e della vanità.
La scortesia non è che una difesa del mio egoismo, dei miei interessi e dei miei capricci. Sto facendo un lavoro importante, cammino assorto nei miei gravi pensieri; una persona molesta fa irruzione nel mio ufficio, un perditempo arresta il mio operato; perché spazientirmi? Queste persone sono, come me, degli strumenti della Forza Cosmica; può darsi che abbiano qualcosa da insegnarmi, senza esserne consapevoli. E, anche se io non ho compreso il loro messaggio segreto, mi avranno tuttavia reso più forte e migliore, poiché grazie a loro avrò dominato il mio nervosismo e fatto un passo avanti verso la sincerità; poiché può darsi che comportandomi gentilmente con loro, si siano ricordati che la Bontà esiste.
No, queste piccole cose non sono banalità, né sciocchezze. La terra intera è fatta di cose infinitamente piccole. Io mi esercito nella misura in cui la mia debolezza me lo permette. Non sta che a me nobilitarmi, arricchire la mia vita interiore per mezzo di magnificenze così pure, e di sontuosità così elevate, che la mia manifestazione esteriore diventi incapace di meschinità.
A forza di accumulare la sabbia delle mie piccole virtù, finirò col cementare le fondamenta del mio Tempio.


OSSERVANZA: Che il mio ideale traspaia su tutta la mia persona, sul mio viso, nelle mie parole, nelle mie attitudini e nei miei gesti.

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domenica 15 gennaio 2017

III. I DESIDERI INAPPROPRIATI (un anno un percorso)

Carissimi Fratelli ed Amici Fraterni,

In occasione di questo nascente nuovo anno vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.

III. I DESIDERI INAPPROPRIATI

"Gesù allora rispose: Voi non sapete ciò che chiedete! " (Matteo XX, 22)

La Legge non disapprova nessuna delle ragioni di scienza, di gloria o di estetica che mi spingono ad agire. Ad ogni modo, io intuisco che ne esistono di più pure.
Gli dei hanno molti adoratori; Dio non ne ha quasi nessuno. Quante volte ho io ricercato un semi-dio, persino un demone, affermando e credendo di non preoccuparmi che dell’unico Signore?
Ma il mio peccato non è mortale. Correre dietro ad un’ombra, è pur sempre correre; e la Vita desidera che io viva. Che almeno io non ricada più nelle mie illusioni, che io veda chiaramente in me stesso, che lo Spirito invii su di me la Sua abbagliante chiarezza!
Quale uomo colui che saprà occuparsi dei suoi affari abbinando la pazienza orientale e lo spirito di iniziativa americano, e che non si interesserà più dei milioni guadagnati! Quale saggio, colui che conosce la propria ignoranza! Quale condottiero, colui che impiegherà tutto il proprio spirito e il proprio cuore al servizio dell’uomo più semplice ed incolto!
Divenire indifferente ai risultati delle mie azioni, dopo essermi appassionato ad essi ed alla loro riuscita: antinomia insolubile, se nel profondo di me stesso non brilla quella piccola luce che si accende al solo passaggio del soffio di Dio.
Né il denaro, né il potere, né la celebrità, né l’amore, né l’arte, né il pensiero, né la volontà potranno accendere quella lampada, perché essi non sono altro che riflessi. Essa è la fiamma originaria di per sé esistente, inestinguibile, vittoriosa: è la dolcezza stessa, ed ogni incendio si placa dinanzi ad Essa; rischiara, riscalda senza bruciare, ed il cuore del più nero Arcangelo si infiamma e si scioglie sotto i Suoi raggi misteriosi.
Io conserverò questa lampada nella stanza più segreta di me stesso, ed Essa mi donerà l’umiltà; io La porterò ovunque con me, la calerò nelle fosse e diverrà carità.
Così i miei desideri di ciò che è perituro moriranno, per rinascere nell’Imperituro.


OSSERVANZA: Non soddisfare nessun desiderio personale.

martedì 10 gennaio 2017

LA PREGHIERA CONSAPEVOLE

ELENANDRO XI S:::I:::I:::  Collina Abraxas (Toscana)

Dobbiamo adesso chiederci quale prospettiva dare alla preghiera, se vogliamo che questa non rimanga una semplice, per quanto legittima, espressione di un rapporto devozionale fra noi e qualcosa di esterno a noi.

La risposta è quella di rendere noi stessi consapevoli delle enormi potenzialità operative che ha questo sublime strumento. Solamente cambiando il nostro tratto di unione percettivo-cognitivo, possiamo modificare lo spazio circostante e gli strumenti che ci permettono di relazionarci con esso. Questa rivoluzione interiore ruota attorno alla grande verità che è Sacro ciò che rendiamo Sacro, e che solamente noi siamo i sacerdoti di noi stessi e del divino che in noi dimora. E' una questione di consapevolezza interiore, che si ripercuote come un'onda irresistibile su ogni nostro pensiero ed azione.

Dobbiamo interrompere il processo attributivo rivolto verso l'esterno, che vede da parte nostra consegnare ad una divinità antropomorfa qualità e possibilità che sono insite nella nostra natura spirituale.
Dobbiamo recedere dal pensiero ostativo  che ci sussurra che non siamo in grado di edificare in noi stessi un luogo sacro, ed essere in tale modo sacerdoti in eterno.
Dobbiamo vincere l'inerzia che ci impedisce di sperimentare, di svegliare ed affinare le qualità sacrali insite in ognuno di noi.
Dobbiamo convincerci che siamo, per Essere realmente.

Compiuta tale rivoluzione interiore ci renderemo conto che la preghiera è anche, ed è sopratutto, uno strumento che agendo congiuntamente su mente e corpo, conduce alla realizzazione di nuovi stati dell'Essere. I quali risulteranno liberi da quelle costrizioni, da quelle ristrettezze e vincoli propri del mondo quaternario reattivo. Attraverso la preghiera consapevole la nostra mente crolla nella ripetizione, dalle profondità interiori emerge un novello pensiero. Il quale avrà caratteristiche di immediatezza ed attività. Esso non subirà nessun condizionamento dal mondo circostante e non suggerirà nessun compromesso fra ciò che è buono e ciò che è utile. Esso è il Logos Divino che riecheggia in tutta la figliolanza spirituale.

Nelle lame degli arcani maggiori  è la carta degli Amanti che simboleggia la preghiera. In essa l'iniziato è immobile in una buca, che rappresenta l'ostacolo che si apre innanzi ed improvviso lungo il cammino. Egli è immobile, apparentemente incapace di compiere un passo, di riprendere il sentiero iniziatico.  Alla sua destra e alla sua sinistra troviamo due figure femminili diversamente adornate. Una di esse rappresenta il desiderio materiale, che lega alle cose di questo mondo, l'altra simboleggia  ciò che è sacro, che libera da questo nostro angusto contenitore. Tale condizione per l'uomo profano si traduce nelle scelte fra ciò che conduce ad una qualche, in genere effimera utilità, e quanto permette di valicare la soglia dell'imperitura sacralità. Per l'iniziato, tale scena, rappresenta  anche il dovere di scegliere fra il potere fine a se stesso, che deriva dalla comprensione dei meccanismi sottili che tutto determinano, e il lavoro di perfezionamento interiore. Una scelta spesso non chiara, dove l’eventuale confusione è sicuramente determinata dall'assenza di quelle doverose purificazioni interiori, le quali sono la premessa per ogni Opera Reale.
L'iniziato, innanzi a tale scelta, prega, e se è giusto il suo intendimento un angelo discenderà dal cielo per preservarlo da ciò che è fatuo e ingannevole. Ecco quindi che  la preghiera rappresenta il primo ed ultimo rifugio per colui che comprendere il potere che in essa si cela. Per colui che conosce le concatenazioni fra ciò che è evidente e ciò che è celato, ed è in grado di superare ogni apparente dualismo fra l'orante e colui che viene orato.
L'importanza della preghiera è nota in numerosi rituali di iniziazione: 
"E tu quando sarai fra Scilla e Cariddi cosa farai? Pregherai ed un angelo inviato dal signore scenderà su di te". Purtroppo colui che accede a tale evento apicale della propria vita, spesso non pone la dovuta attenzione ai moniti che gli sono rivolti, e neppure sedimenta, perduto in altre congetture, interiormente quanto ha vissuto.
 Oltremodo la preghiera è resa viva dagli insegnamenti di tutti i veri maestri, che suggeriscono di ardere sovente in essa, per determinare la sottrazione di noi stessi al mondo impuro e prevaricatore che ci circonda.
Solamente comprendendo che la preghiera è un vero e proprio atto magico, possiamo godere di tutti i benefici che questo strumento è in grado di offrirci.  Per ottenere tale risultato dobbiamo affrancarci da quanto instillato in noi dalla nostra pigrizia e dalla cultura in cui siamo immersi. Una formazione che  vuole la preghiera un freddo omaggio ad una realtà intangibile e posta fuori di noi, e al contempo ridurre l'orante a soggetto passivo, statico e piatto, completamente privo di genio e volontà rispetto all'azione del preghiera. L'iniziato deve superare il dualismo separativo fra chi prega e chi è il beneficiario della preghiera, e diventare cosa unica con essa.
Attraverso la preghiera ognuno degli elementi del quaternario trova composizione armonica l'uno con l'altro, sviluppando una sinergia in grado di annullare ogni peso e misura legati al nostro piano spazio temporale.  L'orante (elemento terra)  da forma al proprio desiderio (elemento acqua) in pensiero (elemento fuoco), per mezzo della preghiera (elemento aria). Nel caso in cui le purificazioni sono state adempiute, e il pensiero creativo è sorretto da un desiderio puro e da una volontà sacra, il fuoco pneumatico non tarderà ad investire l'operatore, coronando di successo l'Opera prefissata. Ovviamente ognuno degli elementi di questa alchemica composizione deve essere stato in precedenza rettificato, sottoposto ad interrogativo e giudizio, in quanto il crollo della Torre è sempre in agguato, e l'ombra è tanto maggiore quanto più forte è la luce. 
Nel nostro caso l’ombra è rappresenta dalle pieghe della nostra poliedrica composizione psicologica, dove il favore personale, il desiderio di apparire e l'essere in virtù di ciò che compiamo, sono i tre baratri capaci di far sprofondare nelle tenebre ogni nostra azione.
Tale verità ci è narrata dalla tradizione, quando racconta di mistici e santi che combattano furiosamente contro Satana e i demoni. All'interno delle loro celle di preghiera e meditazione, nelle stesse chiese, nei campi e nei giardini uomini e donne devoti affrontano l'avversario in una battaglia i cui confini si perdono fra il fisico e la psiche.
Cos'altro è questo abile e potente duellante se non la nostra ombra, nelle sue infinite sfumature e propaggini ? E' pur vero che dobbiamo temere l'avversario, nelle sue infinite forme, ma è però doveroso ricordarsi che il successo non ci è mai precluso a priori in nessuna prova, in quanto ognuna di esse nasce da noi stessi.  Ecco quindi che il combattimento spirituale è il necessario valico da superare, in quanto solo attraverso di esso saremo in grado di comprendere quanto ancora vi è da rettificare e purificare in noi al fine di essere sacerdoti del vero e della conoscenza.
Il praticante deve essere in grado di alimentare le proprie impressioni, il proprio centro intellettivo, con pensieri, suoni ed immagini sacri ed elevati. In grado di sostituire, di svelenire, la massa putrida di quanto comunemente invade la nostra mente, grazie ai messaggi pubblicitari, la televisione, l'irruzione del mediocre e del miserevole  quotidiano. La preghiera è un prodotto della nostra azione magica e di noi stessi, e noi siamo costituiti da ciò che elaboriamo a seguito dell'alimentazione. Quest'ultima, in un'ottica integrale dell'individuo, investe ogni elemento che dall'esterno di noi viene assimilato. Così come poniamo attenzione a quanto nutre il nostro fisico, noi che ambiamo a comprendere i sottili meccanismi che tutto animano, dobbiamo porre egualmente attenzione a quanto sfama il nostro intelletto e le nostre emozioni.
La preghiera consapevole stessa diviene alimento, in quanto essa nutrirà il nostro corpo lunare di elementi sacri ed immaginifici, in grado di poter avviare il processo di fioritura dei nostri centri sottili. L'armonica che essa sviluppa nella sua costante ripetizione, come al contempo il carico di immagini e la narrazione mitologica e spirituale in essa contenuto, sono effettivi elementi di potere in grado di modificare la struttura del nostro intero essere. La prima agisce inesorabilmente sul corpo fisico, grazie al potere vibratorio del suono, i secondi invece si radicano nella nostra mente contribuendo a fornire la base associativa per il logos divino.
Ovviamente questo edificio sacro deve trovare fondamenta solide e non improvvisate. Queste sono rappresentate dalla giusta tecnica della nota interiore, così come da una intera vita governata dalla ricerca del perfezionamento interiore. L'improvvisazione, e lo sporadicità nell'azione, la caduta di tono, sono elementi ostativi, al pari della mancanza delle purificazioni necessarie. 

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LA CROCE CABALISTICA

TALIA I:::I::: Collina Abraxas (Toscana)

Quotidianamente e ovunque i martinisti che operano - qualunque sia il loro grado - eseguano il rito giornaliero. 
Noi del Sovrano Ordine Gnostico Martinista prepariamo il luogo dove operare, lo purifichiamo con l’incenso sacralizzato, ci concentriamo, troviamo la posizione più consona e procediamo. Apriamo con una richiesta e chiudiamo con una attestazione il rituale, rispettivamente con l’esecuzione di tre e quattro croci cabalistiche, creando un tempio sacro in cui operare. La croce cabalistica ci protegge, ci amplia, ci mette in contatto.
Decidiamo di eseguire un esercizio, senza sottostare ad alcuna fretta, ripetendolo e cercandolo di memorizzare al fine di familiarizzare sempre più con le gesta e le parole previste. Si tratta di un investimento temporale, una dedica. E’ una palestra dove affinare la nostra attenzione, dove potenziare la nostra focalizzazione, aumentando in potenza.
Su questo lavoro è necessario mantenere il silenzio e trattenere le energie prodotte sotto forma di impressioni, visioni, intuizioni. Il silenzio, ricordiamoci, è il quarto potere della Sfinge. Trattenere in sé quanto intuito, percepito, sentito, non è un atto egoistico ma significa condensare e proteggere l’energia accumulata durante il lavoro. Sarebbe bene fissare su un quaderno quanto emerge durante il rituale, sia questo sotto forma di idee che di immagini. Lentamente, abituandosi a fermare con parole scritte quanto di così sottile si è prodotto, la comprensione aumenterà e si affinerà, confortandoci con i progressi che riusciremo a cogliere con più naturalezza.
Lo studio e la comprensione della croce cabalistica passa attraverso l’analisi del simbolo tradizionale della croce, della dottrina della Kabbalah, dell’Albero sephirotico, dei gesti rituali compiuti e dell’Opera alchemica.
         

La croce è una figura geometrica fatta di due linee o barre che si intersecano con un angolo retto, in maniera tale che una di esse, o tutt'e due, venga divisa a metà.  E’ un simbolo antichissimo di cui sono stati rinvenuti reperti preistorici, anche in età neolitica. Di epoca anteriore a quella cristiana possiamo ricordare la croce ansata egiziana, la svastica tibetana e cretese, o ancora la croce azteca di Tlaloc.  Epoche, contesti sociali e luoghi diversi che vedono la croce apportatrice di significati analoghi e simili se non identici.
Le due braccia della croce possono essere interpretate come quattro semirette che si originano dallo stesso punto. Il piano viene quindi diviso in quattro parti uguali che ricordano gli elementi che i presocratici indicavano componessero il mondo: terra, aria, acqua, fuoco. A questi si riteneva corrispondessero le parti che costituivano l’uomo: corpo, mente, anima, spirito. I pitagorici intuirono l’esistenza di un quinto elemento definito il sostegno dei quattro elementi, l’ “oikos”, principio rettore dell’intero universo e da cui dipendeva il ciclo vitale. Il punto creatore, fulcro della croce, diviene circonferenza, figura geometrica in cui è impossibile distinguere l’inizio dalla fine. Nell’iconografia cristiano-orientale, Cristo viene appunto identificato dall’alfa e dall’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco.
Le due braccia della croce vengono definite dall’esoterismo islamico “ampiezza” ed “esaltazione”. Queste, per tendere alla perfezione, devono mantenere un equilibrio fra loro, pena la disarmonia della figura e della coscienza umana. L’armonia è una legge cosmica per cui la natura naturata, ossia la realtà fenomenica, si raccorda perfettamente con la natura naturans, quella che l’uomo conosce solo per intuizione.
         Anche nella storia dell’architettura possiamo ritrovare alcune chiavi di lettura del nostro rituale. Il simbolo del cristianesimo inizialmente aveva le caratteristiche della croce equilatera o greca, ma lentamente il punto focale è salito sempre più verso la sua sommità, portandoci alla croce latina che presenta i bracci, orizzontale e verticale, di misura differente. Questo processo simboleggiava lo spostamento del centro gravitazionale dell’uomo, azione che lo elevava dal livello della terra verso la sfera spirituale. La vita materiale e le cose terrene venivano relegate ai piedi della croce, come Golgota su cui poggiare i piedi per innalzarsi e prendere il volo.  Questa tensione verso l’alto raggiunge il suo apice nel Medioevo, con il sempre maggiore sviluppo in altezza delle cattedrali gotiche, simboli architettonici ricolmi di innumerevoli altri simboli. All’inizio del Rinascimento questo movimento “ascensionale”  cambia completamente direzione. L’uomo torna al centro della propria terra, riscopre la bellezza della natura, abbraccia la sfericità del pianeta. L’afflato che prima lo vedeva volare verso l’alto, adesso lo avvolge e lo protegge, fulcro bellissimo e terribile al tempo stesso da cui ripartire nuovamente. In contrapposizione alle altissime cattedrali gotiche si diffondono così edifici a pianta circolare. Prima la croce, poi il cerchio.
         Kabbalah ha come radice “qabal” che significa “ricevere” ed è un tradizione orale iniziatica tramandata da maestro a discepolo, che rivela il significato esoterico delle immagini e delle allegorie dell’Antico Testamento. I testi base della Kabbalah sono lo Zohar e il Sepher Yetzirah. La Cabalà ricerca il contatto con Dio, sia con l’Unità assoluta che con la Molteplicità delle forme, oltre all’Essenza Divina, in ebraico Atzmut traducibile in “oltre tutto ciò”.
Il significato più profondo del termine “qabbalah” è comunque “corrispondenza”, evidenziando con questo la tensione a ritrovare quel filo legante fra macro e microcosmo, quella rete che costruisce l’unione di ogni essere fuori e dentro di sé, l’unificazione delle infinite manifestazioni dell’universo con il trascendente, attraverso parallelismi e legami tra nomi, lettere, numeri: “Ciò che è in Alto è come ciò che è in Basso, perché si compia il miracolo della cosa Una” (Tavola di Smeraldo).
La Cabalà è una tradizione risalente a quasi tremila anni fa, basata su insegnamenti mistici, ed è una via universale verso la Conoscenza e l’Illuminazione. Si basa sull’individuazione e sull’attività di 32 elementi base, ossia i 32 Sentieri della Sapienza costituiti dall’insieme delle 10 sephirot e dalle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, al cui interno è nascosta l’undicesima sephirà Da’at, la Conoscenza Unificante. La I sephirah Kether è troppo elevata per poter essere conosciuta e contattata, e quindi si è resa necessaria l’XI sephirah posta più in basso che funge da cordone ombelicale tra la prima e l’ultima, Kether nel mondo materiale di Assiah.  Ogni interazione fra queste entità avviene sotto il governo e l’ordine dei Nomi di Dio, in particolare il Tetragrammaton.
La cabalà afferma che tutti gli insegnamenti sono contenuti in queste quattro lettere: Yod - Hey - Vav - Hey. Nel passo della Torah tradotto con “ho posto (“shiviti”) sempre il nome di Dio davanti a me”, il primo termine - che con più esattezza significa “ho equiparato” - indica esplicitamente di cercare di imitare il Nome, di giungere all’uguaglianza con Esso.
Notiamo infatti che, se scritte dall’alto verso il basso, le quattro lettere del Tetragramma tracciano il disegno della costituzione umana, individuando:
con YOD la testa
con HEY il torace
con VAV il tronco
con HEY il bacino e le gambe
Seguendo il filo analogico che ci deve contraddistinguere, giungeremo facilmente al grafico dell’Albero della Vita, che è l’espansione del Nome stesso e che sintetizza appunto i più noti insegnamenti della cabalà.
         L’Albero della Vita è un diagramma simbolico costituito da 10 sephirot, entità circolari, collegate tra di loro da 22 canali. Le dieci sephiroth sono considerate, sul piano spirituale, le dieci potenze dell’anima, gli archetipi e i principi di tutte le cose manifeste, le dieci luci o sorgenti di energia che sostengono chi si mette sul cammino di ritorno, sulla via della reintegrazione. L’albero è suddiviso in tre colonne di cui la sinistra (femminile) è detta della Severità o della Forma e comprende Binah (Intelligenza) – Geburah (Forza) – Hod (Splendore), mentre quella di destra (maschile) è detta della Grazia o della Forza e racchiude Chockmah (Saggezza) – Gedulah (Amore) – Netzach (Vittoria), infine la centrale è la Colonna dell’equilibrio ossia la Via della Compassione, individuata da Kether (Corona) – Dahat (Conoscenza Unificante) – Tipharet (Comprensione) – Yesod (Verità) – Malkuth (Regno). Questa rappresentazione è la riproposizione della caduta adamitica di cui oggi tutti noi siamo prosecutori nella nostra esistenza. I due pilastri laterali ricordano gli Alberi della Vita e della Conoscenza dell’eden, dove Adamo prese la decisione di preferirne uno all’altro. Dopo questa “scelta”, gli uomini non hanno più contatto diretto con l’Albero della Vita, depositario del bene infinito, ma posseggono ancora la “possibilità” di raggiungerlo di nuovo, riavvicinando nuovamente i due pilastri, equilibrando le due polarità. Opera certamente non facile perché prevede un duro cammino e soprattutto di superare la ferrea difesa dei Guardiani della Soglia, coppia di cherubini armati che possono diventare dolci angeli ad ali incrociate di fronte a chi riesce a riparare la frattura tra Adamo ed Eva, tra i due alberi, tra i due pilastri, a chi percorre la via regale, quella mediana, governando le altre due.
Così l’Albero della Vita si presenta come il cammino in discesa sul quale si è verificata la caduta, ma contemporaneamente come il sentiero attraverso cui è possibile la risalita, come una scala di Giacobbe ben poggiata sulla terra ma estesa sino al cielo. E’ la via per la progressiva re-integrazione di tutte le facoltà umane, avendo ogni cosa esistente in sé la struttura essenziale per crescere ed evolversi. Come per ogni simbolo di cui si sia persa l’anima, ogni sephirot deve essere “riaccesa”, deve essere illuminata di nuovo e irradiarsi, nella sua gradazione splendente, dell’unico Colore universale. Le sephirot hanno senso non tanto per se stesse, quanto per il contributo alla costruzione dell’armonia dell’Albero della Vita. Il giusto percorso di reintegrazione passa attraverso l’equilibrio delle manifestazioni sephirotiche all’interno dell’individuo mediante la meditazione e la preghiera in invocazioni ed evocazioni.
Se applichiamo il Tetragramma all’Albero della Vita, otterremo le seguenti rispondenze orizzontali:
YOD con AZILUTH, il mondo dello spirito
HEY con BERIAH, il mondo della mente
VAV con YETZIRAH, il mondo dell’emozione
HEY con ASSIAH, il mondo dell’azione
         “Atah, Malkuth, Ve Geburah, Ve Gedulah, Le Olam, Amen”:  queste le parole pronunciate con il segno della croce cabalistica. Ci si rivolge solitamente ad Est che per tradizione è il lato divino, rilassandosi e facendo respiri profondi e armonici. Il corpo si posiziona solido, con le gambe divaricate come l’ampiezza dei fianchi, a formare una V rovesciata, con la base poggiata sulla terra.  La mano destra unisce saldamente il pollice, l’indice e il medio, che diventano un tutt’uno nelle movenze e nell’individuazione precisa dei punti del corpo umano. La voce assume un tono solenne.
La croce cabalistica viene eseguita all’interno dell’aura personale, ma la sua dimensione dovrà essere sempre più ampia. Dobbiamo vederci sempre più troneggianti in altezza, dobbiamo svettare sempre più in alto. La personalità si sentirà sempre più libera dai limiti umani, dalle catene che si è autoimposta lungo il cammino. La vista si amplia, il dettaglio si perde: è l’immagine nella sua grande unità che ricerchiamo. Il nostro vero Io spirituale si sposa con il nostro misero Io materiale dandoci il nostro Uno.
Chiudiamo gli occhi. La forma astrale si espande in ogni direzione, soprattutto in altezza, finché non concepiamo la terra come un punto lontano e minuscolo sotto ai nostri piedi. Quindi si percepisce un raggio di luce che discende sulla nostra testa, che poi scenderà sino al plesso solare, e da qui sino ai piedi.
1) Alziamo la mano destra proprio nell’atto di cogliere un po’ di luce, e portiamola alla fronte, appena sopra la zona intracigliare: pronunciamo ATAH “Tu sei”
2) Poi portiamo la mano sui genitali, immaginando una luce che scende fino ai piedi e riempie il corpo intero: pronunciamo MALKUTH “il Regno”
3) Ora portiamo la mano sulla spalla destra: pronunciamo VE GEBURAH “la Giustizia”
4) Quindi portiamo la mano sulla spalla sinistra con movimento orizzontale, formando così una croce: pronunciamo VE GEDULAH “la Misericordia”
5) Adesso tracciamo un cerchio in senso orario, facendo cioè iniziare il movimento rotatorio dalla spalla sinistra verso il basso: pronunciamo LE OLAM “per sempre”
6) Uniamo le mani in preghiera di fronte al nostro petto, le avanziamo e le riportiamo a noi: pronunciamo AMEN “così sia”
Anche i monaci tibetani hanno una sorta di croce cabalistica. Il lama pronuncia OM partendo da un tocco leggero della fronte, quindi AH toccandosi il petto, ed infine la bocca dello stomaco pronunciando HUM. Alcuni si toccano la spalla sinistra con la parola DAM e poi la spalla destra pronunciando YAM. In tal modo tutte le parti del Sattva, cioè corpo voce e mente, sono concentrate su quella determinata immagine o divinità.
         La V sephirah è Geburah (o Ghevurah o Pec Had o Dine) e significa Giustizia ma anche Rigore. E’ l’archetipo della volontà e del potere. E’ un monito a darci dei limiti, e a governare noi stessi in quei perimetri. La libertà dell’uomo risiede principalmente nella sua conquista di dominarsi, di comprendere e gestire se stesso, gli istinti e le passioni. L’uomo giusto deve trattenere al suo interno la ricchezza conquistata, non deve dissipare le energie, deve essere capace di trattenere per meglio investire.
Prima di giungere a Gedulah, prima di arrivare all’Amore, dobbiamo passare attraverso la Forza e la Severità. Dobbiamo essere capaci di distinguere e separare il bene dal male, la luce dal buio, la personalità dallo spirito. Si tratta di una battaglia contro le nostre parti tenebrose, ed ogni guerra in fondo è violenta, è cruenta. Geburah corrisponde a Marte, il pianeta rosso, il dio della guerra. Una grande conquista deve necessariamente passare attraverso grandi prove, così come la crescita spirituale deve per forza affrontare e superare la presa di coscienza dei propri limiti. La personalità con le manifestazioni più basse della forza, come l’ira e la rabbia, avranno sempre il sopravvento su di noi se non riusciremo a scendere in battaglia armati di un desiderio fortissimo, una volontà che potremmo anche definire violenta.

Geburah ha il compito di ripulire in noi quanto di oscuro potrebbe limitare la luce dell’Amore. E’ il termostato del fuoco che andiamo ad alimentare nel nostro recipiente. E’ altresì il rispetto ed il timore per la grandezza del lavoro che andiamo a compiere.
La IV sephirah è Gedulah (o Chesed) e significa Misericordia ma anche Grazia. Rappresenta Giove, grande e benefico elemento astrologico.  E’ l’archetipo dell’Amore, l’elemento essenziale dell’esistenza, fondamento su cui si basa l’universo intero. E’ quel quid necessario all’operatore per riuscire ad andare oltre alla percezione legata all’inconscio, è quell’ampliamento della consapevolezza che permette di leggere al di là delle immagini, cogliendone l’origine archetipale. Gedulah è l’amore senza condizioni né richiesta di ritorno o compenso, è puro slancio, è dono a piene mani, è la grazia che mitiga con perdono la rigidezza della potenza opposta tramite la sephirah di ponte, Tipharet ossia la Bellezza, la Compassione. Ghedulah ci insegna che è fondamentale possedere volontà potente, ferma, decisa, costante, saggia, incondizionata: che è necessario l’amore.
Geburah e Gedulah, Forza e Amore, sono l’origine della dualità dell’animo umano, repulsione e forza. Sono le due vie che, se allontanate e tenute parallele, dilanieranno sempre più l’uomo squarciandolo al centro, al cuore. Ma sono anche le ali tramite le quali l’uomo diventa simile agli angeli, superandoli in grandezza qualora riesca a far coincidere le due vie in quella centrale della Compassione, la Vera Via. La Cabalà insegna che nell’uomo la forza di volare ha origine dall’equilibrio dinamico dell’amore con una potente attività. Geburah-Forza da sola è caos mentre Gedulah-Amore è l’ordine che ne contiene la potenza: abbiamo bisogno della giustizia ma questa deve essere mitigata con la grazia. La Giusta Via è quella dell’alternanza e soprattutto della consapevolezza di ciò che è necessario per progredire, passo dopo passo.
Malkuth è la X e ultima sephirah, posizionata ai piedi dell’albero, e significa Regno. Rappresenta la Terra, l’universo di cui il limitato essere umano è sovrano, il tutto che è visibile e su cui può regnare. Corrisponde al mondo di Assiah, quello della Materia, in cui ogni giorno siamo immersi.
Malkuth è l’ultima stazione della discesa, prima di cadere nel buio definito dei Qhliphot (“gusci” o regno del male), ed allo stesso tempo la stazione di partenza per il viaggio della risalita. E’ il fondo della piscina in cui nuotiamo quotidianamente trattenendo il fiato, isolati dalle luci e dai rumori lassù oltre il filo dell’acqua, consci che solo da questo piano siamo in grado di puntare i piedi e darci la spinta per risalire “a riveder le stelle”.
Quindi, pur trovandosi nel punto più basso, Malkuth ha la fondamentale funzione di riequilibrare i nostri desideri che vi risiedono, di capovolgere il percorso: è la chiave della vita e raccoglie in sé tutto l’albero. L’uomo può risalire soltanto da Malkuth dove porre le basi di stabilità da cui partire verso il viaggio di ritorno mediante i mezzi che gli sono dati in questo regno.
Da quaggiù si può volgere lo sguardo verso i livelli superiori, illuminandoli e preparandoci a riconquistarli piano piano, ampliando il nostro stato di coscienza come un risveglio graduale rispondente ad ogni sephirah riattivata.
         Fu Eliphas Levi Zahed (ieronimo dell’abate Alphonse Louis Costant 1810-1875) a introdurre nuovamente la croce cabalistica fra le operatività iniziatiche; purtroppo non riportando mai con esattezza le fonti a cui si riferisce, non siamo in grado di dedurre con precisione il contesto magico della provenienza.
Comunque la prima testimonianza  sull’uso cabalistico della croce può essere individuata nel IV volume del “De Occulta Philosophia” che fu pubblicato nell’ “Opera Omnia” di Cornelio Agrippa (o forse di un suo discepolo su suo brogliaccio…), risalente al 1560 secondo quanto ipotizzato da Reghini.
         L’uso dei nomi di potenza sono tramandati nella religione cristiana, pur trovandone comunque tracce in altrettanto antiche testimonianze caldee, babilonesi, egizie (solo per citarne alcune). Il simbolo della croce è presente sin dalla remota antichità, e pur caratterizzando la religione cristiana, non ne è prerogativa unica né riservata. René Guenon ce ne parla nel suo “Il simbolismo della croce”:
La realizzazione dell'Uomo Universale” è simboleggiata, dalla maggior parte delle dottrine tradizionali, con un segno che dappertutto è il medesimo, poiché, come abbiamo detto all'inizio, è di quelli che si ricollegano direttamente alla Tradizione primordiale: si tratta del segno della croce, che rappresenta perfettamente il modo in cui è raggiunta tale realizzazione, mediante la comunione perfetta della totalità degli stati dell'essere, ordinati gerarchicamente in armonia e conformità, nell'espansione integrale secondo i due sensi dell'ampiezza e dell'esaltazione. Si può, infatti, considerare che questa doppia espansione dell'essere si effettui da una parte orizzontalmente, cioè ad un determinato livello o grado d’esistenza, e dall'altra verticalmente, cioè nella sovrapposizione gerarchica di tutti i gradi. Il senso orizzontale rappresenta quindi l'ampiezza, cioè l'estensione integrale dell'individualità assunta come base della realizzazione, estensione che consiste nello sviluppo indefinito di un insieme di possibilità soggette a condizioni particolari di manifestazione; nel caso dell'essere umano, sia ben chiaro, quest’estensione non si limita affatto alla parte corporea dell'individualità, ma dell'individualità comprende tutte le modalità, essendo lo stato corporeo una di esse. Il senso verticale rappresenta la gerarchia - anch'essa a maggior ragione indefinita- degli stati molteplici, ognuno dei quali, considerato nella sua integralità, rappresenta un insieme di possibilità corrispondente ad uno dei tanti "mondi" o gradi che sono compresi nella sintesi totale dell'Uomo Universale. La formula trinitaria del battesimo cristiano istituita dallo stesso Gesù (Matteo XXVIII, 19) è sicuramente l'origine sia della preghiera di glorificazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che del segno di croce.
Questo ci spiega oltremodo l’importanza del sacramento del battesimo quale fondamento per l’attribuzione di virtù anche magiche conferite al segno della croce.
        La croce era formata da due assi, quello verticale “stipes” che resta sempre infisso al suolo e quello orizzontale “patibulum” che invece era portato sulle spalle del condannato. I cristiani chiamavano ambedue le assi col nome di “stauros” (croce) indicando la croce in sé, oppure “horos” (confine, limite) interpretando la croce come simbolo che abbraccia le quattro direzioni cardinali, ossia i confini del mondo, assumendo così un valore cosmico. I primi cristiani vedevano infatti nella croce lo strumento attraverso cui Dio restaura la creazione caduta e perduta per colpa di ADAM il cui nome viene appunto legato alla croce e ai quattro punti cardinali: “…poi videro [gli angeli] che da tutta la terra raccolse un pugno di polvere, da tutte le acque attinse qualche goccia, da tutta l’aria ne prese un soffio e da tutto il fuoco ne trasse un po’ di calore…Poi Dio plasmò Adamo” (La Caverna del Tesoro).  Il rapporto Cristo/croce - Adamo/albero è alla base di tutta la tradizione letteraria giudeo-cristiana e cristiana dei testi apocrifi. Il già citato Eliphas Levi rintraccia la prima origine della croce cabalistica all’interno del testo greco del Vangelo di S.Matteo:
TIBI SUNT MALKUTH ET GEBURAH ET CHESED PER EONAS
“Perché tu sei il Regno, la Potenza e la Gloria negli Eoni degli Eoni”
Malkuth (il Regno) viene usato al posto di Keter (la Corona) di cui è corrispondente, mentre Geburah e Gedulah diventano rispettivamente Potenza e Gloria. Ancora Eliphas Levi dà la sua descrizione accurata:
Il segno della Croce, adottato dai Cristiani, non appartiene loro esclusivamente. Anch’esso è Kabbalistico e rappresenta le opposizioni e l’equilibrio quaternario degli elementi. Dal versetto occulto del Pater che abbiamo segnalato nel Dogma, vediamo che anticamente vi erano due maniere per farlo, ed almeno due forme diverse per caratterizzarlo: l’una riservata ai sacerdoti ed agli iniziati, l’altra accordata ai neofiti ed ai profani. Così, ad esempio, l’iniziato portando la mano alla fronte, diceva: A TE, poi aggiungeva: APPARTENGONO, e continuava portando la mano al petto: il REGNO; poi alla spalla sinistra: la GIUSTIZIA; poi alla spalla destra: e la MISERICORDIA. Poi si riunivano le due mani aggiungendo: nei cicli generatori.”
         L’evocazione dei “nomi di potenza”, posta alla base della tecnica del risveglio dei centri sottili tramite la fisiologia occulta dell’uomo, aveva già tutte le implicazioni teoriche e pratiche precedentemente all’apparizione della Kabbalah. Pensiamo ad esempio al lavoro svolto dagli egizi tramite la conservazione di alcuni organi vitali nei vasi canopi. Oppure all’antica arte aruspicina caldea ed a quella precedente etrusca, da cui sono giunti veri e propri prontuari con mappe analogiche fra le parti anatomiche del corpo e le varie divinità.
“Come nel corpo dell'uomo ci sono membra ed articolazioni, e come ci sono organi che hanno un'importanza vitale ed altri che sono meno necessari per la vita, così si presenta anche la Torah“
         Il fine della croce cabalistica è quello di risvegliare i centri sottili attraverso l’uso delle corrispondenze analogiche fra nomi di potenza e i vari punti in cui queste manifestazioni divine invocate vivono microcosmicamente nell’uomo, e l’analogia ben sappiamo essere per Platone il criterio per astrarre l’universale dal particolare. Tali corrispondenze devono essere ri-stabilite per via tradizionale e, tramite l’arte della Kabbalah, ri-percorrere i sentieri che legano e col-leggano le sephirot. Tutto ciò partendo dal risveglio dell’uomo quale Ente Magico tramite gli strumenti del gesto, del segno, della parola, del pensiero. Le sephirot e la loro posizione sull’Albero della Vita, disegnano, tramite i simboli e le analogie, tutta la complessità microcosmo-macrocosmo. E’ possibile quindi collegare il mondo finito, il conosciuto,  il nostro malkuth,  all’infinito ossia a ciò che in ebraico viene chiamato ”Ain Soph”.
        “La croce è il geroglifico alchemico del crogiuolo” (Fulcanelli - “Il mistero delle cattedrali”),  in tardo latino “crucibulum” che ha per radice crux, crucis.  E’ in questo che Cristo muore per rinascere purificato,  Uomo Nuovo. La croce, con la sua tracciatura, ci parla quindi anche del cammino iniziatico, del percorso ermetico di V.I.T.R.I.O.L.: scendiamo verso le oscure profondità del nostro Io materiale (inferno), per poi risalire fino al punto d’incontro con l’orizzonte della terra (purgatorio) ed infine, dal centro, espandere la nostra vista e la nostra risalita (paradiso), lì ove il cuore indica l’ingresso della segreta caverna da cui abbiamo iniziato il cammino in noi stessi.
Se riportiamo sul Tetragramma verticalizzato sull’Albero della Vita gli elementi alchemici, ritroveremo:
YOD con il Fuoco
HEY con l’Aria
VAV con l’Acqua
HEY con la Terra
         Nel nostro rituale giornaliero eseguiamo la croce cabalistica con parole e gesta segnate sul nostro corpo. Ricorriamo al linguaggio ebraico perché questo ci permette di ricostruire l’Albero della Vita su di noi, in questa scenografia materiale da cui dobbiamo iniziare a lavorare per un perfetto allineamento dei nostri corpi spirituale, mentale, animico, fisico. Invochiamo le qualità di quella determinata sephirah pronunciando il Nome della Manifestazione divina e vibrando con essa, fino ad accordare la coscienza con il raggiungimento dell’evocazione. L’elemento chiave per l’efficacia di un rituale rimane il trinomio “pensiero-sentimento-volontà”.

         Abbiamo individuato con il nostro bacino un triangolo con la base sulla terra, simbolo ermetico del fuoco. Poi ne tracciamo un altro, con vertice opposto, dove la base è rappresentata dalla nostra dualità, e il vertice verso il basso, simbolo dell’acqua. Ricerchiamo un contatto con Dio affinché si riaccenda la scintilla della nostra regalità e, illuminandoci totalmente nella nostra verticalità, faccia “operare” i due triangoli entro il cerchio dell’Unità. Concentriamo il fuoco al nostro petto, proprio là ove si accende la lettera rossa che doniamo all’infinito per riportarla in noi e custodirla su questo mondo terreno.
Con la sovrapposizione dei simboli ermetici dei due triangoli, acqua e fuoco, concepita tramite gli altri due simboli delle sephirah laterali, terra e aria, otteniamo il Sigillo di Salomone che, riportato sul quadrato magico del SATOR, individua la parola TAO, letteralmente “Via” ma spesso tradotto come Principio”: l’eterna, essenziale e fondamentale forza che scorre attraverso tutta la materia dell’Universo, coniugando il nostro Yang (maschile, attivo, luce) con il nostro Yin (femminile, passivo, ombra) ovvero le due metà dell’Uovo del Mondo.
La croce cabalistica incide a fuoco su di noi il pantacolo martinista, tracciando la croce, unificando gli elementi, dissipando le dualità nell’unica risposta attraverso cui iniziare il cammino di reintegrazione. Lì dentro quel cerchio che trova la sua ragione prima nel centro vivificante si può finalmente parlare di quell’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo, terra uomo e cielo, e si può magnificamente nutrire il nostro albero rigoglioso con le radici nella volta celeste.

“Quest’albero dalle dimensioni celesti si è innalzato dalla terra al cielo, pianta immortale fissatasi a metà strada tra la terra e il cielo; fondamento di tutte le cose, sostegno dell’universo, supporto del mondo intero, legame cosmico che tiene unita la volubile natura umana, assicurandola coi chiodi invisibili del- lo spirito, affinché, unita al divino, non possa più distaccarsene. Toccando il cielo con l’estremità superiore, con i piedi raffermando la terra, tenendo stretto da ogni parte, con le braccia sconfinate lo spirito numeroso diffuso nell’aria, egli fu tutt’intero in tutte le cose e dovunque”

(Omelia “In Sanctum Pascha” - Anonimo)
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IL DEMIURGO GNOSTICO

Elenandro XI S:::I:::I::: Collina Abraxas (Toscana)

Uno degli elementi caratteristici dello gnosticismo di area alessandrina[1] è la presenza di un Demiurgo[2]. Di una figura, intermedia fra il creato e la Radice Metafisica, che fattivamente plasma l’intera creazione e con essa la creatura per eccellenza che è l’uomo.  Erroneamente si potrebbe accostare il Demiurgo Gnostico a quello Platonico. Indubbiamente entrambi plasmano la materia; entrambi sono frapposti fra il microcosmo uomo e il macrocosmo; entrambi riproducono in forma delle superiori e entrambi non sono la radice spirituale superna. Qualcuno, in forza di queste similitudini, potrebbe ritenere che lo gnosticismo è una sorta di traslazione in chiave cristiana del pensiero platonico. Rappresentando, quindi, una sorta di infusione di elementi filosofici e mitologici ellenistici all’interno della novella cristiana. Purtroppo tale accostamento, se superficialmente plausibile, non trova rispondenza nella sostanzialità della funzione e dei motivi ispiratori di queste due figure, fra loro accumunate solamente da identico nome.
Platone nel Timeo avverte la necessità di eliminare la separazione fra il mondo superiore delle Idee e il mondo delle forme o della realtà sensibile. Tale compito unificante è svolto dal Demiurgo, dall'artigiano divino, che riconduce ad unità le precedenti categorie concettuali, altrimenti cristallizzate nella loro difformi qualità primarie. Il mondo delle Idee presenta caratteristica prima di non mutevolezza; è il mondo archetipale perennemente eguale a sé stesso. Il mondo delle forme, ha come qualità primaria la mutevolezza; il perenne transare da una forma all’altra.
Il Demiurgo platonico è il mediatore, il formatore, l'abile artigiano che plasma la materia madre, dando forma al mondo delle idee e sostanza al mondo delle forme. Esso è mosso quindi da una pura ispirazione superiore, che guida la sua abile mano. Questo divino artigiano si pone al centro del fluire del tempo e dello spazio, precedendo il tempo e lo spazio. Nei fatti è proprio la sua azione generatrice, che determina quel movimento circolatorio da cui scaturisce la dimensione spazio temporale che è palcoscenico della creazione.
Il Demiurgo platonico traduce nel divenire e nella forma, animato e guidato dall'idea del Bene e del Bello, il mondo delle idee.  La sua creazione non è ex nihilo, ma in realtà trattasi di una traduzione in altro di ciò che è preesistente. Esso trasmette la forma ideale ad una materia preesistente e fino a quel momento amorfa in quanto priva di sostanza. Inevitabilmente tale opera è condizionata dalla subordinazione ontologica del mondo sensibile  al mondo delle idee, riducendo quindi tale plasmante generazione ad un'inevitabile, ma comunque benevola approssimazione.

Nello gnosticismo, diversamente da quanto in precedenza trattato, la figura del Demiurgo oscilla fra l’essere il diabolico creatore di questo mondo e una potenza inferiore da redimere. Gli Arconti[3], i suoi figli, sono descritti come gli oppositori, i governatori delle sfere astrali, i reggenti dei pianeti e gli impassibili carcerieri che, attraverso opportune parole di passo così come nell'Antico Egitto[4], lo gnostico deve sconfiggere per ascendere al Pleroma. 
Nei sistemi gnostici, che lo prevedono all’interno della ricca cosmogonia, il Demiurgo è il figlio dell’errore della Sophia. La quale infrangendo l’ordine che regna nel Pleroma, tenta di congiungersi con il Padre. Tale suo tentativo, una sorta di incesto filosofico e metafisico, è rigettato e, al contempo, viene posta oltre il limitare del Pleroma stesso. Abbiamo quindi una sorta di prolasso pneumatico che forma lo spazio, separato, del mondo inferiore. La Sophia si pente e, da questo suo atto di dolore, viene generato per ipostasi il Demiurgo. Il quale raccoglie parte della potenza spirituale della madre e parte dei suoi ricordi del mondo superiore. In forza di tale potenza, e dei ricordi che lo animano, riproduce un mondo che è riflesso distorto e grottesco del Pleroma stesso. Tale creazione è insita proprio nello spazio separativo causato dall’allontanamento della Sophia dal Pleroma. Nei vari sistemi gnostici la funzione redentrice è affidata o ad una potenza spirituale femminile o all’Eone Cristo. Da qui la nascita dei sistemi barbelotiani, legati ad una figura femminile, e quelli che si innestano all’interno della narrazione cristiana.
E’ utile precisare che la funzione salvifica non sempre abbraccia l’intero mondo inferiore,  essendo volta a recuperare le particelle di pneuma disperse in esso. Essa è sovente limitata ad una data tipologia di uomini cosiddetti “pneumatici”[5], i quali conformano la propria vita ad una serie di precetti e pratiche a carattere filosofico e misterico.
Ovviamente tale mito può essere letto sia in chiave puramente favolistica o come una sorta di metafora attorno alla degenerazione del pensiero da uno stato di purezza assoluta, ad uno stato di intorpidimento ed infine di grossolana e contingente consistenza. Personalmente prediligo questo secondo approccio, riconoscendo nel mito una funzione comunicativa/formativia/informativa ben superiore a quella del pensiero logico-dialettico. Del resto non è forse vero che ogni struttura iniziatica, che i corpi rituali stessi e la sapienza in tutto ciò raccolta trovano radice in qualche mito fondativo ? Gli gnostici scelsero proprio il mito come, innestato sapientemente all’interno di contesti religiosi, come strumento di comunicazione. Uno strumento atta a preservare il nucleo dualistico dell’insegnamento sapienziale di cui erano portatori.
E’ utile precisare, per meglio comprendere la prospettiva spirituale in cui è calato il Demiurgo, che lo gnosticismo risolve in modo radicale il problema del "Perché del Male", sostenendo che esso è intrinsecamente presente nella creazione, a causa di un errore della stessa dettato da un ente inferiore: il quale non è il vero Dio. Nell'ebraismo, e in genere nelle religioni monoteiste di area mediterranea, la questione del male, all'interno del mondo, viene letta come problema connesso alla libera scelta dell'uomo: la possibilità data all’uomo di conformarsi o di non conformarsi alla Legge, o alla Volontà, Divina. Satana, l'avversario, in queste religioni, è un elemento interno alla creazione e la sua azione è permessa proprio per saggiarne la fedeltà al suo Creatore.
Tale visione, che emerge dall’antico testamento, non poteva essere congeniale all’idea gnostica di un Dio perfetto, legato ad assoluti criteri di armonia e purezza. Come poteva questo mondo così mutevole e perverso essere espressione di un Dio di piena conoscenza ? Rifiutando il concetto stesso di “prova” e “trasgressione” da parte dell’uomo, lo gnostico assume la seguente posizione speculativa: Se Dio ha creato il mondo e nel mondo vi è il male, come può questo male essere estraneo a Dio stesso?
Ecco quindi che il Dio dell’Antico Testamento, il quale fattivamente crea questo mondo, relegando l'uomo stesso ad una vita di travaglio e di sofferenza, è soggetto ad una rivisitazione, ad una rilettura allegorica, che ne capovolge attributi e qualità. Il filosofo gnostico individua in tale potenza divina una volontà di contraffazione ed inganno.  La quale è mossa dal desiderio di ricalcare nella materia il mondo superiore negato.

Nel testo della scuola Barbelognostica l’IPOSTASI DEGLI ARCONTI, così viene visto il Demiurgo:
”Nello spirito del Padre della Verità, il grande Apostolo (San Paolo ndr) disse: la nostra lotta non è contro creature fatte di carne e di sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti.
Vi invio questo scritto affinché siate informati sulla realtà di queste Potenze. Il loro grande Dio, reso cieco a causa della sua ignoranza e della sua arroganza, ha detto: Io sono l’unico Dio, non vi è nessun altro al di fuori di me.
Questa affermazione raggiunse l’Eone Incorruttibile dal quale uscì una voce che disse: Ti sbagli Samael, tu sei il dio dei ciechi !.”

Ovviamente, per ovvia applicazione di questa inversione, sono rilette come eroiche tutte quelle figure che si sono ribellate al Dio dell’Antico Testamento. Il serpente è una sorta di Prometeo che si sacrifica donando la conoscenza agli uomini. Caino è maledetto, viene privato del suo diritto di primogenitura, in quanto Dio predilige i sacrifici sanguinari del fratello. La lista potrebbe continuare, ma niente aggiungerebbe al mito gnostico del Demiurgo.
Lo gnostico, straniero in un mondo straniero, anela di tornare al Pleroma, questa archetipale casa spirituale, è posto innanzi a due diverse vie. La prima è quella di “ingannare gli ingannatori”, in altri termini aderire solamente formalmente ai precetti sociali e religiosi di questa vita. La seconda è di contrastare attivamente, attraverso pratiche contrarie al comune senso morale ed etico, le leggi e gli usi sociali. In quanto essi sono espressione del potere demiurgico, e quindi aventi funzione di soggiogare lo spirito divino raccolto nei pneumatici.
E’ possibile, in conclusione, affermare la figura del Demiurgo nello gnosticismo si colloca all’interno dell’apparente, o sostanziale a seconda dei punti di vista, inconciliabilità fra il Dio Giudicante dell’Antico Testamento e il Dio Buono del Nuovo Testamento. Lo gnostico, interrogandosi, attorno alle contraddizioni della sacra scrittura, trova definitiva spiegazione del “male” proprio nella figura del Dio della Genesi e delle azioni che determina con la sua opera.

La Preghiera Esicastica

Il termine esicasmo deriva dal greco e significa quiete, raccoglimento. La preghiera esicasta è una preghiera strettamente legata alla preghiera del cuore, alla preghiera di Gesù e costituisce una pratica importante all’interno dell’Ortodossia. Bisogna distinguere la preghiera esicasta nella sua essenza da tutte le particolari pratiche ed esercizi che la possono costituire. Questi ultimi possono anche variare e hanno un valore relativo tant’è che la preghiera esicasta, nella sua essenza non è altro che l’unione con Dio, la deificazione.
San Gregorio fu il difensore della preghiera esicasta e ha avuto il merito di dimostrare che è possibile su questa terra l’unione e la conoscenza di Dio, distinguendo, senza per altro averlo inventato, la natura divina dalle sue energie. Secondo San Gregorio Palamas e secondo la prassi spirituale ortodossa Dio è inconoscibile nella sua Natura ma si rivela nelle sue Energie dette anche Attributi (Bellezza, Saggezza, Amore, ecc.).
Il fine di chi prega nell’esychia è dunque la conoscenza di Dio, non una conoscenza intellettuale, ma una conoscenza del cuore (che non significa del sentimento!), cioè nel profondo dell’uomo. Nella preghiera esicasta si cerca precisamente di fare discendere l’intelletto nel cuore e si ferma ogni genere di pensiero.
La preghiera di Gesù è una preghiera giaculatoria ossia breve e consiste nella ripetizione ininterrotta delle seguenti parole : “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio, abbi pietà di me peccatore”. Inizialmente tale preghiera viene detta con le labbra ad alta voce e successivamente viene interiorizzata sempre più man mano che si avanza spiritualmente. Associata al respiro essa si unisce a tutto l’essere umano, al corpo e all’anima. Presuppone assolutamente la purificazione dalle passioni e la tensione verso lo stato paradisiaco nel quale l’uomo torna nuovamente ad essere familiare con Dio. In tale situazione tutte le facoltà umane sono riunite armonicamente.
La preghiera liturgica, la lettura del salterio e tutte le altre forme di preghiera hanno lo stesso fine ma la preghiera del cuore è la preghiera per eccellenza, perché grazie alla sua semplicità, può aiutare qualunque uomo. Così viene denominata semplicemente “la preghiera”.
Tale preghiera suppone che l’uomo faccia silenzio dentro di se che fermi pure il fluire dei pensieri e soprattutto che lotti contro le passioni che lo ostacolano in tale impegno spirituale.
Alcune tecniche come quelle di sedersi, d’inclinare la testa, di trattenere il respiro per rimetterlo ritmicamente, d’indirizzare il proprio pensiero verso il cuore, ecc. aiutano la preghiera
Il  Racconto di un pellegrino russo ha fatto scoprire all’Occidente inaridito dal razionalismo l’esistenza della preghiera del cuore. Attraverso la sua esperienza, il pellegrino mostra che pure un semplice contadino può arrivare al più alto grado della preghiera. Tale preghiera è molto diffusa nel mondo ortodosso. Chi non ha visto cristiani o monaci nelle chiese segnarsi e bisbigliare pregando mentre le loro dita scorrono tra i nodi di una corda? La corda di preghiera è detta in greco komvoskini. Questa pratica può avvenire anche durante le ufficiature liturgiche.
Quando la preghiera, con l’attento aiuto di un padre spirituale esperto che la pratica, è giunta al suo grado più elevato l’attività umana si sospende tranne quella spirituale poiché è lo Spirito che s’impossessa completamente dell’uomo. Comunque, prima di giungere a tale stadio, l’uomo collabora meglio che può alla preghiera in sinergia con l’attività dello Spirito Santo.

Io ho cercato di comprendere meglio cosa si definiva come via cardiaca , preghiera del cuore, ed ho trovato numerosi riferimenti ad una tecnica di preghiera proveniente da ordini monastici dell’est europeo ed dell’estremo oriente , chiamata appunto Esicasmo , la ricerca dell’intima comunicazione con Dio , nel raccoglimento e nella solitudine , pellegrino sulla terra in cammino verso la città celeste  . Questa preghiera incessante , preghiera di Gesù , consiste nella ripetizione continua del Nome di Gesù , a volte unita alla frase “ Signore Gesù Cristo , abbi pietà di me” , il Kyrje eleison . Questa preghiera ècitata anche nel Vangelo di Luca ed è appunto  la pronuncia esteriore vocale e interiore del nome di Gesù per portarlo sempre con noi durante il nostro cammino terreno , il Tetragramma , che per noi Martinisti con l’irruzione e l’inserimento centrale della schin diventa la nostra formula pentagrammatica , centro della nostra ricerca spirituale . La preghiera viene recitata con il mento appoggiato al petto come in un colloquio diretto con il cuore , preghiera del cuore . “Posa il tuo mento sul tuo petto,sii attento a te stesso con la tua intelligenza ed i tuoi occhi sensibili .Trattieni il respiro il tempo necessario perché la tua intelligenza trovi il luogo del cuore e vi resti integralmente.All’inizio tutto ti sembrerà tenebroso o duro , ma con il tempo e con l’esercizio quotidiano scoprirai in te una gioia continua”.
“Chiudere la porta della tua cella”diceva Giovani Climaco “ferma la porta della lingua” , “sbarra la porta per tenere fuori gli spiriti”  , ma San Benedetto invece invitava i propri  monaci a recitare ad alta voce i Salmi , secondo la “liturgia delle Ore” , anche noi Martinisti durante la nostra preghiera recitiamo alcuni Salmi .
La santa pratica della preghiera incessante viene esercita dal cuore e da esso scaturisce l’estasi , l’esperienza della luce che illumina più del sole , tutto l’uomo diventa deificato da quell’attività divina ; la ragione del “logos” e l’aspetto sublime della preghiera .Questa preghiera del cuore non viene quasi fatta dall’uomo ma dallo Spirito Santo attraverso l’uomo , la preghiera diventa entità “ lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi , con gemiti inesprimibili “ e all’uomo si chiede lo sforzo tensivo costante . 
Ho trovato numerosi riferimenti storici della preghiera incessante del cuore anche in occidente attraverso i secoli , formule giaculatorie , Bernardo da Chiaravalle indicò alla pietà medioevale il Sacro Cuore di Gesù come sede dell’Amore divino , in seguito la devozione si diffuse tra i Benedettini , i Cistercensi ed i Francescani stessi . Termino questo punto citando quello che sembra essere il riferimento più presente dell’esicasmo nella liturgia romana antica “nomen domini invocabo” che stabilisce anche un colegamanto tra la prassi collettiva della liturgia e la prassi individuale dell’invocazione del Nome .
La natura iniziatica , più prettamente nostra , della preghiera del cuore ha il significato di essere una pratica riservata agli iniziati , insegnata da Maestro ad iniziato secondo tradizione , esercitata singolarmente in comunione eggregorica e direzionata dal Filosofo o responsabile di catena .
il Tempio, il perimetro , il luogo nel quale estraniarsi dalla passioni terrene , dove chiudere fuori gli spiriti negativi ( “non sic” ) dove la lingua salmodia in preparazione all’esicasmo vero e proprio . Io sono un cerchio , l’individuale , siamo un cerchio ,  la catena  , l’eggregore. Io sono il mio tempio collegato con gli altri Fratelli e Sorelle , anch’essi tempii e sacerdoti .
Gli esicasti praticano la cosiddetta preghiera di Gesù o preghiera del cuore, che consiste nella ripetizione incessante della stessa formula, secondo il ritmo del respiro ("Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore" in greco ΚύριεἸησοῦΧριστέ, ΥἱὲΘεοῦ, ἐλέησόνμετὸνἀμαρτωλόν [Kyrie IisùChristé, IiéTheù, eléisòn me tònamartolòn]). Poiché tale preghiera - resa celebre dai Racconti di un pellegrino russo di un anonimo del XIX secolo –, era spesso compiuta con la testa reclinata sul petto, gli esicasti furono accusati dai loro avversari – in particolare dal monaco Barlaam ( XIV secolo) – di praticare l'onfaloscopia, ossia la contemplazione del proprio ombelico. «Esicasta», scrive Giovanni Climaco, «è colui che cerca di circoscrivere l'incorporeo nel corporeo... La cella dell'esicasta sono i limiti stessi del suo corpo: al suo interno c'è una dimora di sapienza» (Scala del Paradiso, XXVII/1,5.10). Ma la descrizione più dettagliata della "preghiera del cuore" è contenuta in uno scritto anonimo, probabilmente opera di un monaco dell'Athos, Niceforo il Solitario (XIV secolo): il Metodo della preghiera e dell'attenzione sacre. In questo testo – noto in tutto l'Oriente cristiano semplicemente come Methodos – si raccomanda di rifugiarsi in un luogo solitario e tranquillo e di concentrarsi, senza lasciarsi distrarre da pensieri vani: «Posa il tuo mento sul petto, sii attento a te stesso con la tua intelligenza e i tuoi occhi sensibili. Trattieni il respiro il tempo necessario perché la tua intelligenza trovi il luogo del cuore e vi resti integralmente. All'inizio tutto ti sembrerà tenebroso e molto duro, ma col tempo e con l'esercizio quotidiano scoprirai in te una gioia continua».
La "Preghiera di Gesù" diviene inseparabile dalla dottrina di una vita spirituale che i cristiani di origine bizantina o di origine slava considerano il cuore dell'ortodossia: l'esicasmo..La preghiera del Cuore è considerata la preghiera incessante che l'apostolo San Paolo raccomanda nel Nuovo Testamento.
Teofane il Recluso considerava la Preghiera di Gesù più forte di tutte le altre preghiere, in virtù del potere del Santissimo Nome di Gesù.
Tuttavia, la preghiera di Gesù può essere considerata la controparte orientale del rosario cattolico romano, che è stato messo a punto per tenere un posto simile nell'Occidente cristiano.
Per tutti i Fratelli e le Sorelle che volessero aver alcune notizie sul metodo consigliato per esercitare la Esicasmo , ho raccolto qui di seguito alcune istruzioni pratiche :
 1) INTRODUZIONE AL METODO
“Non è possibile legare lo spirito; ma là dove si trova il creatore di tale spirito, tutto si sottomette a lui”. La fase iniziale della preghiera consiste  nel respingere i pensieri fin dal loro nascere,  mediante la preghiera; la fase centrale si ha invece quando la mente rimane esclusivamente nelle parole pronunciate vocalmente o mentalmente; il coronamento, infine, è il rapimento della mente verso Dio. Così, dunque, colui che prega secondo il metodo esposto da Giovanni Climaco pregherà con le labbra, con la mente e con il cuore; e chi avrà progredito in questo modo di pregare possiederà la preghiera della mente  e del cuore e attirerà su di sé la grazia divina .
2)    COME INIZIARE
Lo  ieromonaco Doroteo : “Per cominciare, devi dire la preghiera  vocalmente, cioè con le labbra, la lingua e la voce, forte quanto basta perché tu possa udire te stesso. Quando le labbra, la lingua e i sensi saranno sazi della preghiera detta vocalmente, la preghiera vocale cessa e si comincia a dirla in un sussurro. Dopo di ciò si deve imparare a fissare costantemente la propria attenzione sulla zona della gola. Allora, a un segno, la preghiera della mente e del cuore comincerà a sgorgare spontaneamente e incessantemente: si presenterà da sè e agirà in ogni momento, durante qualsiasi attività e in qualsiasi luogo”.
L’insegnamento di Serafim di Sarov
 “Durante la preghiera”, insegna  “sii presente a te stesso, cioè raccogli la tua mente e uniscila alla tua anima. All’inizio, per uno o due giorni o anche più, fa’ questa preghiera con la sola mente, staccando le parole e fissando la tua attenzione su ciascuna di esse in particolare. Quando il Signore riscalderà il tuo cuore con il calore della sua grazia e unificherà il tuo essere in un solo spirito, questa preghiera si metterà a sgorgare in te incessantemente: essa sarà sempre con te e ti porterà gioia e nutrimento”.
3) IL METODO
NilSorskij prescrive di far silenzio interiormente, proibendo a se stessi non soltanto di pensare a qualcosa di peccaminoso o di vano ma anche a qualcosa di apparentemente utile o di spirituale. Invece di pensare, bisogna guardare incessantemente nelle profondità del proprio cuore e dire: ”SIGNORE GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME, PECCATORE”. Si può pregare in piedi, seduti, coricati. Coloro che sono robusti e in buona salute preghino stando in piedi; i deboli, invece, possono pregare anche stando coricati, perché in questa preghiera l’ascesi spirituale prende il sopravvento su quella del corpo. Bisogna dare al corpo una posizione che procuri allo spirito ogni libertà per l’attività che gli è propria. 
Controllo del respiro
NilSorskij raccomanda di rinchiudere la mente nel cuore e di controllare, per quanto è possibile, il respiro, per non respirare troppo spesso. In altre parole, bisogna respirare molto adagio. In generale, bisogna reprimere tutti i movimenti del sangue e mantenere il corpo e l’anima in uno stato di tranquillità, di silenzio, di adorazione, di timor di Dio; altrimenti l’attività propriamente spirituale non può manifestarsi in noi: essa lo fa quando tutti i movimenti e i ribollimenti del sangue si sono placati. L’esperienza insegnerà che il controllare il fiato, cioè il respirare con minor frequenza e lentamente, contribuisce molto a farci entrare in uno stato di calma e a ricondurre la mente dal suo vagabondare. “ Vi sono molte opere virtuose”, dice Nil, “ma sono tutte parziali; LA PREGHIERA DEL CUORE, invece, E’ LA SORGENTE DI TUTTI I BENI: essa irriga l’anima come fosse un giardino. Quest’opera, che consiste nel mantenere la mente nel cuore senza nessun pensiero, è estremamente difficile per coloro che non hanno imparato a praticarla; [...]. Ma quando l’uomo riceve la grazia, allora prega senza sforzo e con amore, perché è da essa consolato. Allorché sopraggiunge l’attività della preghiera, essa attira a se la mente, la riempie di allegrezza e la libera dalle distrazioni.
La tecnica di Niceforo l’Esicasta
Nella seconda metà del XIII secolo, l’eremita Niceforo l’Esicasta è il primo che attesti un legame tra la preghiera di Gesù e una tecnica di respirazione.  Dopo aver chiarito la funzione del cuore e i suoi rapporti con il respiro, egli insegna il raccoglimento dello spirito che devE essere introdotto nelle narici e spinto sin dentro al cuore contemporaneamente all’ aria inspirata. Quando lo spirito, placato, è entrato nel cuore, bisogna gridare dentro di sé: “SIGNORE GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME!”.
Dimostrò subito di saper obbedire sottomettendosi ai padri più eminenti, dopo un lungo tempo dette loro la prova della sua umiltà; allora anche lui ricevette da loro L’ARTE DELLE ARTI,  cioè l’esichia come esperienza.  Nel suo celebre scritto sulla pratica esicastica, Trattato della sobrietà e della custodia del cuore,  Niceforo invita i lettori ad imparare la TECNICA D’ORAZIONE e afferma: “Ritorna dunque, o più esattamente torniamo, cari fratelli, a noi stessi, rigettando col massimo disprezzo il consiglio del serpente .
Perché non vi è che un mezzo per accedere al perdono e alla familiarità con Dio; prima di tutto, ritornare per quanto è possibile in noi stessi”. “Prima di tutto la tua vita sia tranquilla, libera da ogni preoccupazione, in pace con tutti....Orbene: in quanto a te siediti, raccogli il tuo spirito, introducilo – lo spirito intendo - nelle narici; è appunto questa la via di cui si serve il respiro per arrivare al cuore. Spingilo, forzalo a discendere nel tuo cuore insieme con l’aria inspirata. Quando vi sarà, tu vedrai quale gioia ne consegue: non avrai nulla da rimpiangere... Fratello mio, abitua dunque il tuo respiro a non essere sollecito a uscirne. Agli inizi gli manca lo zelo... per questa reclusione e questo sentirsi alle strette. Ma una volta che abbia contratta l’abitudine, non proverà più alcun piacere a circolare al di fuori, PERCHE’ IL REGNO DI DIO E’ DENTRO DI NOI e a chi volge verso di lui i suoi sguardi e lo ricerca con preghiera pura, tutto il mondo esterno diviene vile e spregevole. Se fin dall’inizio riesci a penetrare con lo spirito NEL LUOGO DEL CUORE che ti ho mostrato, sia ringraziato Dio! Glorificalo, esulta e attaccati unicamente a questo esercizio. Esso ti insegnerà ciò che ora ignori. Sappi che mentre il tuo spirito si trova là, tu non devi né tacere né stare inerte. Ma non avrai altra preoccupazione che quella di GRIDARE: “SIGNORE GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME”.
Gregorio il Sinaita
In Gregorio il Sinaita la preghiera di Gesù è esplicitamente accompagnata da pratiche volte alla concentrazione dello spirito: «A partire dal mattino, siediti su una seggiola bassa, spingi il tuo spirito dalla mente nel cuore e mantienivelo […]; faticosamente chino, con vivo dolore  al petto, alle spalle e alla nuca,  griderai senza posa nel tuo spirito o nell’animo: “SIGNORE GESU’ CRISTO ABBI PIETA’ DI ME!”. In seguito, a causa della costrizione e del disagio dovuto alla persistenza, trasporterai il tuo spirito sulla seconda metà dicendo: “FIGLIO DI DIO  ABBI PIETA’ DI ME!”.
Simeone il Nuovo Teologo
L’autore consiglia infine UN METODO NATURALE  PER L’INVOCAZIONE DEL NOME e la custodia del cuore: “Quindi, seduto in una cella tranquillo, in disparte, in un angolo, fa’ quello che ti dico: chiudi la porta, ed eleva la tua mente al di sopra di ogni oggetto vano e temporale.  quindi appoggia la barba sul petto, volgi il tuo occhio corporeo, assieme a tutta la mente, nel centro del tuo ventre, cioè nell’ombelico. Comprimi l’inspirazione che passa per il naso, in modo da non respirare agevolmente ed esplora mentalmente all’interno delle viscere, PER TROVARE IL POSTO DEL CUORE ove sono solite dimorare tutte le potenze dell’animo. Dapprima troverai oscurità e una durezza ostinata, ma, PERSEVERANDO IN QUEST’OPERA NOTTE E GIORNO, troverai, oh meraviglia!, una felicità infinita.
L'esicasta deve stare seduto in preghiera senza aver fretta di alzarsi
Resta il maggior tempo possibile seduto sullo scanno nella laboriosa posizione di cui ho parlato; per rilassarti stenditi nella stuoia, ma per breve tempo e di rado. Rimani seduto con grande pazienza per amore di Colui che ha detto: "perseverate nella preghiera"; non aver fretta di alzarti per insofferenza di quel penoso travaglio richiesto dall'invocazione interiore della mente e dall'immobilità prolungata.
Come disciplinare il proprio spirito
La ritenzione del respiro stringendo le labbra, disciplina il pensiero, ma per breve tempo, perchè di nuovo comincia a dissiparsi. Quando l'energia della preghiera interviene, prende le redini del comando e lo custodisce vicino a sé, liberandolo dalle catene gli ridona la gioia. Può succedere che mentre il pensiero è fisso nella preghiera e immobile nel cuore, l'immaginazione cominci a vagare e a interessarsi di altro. Essa non sottostà a nessuno, eccettuato a chi, raggiunta la perfezione nello Spirito Santo, rimane immobile in Cristo Gesù.
L'esicasta bisogna che in tutto sia parco, nè deve lasciarsi andare ad eccessivi pasti. Quando lo stomaco è pesante la mente rimane annebbiata, e la preghiera non può essere praticata con chiarezza e costanza. Sotto l'influsso dei fumi del troppo cibo, uno diventa sonnacchioso, e desidera distendersi per dormire; da questo stato derivano le innumerevoli fantasticherie che nel sonno si precipitano nella mente.
L'invocazione di Dio, la preghiera mentale è la più alta opera che l'uomo possa compiere, è il vertice di tutte le virtù come l'amore di Dio.
Tu, se stai praticando il silenzio con serietà, desiderando l'unione con Dio, non permettere che un oggetto esteriore sensibile o mentale, esteriore o interiore, fosse pure l'immagine di Cristo, o la forma di un angelo o di un santo, o la luce immaginaria, si presenti alla tua mente, non accettarle. La mente possiede un potere naturale di fantasticare e, facilmente, si costruisce delle immagini fantastiche di ciò che desidera, se non si è vigilanti e si arriva in tal maniera a danneggiare se stessi.
Il ricordo di cose buone o malvagie si imprime nella mente e la conduce a fantasticare. A chi succede questo invece di divenire un esicasta, diventa un sognatore. Per questo sii vigilante a non prestare subito fede e assenso, anche quando si tratta di una cosa buona, prima di avere interrogato un esperto e di avere a lungo investigato, per evitare ogni possibile rischio. In linea generale, sii diffidente di queste immagini, mantieni la mente libera da colori, immagini e forme.
La preghiera è ardente quando è accompagnata dall'invocazione a Gesù. Egli porta il fuoco nella regione del cuore. La sua fiamma brucia le passioni come pula, e riempie il cuore di gioia e di pace; scende in noi nè da destra, nè da sinistra e neppure dall'alto, erompe nel cuore come sorgente dallo Spirito datore di vita.
Questa è la preghiera che devi desiderare di trovare e raggiungere nel cuore; conserva libera la mente da fantasticherie e spoglia di pensieri e ragionamenti. E non essere pavido. Colui che disse: Abbi fiducia sono io, non aver paura, è veramente in noi; Lui cerchiamo e Lui sempre ci protegge. Quando invochiamo il Signore non dobbiamo nè aver paura, nè sospirare.
Tre sono le qualità della preghiera silenziosa: l'austerità, il silenzio, la non considerazione di se stessi, cioè l'umiltà; queste devono essere praticate con fedeltà; continuamente dobbiamo verificare se sono la nostra dimora, perchè dimenticandole non ci incamminiamo fuori di esse. L'una sostiene e custodisce l'altra, da esse nasce la preghiera e cresce in maniera perfetta.



[1] Lo gnosticismo si articola in due correnti principali. Quella iranica, caratterizzata da un dualismo verticale originato da due Principi Contrapposti e Coevi, e quella alessandrina, a sua volta caratterizzata da un dualismo orizzontale e mitigato dalla presenza di una serie di creazioni successive ed emanative.
[2] Il termine greco è δημιουργός (dēmiurgòs). Risulta essere composto da "δήμιος" (dèmios-popolo) ed "ἔργον" (èrgon – lavoratore).
[3] In greco antico ἄρχωνárchon, al plurale ἄρχοντες – magistrato.
[4] Nel Libro Egiziano dei Morti sono raccolte numerose formule magiche e sacerdotali, che l’iniziato doveva apprendere in vita, che permettevano il superamento dei vari demoni che sbarravano il suo transito nell’aldilà.
[5] Portatori del Pneuma e consapevoli di ciò.

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