domenica 25 giugno 2017

XXVI LA MALDICENZA (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.


XXVI. LA MALDICENZA

" E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.  Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male..”(Marco VII. 20, 21)

L'uomo è costruito in modo tale da non poter niente concepire, o percepire dall'esterno, se non ha pregustato una contropartita interiore. La bellezza di una musica mi commuove perché la mia sensibilità ne contiene l'armonia interiore, e la bruttezza mi offende attraverso un meccanismo inverso.
Io non posso non vedere i difetti o le travi del prossimo; ma io non porto in me gli stessi germi morbosi? Che diritto ho di criticare, disprezzare e rendere pubblici questi errori?
La calunnia è un meccanismo pusillanime, un tradimento. Se penso che il mio vicino di casa ha sbagliato, perché non ne parlo solamente con lui? E, del resto, io non sono solamente responsabile che degli esseri sotto la mia direzione?
Il parlare del male lo propaga; delle critiche, dello scherno, delle vessazioni che le terze persone indirizzeranno agli assenti, a causa della mia maldicenza, sono io che ne porterò il peso. E perché? Per un gesto di cui io ignoro i motivi o le intenzioni. Non posso io che conoscere solamente il vero valore delle mie azioni, e discernere la loro vera natura delle mie motivazioni profonde?
Giudicare, questo dovrebbe essere comparare con un criterio interno preciso. Ma, dal momento che non sono perfetto, il mio criterio sarà necessariamente difettoso; esiste sempre un’anima in qualche luogo che mi oltrepassa. Dicendo: "Non sono io che commetterò mai una tale azione mai! “, ciò è come lanciare una sfida al male. E il Male che è vivo; esso ascolterà questa sfida; e risponderà; una simile tentazione verrà. Ed i bulli sono spesso picchiati.
Così, condannando gli altri, io stesso mi metto in catene, mi costringo ad una caduta o ad un arresto che dureranno fino a quando le circostanze della vita mi permetteranno di riparare i torti.

OSSERVANZA: Non parlare male degli assenti.

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mercoledì 14 giugno 2017

XXV. L’INSEGNAMENTO DI CRISTO (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.

XXV. L’INSEGNAMENTO DI CRISTO

"Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire." (Giovanni XII, 49)

Quando un uomo insegna, egli può diffondere l’errore; egli può soprattutto non dire la verità opportuna. Quella di cui gli ascoltatori, ciascuno e tutti insieme, dovrebbero ricevere; quella adatta al loro stato attuale, al loro sviluppo futuro, alla loro discendenza, la migliore. Nessuno raggiunge la perfezione, e nell'insegnamento spirituale ancor meno che in ogni altra materia.
Ma Gesù deteneva la verità perfetta, con tutte le sue perfette applicazioni, dal momento che il Verbo è questa Verità. Il Sapere è solo l'immagine mentale dell'Essere. E, come Gesù conosce coloro a cui si rivolge, il loro cuore così come i loro limiti, la loro origine prima dei tempi così come la loro fine al termine dei tempi, si può dire che questo Assoluto che Egli incarna è quanto di più conveniente per tutti e per ciascuno.
Le mie parole galleggiano attorno a me per un poco, e poi si diluiscono ed infine scompaiano. Le parole del Verbo, essendo la Vita, si radicano nel cuore e, come quei chicchi di grano raccolti nella necropoli egizie, sono sempre pronte a germogliare.
Poiché la vita non è che un'astrazione; tutto è reale, attivo, spontaneo. La vita è come una dinamite; più incontra resistenza, più si concentra, si esalta, ed esplode. Noi, pertanto, che non possediamo nelle nostre parole che un riflesso di quel potere invincibile, è con le nostre azioni che potremmo dare la più forte delle esistenze alle nostre convinzioni. Il buon esempio è la migliore delle prediche, la migliore delle preghiere.
Scienza, poteri, ogni tipo di evidenza non discendono che dalla misura in cui, in me, il finito lascia il posto per l'Infinito. Questo è l'unico metodo efficace che mi rigenera, dal mio corpo alla vetta ancora vergine del mio spirito; solamente con esso posso diventare una guida temporanea per gli altri smarriti.


OSSERVANZA: Leggi ad ogni risveglio un versetto del Vangelo, con la stessa attenzione di quando hai aperto il libro per la prima volta.

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lunedì 12 giugno 2017

o usiamo male i nostri strumenti, o non li usiamo affatto




Prima osservazione: se ci facciamo orientare dalle piccole cose di tutti i giorni, non solo siamo in tutto e per tutto simili a quelli che sbrigativamente siamo soliti definire «profani», ma a volte, addirittura, giungiamo a collocarci un gradino più in basso, specie se ci confrontiamo con persone che, per altre vie, sono giunte all'analisi di se stesse, delle proprie motivazioni, delle proprie pulsioni e si sforzano di essere migliori con gli strumenti che hanno a disposizione e che sono di gran lunga meno sofisticati dei nostri. Una cosa allora appare scontata: o usiamo male i nostri strumenti, o non li usiamo affatto. Ci si può domandare allora perché abbiamo chiesto con tanta insistenza di entrare a far parte di un Ordine tradizionale che dispensa un'iniziazione reale e non virtuale e che schiude a tutti i suoi membri la possibilità di realizzarsi al cento per cento. Non è infrequente il caso di Martinisti che al primo ostacolo, dopo qualche mese o qualche anno di attività, scoprono la disillusione e ci abbandonano per cercare altre e più facili (o più difficili) vie. Il fatto è che non gli abbiamo dato quello che si aspettavano che gli dessimo (e che, a onor del vero, non ci eravamo sognati di promettergli). GIOVANNI ANIEL S.I.I. (FABRIZIO MARIANI) Venerato Maestro Passato
E’ sempre un piacere leggere le parole di un Maestro Passato che ben aveva compreso, a differenza di altri, la sostanziale difformità del percorso martinista da altri viatici dove lo sfoggio supera di gran lunga la sostanza. Non di rado capita di ricevere domande di associazioni condite da una moltitudine di curiosità, o di necessità psicologiche che sono assolutamente fuori luogo per un percorso che io definisco Maturo come quello martinista. Un viatico, il nostro, che vuole rendere l’uomo sacerdote di se stesso, capace di comprendere i materiali a disposizione per edificare il proprio tempio spirituale. Eppure vedi persone smaniose di collezionare l’ennesima iniziazione, altre che accampano strambe equipollenze per saltare i gradi e vedersi già iniziatori, altre ancora che dopo un fuoco di paglia scompaiano come la rugiada d’estate. Vi sono poi coloro che desiderano stabilire come, quando e dove venire associati, ed altri che una volta associati già demordono innanzi al semplice rituale giornaliero. Dimentichi tutti questi che se da un lato nessun Iniziatore sano di mente è a loro disposizione per colmare vizi e pigrizia, dall'altro neppure la via della reintegrazione è a loro disposizione per offrire comode scorciatoie. Ecco quindi che l’autentico fratello che andiamo cercando è colui che è animato da autentico DESIDERIO. 

L’etimo della parola desiderio racchiude come significato MOVIMENTO DELLA VOLONTA’ VERSO QUALCOSA CHE CI MANCA. Ecco quindi il riconoscimento della nostra mancanza, ma anche l’assoluta azione intellettiva che ci spinge famelicamente verso quanto abbisogna per la nostra integrazione interiore e divina. L’assenza del desiderio, che deve essere costante, non può essere sopperita, nel Martinismo, da nessun orpello, straccio di carta, cordone, sigla, o riesumazione. In quanto essendo l’autentico martinismo un percorso intimistico, una progressione individuale, nessun lustrino carnevalesco può nascondere la mancanza del desiderio. Il loro distacco dal lavoro rituale individuale, e collettivo, sarà inesorabile come inesorabile è la deriva di un legno nel mare.

Questi strumenti non possono essere rappresentati solamente da quelli proposti dalla tradizione passata; in quanto l'uomo di oggi è ben diverso dall'uomo ottocentesco. E' necessario dare anche una profondità alla nostra opera attraverso pratiche quali la meditazione, l'introspezione e la ricerca di un contatto con il nostro Essere Profondo. Tutto ciò a causa dello scollamento dell'uomo contemporaneo rispetto a quei cicli naturali e alle radici spirituali. Indubbiamente il nostro mondo non solo è invasivo, ma è anche, e sopratutto, separativo. L'uomo è tagliato da ogni rapporto comunitario, storico e culturale. Una massa nera ed amorfa, che tutto livella, seppellisce ogni rimembranza di ciò che siamo, per sostituirla con un vago ed insicuro presente. Una livella verso il basso, che inevitabilmente premia i mediocri, i plasmabili, coloro che possono assumere mille identità. E' doveroso asserire che ogni realtà tradizionale, e ogni lavoro reale, trova fondamento per prima cosa nella ricerca di quella memoria antica che ci rende INDIVIDUI.

E' infatti sommo scopo, di una reale struttura tradizionale, quello di agevolarlo nella piena manifestazione delle potenzialità e qualità peculiari; e non di proporre un becero e sciocco soggetto pieno di asserzioni morali, etiche o filosofiche. Le quali, la storia insegna, durano lo spazio della sicurezza personale.

Avendo ben presente tutto ciò, nessuna istanza profana potrà varcare i nostri perimetri. 



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sabato 10 giugno 2017

XXIV. IL DESIDERIO DI BRILLARE (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.


XXIV. IL DESIDERIO DI BRILLARE

"«Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini." (Matteo XVI, 5)

Non si giudica esattamente il vero valore dall’esteriorità. La schiavitù dalla moda e dall’ornamento sono vanità o stupidità, quando è l’amore proprio,  l’arrivismo, e la perversione che le ispirano. Lo stesso dandy non raggiunge altro che una popolarità artificiale. Eppure ci dobbiamo vestire, arredare la casa e mantenere un livello di vita conforme alla nostra condizione sociale. Anche in questo caso dovrebbe guidarci la coscienza.
E poi noi avremmo bisogno di coraggio. Tutte le donne sanno che verrà un giorno, in cui nessun belletto potrà più coprire le rughe degli occhi; tutti gli uomini sanno che verrà un giorno, in cui nessun abito confezionato potrà nascondere i loro difetti estetici. La morte si avvicina, ma noi abbiamo le bende sugli occhi, essa si attacca con maggiore forza a quanto di più caro abbiamo avuto. Questo ci sfugge, e non vogliamo ammettere la perdita fatale.
Non pretendo già che la cura di noi stessi debba essere trasandata, goffa, o ridicola. La dignità interiore si riflette sempre nell'aspetto fisico; l'eleganza dei pensieri dona la linea dell’abito; il saggio conduce una vita comune con un cuore incandescente. E l'atmosfera superiore fluttua visibilmente attorno ad alcuni esseri superiori, per rivestire i panni poveri di cui sono coperti con una nobiltà che colpisce e che commuove.
Ma io, la cui povera anima mi vieta al contempo sia  l'azzurro e sia il fango, io che sono un tiepido, io che ho nutrito molti desideri e che opero così piccoli atti, mi asterrò dalla grossolanità, così come dalla affettazione; io obbedirò alle usanze, all'igiene, alle ordinarie consuetudini; non mi permetto alcuna originalità; essa non va solo che agli esseri eccezionali; essa è parte del loro carattere.
L’albero della foresta che supera gli altri è anche il più esposto alla tempesta e ai fulmini.

OSSERVANZA: Ricerca l’anonimato.

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martedì 6 giugno 2017

La Reale Iniziazione




Molto si parla di iniziazione e di quanto ad essa connesso. Cultori di esoterismo e di spiritualità, spesso come animati da una frenesia famelica, transitano da Ordine ad Ordine, da struttura a struttura da Guru a Guru senza soluzione di continuità, costrutto e comprensione. 

Ciò accade per una serie di fattori squisitamente umani e intimamente connessi alla nostra degenerata epoca. 

Da un lato l'uomo ricerca, fuori da se stesso, la soluzione di una serie di problemi, di agiti, ansie, inadeguatezze che sono radicate nella mente e nell'anima. Bussa ad ogni porta, da seguito ad ogni diceria e insegue ogni chimera; senza minimamente interrogarsi attorno a quei dolori lancinanti e a quei strappi interiori che funestano il suo profondo.

Dall'altro lato dobbiamo tenere conto che la nostra società, i suoi sistemi culturali e gli inganni del patto sociale spingono molti a credere che ogni cosa sia disponibile quasi senza sforzo alcuno. Illudono che il possedere sia mezzo sufficiente per essere. Purtroppo non è così, e malincuore si osserva che tale impronta psicologica deleteria ammorba anche troppi ricercatori.

E' necessario comprendere che l'iniziazione non è un PUNTO DI ARRIVO, è bensì un PUNTO DI PARTENZA. Essa è il riconoscimento, così i nostri rituali associativi ricordano, di uno stato di BISOGNO dell'uomo. Qual'è questo bisogno ? Non certo quello di apparire. Non certo quello di compensare deficienze sociali e materiali. Non certo quello di ingannare il tempo. E' bensì la progressione verso la riconciliazione dell'uomo con se stesso e con il sacro che in esso alberga. Ovviamente per giungere a tale nobile obiettivo è necessario comprendere i danni, i dolori i liquami della nostra composita condizione interiore. Posso assicurare che ciò non è privo di dolore e impegno; altrettanto posso assicurare che quanto è privo di dolore e impegno ha ben poco significato e durevolezza.


Da ciò discende che la reale iniziazione è la vita vissuta consapevolmente in ogni suo aspetto.

Amico mio credo molto in questa frase. Essa rappresenta il punto di arrivo di ognuno di noi. Essa rappresenta, ben oltre ogni patente/bolla/filiazione, la necessità di comprendere ogni singolo aspetto della nostra vita. Come gli accadimenti influenzano il nostro livello dell'essere, cosa vi è dietro il nostro agire, quali sono i nostri attaccamenti e quali paure si agitano nell'ombra. Solo attraverso questo necessario punto di partenza, l'iniziazione avrà pieno significato e rappresenterà un NUOVO INIZIO.

Il resto, in assenza di tale comprensione, è vuota forma. Vi è la forte esigenza che l'iniziato porga lo sguardo laddove l'opera deve essere compiuta e non dove il luccichio attrae le falene.

Elenandro XI

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lunedì 5 giugno 2017

Il Rituale Giornaliero



Non è certamente luogo e desiderio del presente lavoro andare ad enunciare nello specifico l'esatta composizione e strutturazione del rituale giornaliero martinista. Ciò in relazione sia all'evidenza pubblica che il presente scritto ha, quindi non circoscritta all'ambito iniziatico, sia per una certa varianza formale che il rituale giornaliero presenta in relazione ai vari ordini, raggruppamenti, o linee di liberi iniziatori.
E' sempre bene ricordare, ed è doveroso farlo in premessa, come l'Iniziatore martinista è comunque libero di riformulare l'espressione rituale in rapporto funzionale alla propria naturale inclinazione, seppur rimanendo sempre all'interno del perimetro tradizionale del martinismo. Avremo quindi che un iniziatore con un'impronta maggiormente legata alla cabala inserirà elementi di tale disciplina all'interno del rituale, mentre colui che sarà maggiormente legato ad un patrimonio mistico cristiano, o gnostico, o ermetico, sempre nel rispetto delle specificità martiniste, provvederà a dare un'impronta ad essi consona.

Risulta altrettanto ovvio, e questo non è in contraddizione con quanto sopra enunciato, che in quelle realtà che raccolgono più iniziatori vi è l'esigenza di avere un impianto comune di ritualistica, onde meglio esaltare il lavoro energetico individuale, di gruppo ed eggregorico che è alla base, ma non solo, del martinismo stesso. Sarebbe in questo caso auspicabile una maggiore evidenza identitaria tesa a raccogliere non soltanto le persone di Desiderio che bussano alla porta martinista, ma coloro che, oltre a presentare tale moto d'animo, abbiano anche le caratteristiche culturali ed iniziatiche in modo da inserirsi proficuamente e degnamente nel lavoro in catena. Onde evitare i tanti e tristi casi di fraintendimenti, riposi più o meno forzati, allontanamenti volontari o consigliati, che affliggono tante catene martiniste. Dando spesso luogo a fenomeni più consoni ad una transumanza di armenti, piuttosto che ad una realtà iniziatica.
Terminata la premessa, ed addentrandoci nelle dinamiche del rituale giornaliero, possiamo affermare che esso è elemento fondante dell’identità martinista sia generale che particolare.
In meritò all'identità generale il Martinismo è una scuola d'opera fattiva e non di speculazione metafisica. Ciò non significa ovviamente che il martinista è un pratico escluso da una dimensione filosofica, ma solamente come quest'ultima, nei giusti modi e giusti tempi, è tesa ad esaltare e contribuire alla pratica stessa. Fornendo all'iniziato quei riferimenti culturali, simbolici, e immaginifici che permettono di riattivare non solamente la memoria spirituale, ma anche un senso e una prospettiva alla pratica stessa. Inoltre, sempre rimanendo all'interno di una prospettiva generale, dobbiamo altresì ricordare la matrice evidentemente cristiana del martinismo. Louis Claude de Saint-Martin era un mistico ed esoterista cristiano, così il Papus, e gli altri padri storici di tale scuola tradizionale. Quindi in tale ottica, volta a mantenere il martinismo ben connesso alla propria radice spirituale, è ovvio che il rituale giornaliero, così come ogni altro elemento strumentale e filosofico, debba mantenere traccia evidente della sua natura spirituale cristiana. Onde non degenerare in una deriva relativistica tanto cara allo spirito dei tempi, causandone il completo snaturamento.

In merito all'identità particolare possiamo solamente evidenziare, con altre parole, quanto detto in precedenza in merito alla qualità di libertà dell'iniziatore. Il rituale nella sua strutturazione complessiva, o in alcune parti di esso, avrà l'impronta filosofico-operativa di colui che regge la catena, dando quindi agli iniziati ad esso collegati, in virtù dell'opera fattiva e del crisma iniziatico, strumenti affinati alla particolare cadenza e natura del lavoro che individualmente e collettivamente andranno a svolgere. Rimarcando quindi la necessità non solo di una coesione dei vari elementi che compongono il rituale, ma anche nell'offrire un'adeguata prospettiva  ai medesimi. Prendiamo ad esempio un elemento quale la croce cabalistica di cui non è mistero la presenza nei lavori martinisti. Essa potrà avere valenza diversa in guisa 
della prospettiva data ai lavori rituali. In un'ottica meramente cerimonialista sarà strumento di apertura-chiusura o di bando, oppure potrà avere impiego come attivatore di centri energetici, ed infine di "identificazione" dell'operatore con particolari attributi del divino sul piano manifestativo. Sarebbe sempre utile interrogarci sul senso di ciò che andiamo a svolgere e a trasmettere, anche agli altri, durante i nostri lavori. Altrimenti il rischio è quello di precipitare in uno sterile scimmiottamento di comportamenti e gesti, precludendo ogni possibilità di reale lavoro.


Analizzando un piano strettamente operativo possiamo vedere come il rituale giornaliero martinista, riveste una peculiarità assente nella maggior parte delle realtà iniziatiche. Il martinista apparentemente opera individualmente usufruendo di strumenti specifici, e all'interno di un campo magico ed energetico che dovrebbe essere ben definito. Al contempo in virtù del legame spirituale con il proprio iniziatore, e della funzione di unione ed esaltazione dell'Eggregore, opera in comunione con gli altri fratelli della catena. Questo grazie, ma non solo, all'identica ritualia che unisce i componenti della singola catena, e dei tempi fissi in cui questa viene posta in essere. Un martinista isolato può sempre operare, e proficuamente trovare sostentamento energetico e spunti filosofici dal rituale. Altrettanto non si può dire per componenti di altre realtà iniziatiche, che una volta isolati sono costretti ad una forzata inattività.

Il rituale giornaliero, nella sua armonica strutturazione, consiste in un'apertura, una fase operativa, e una chiusura. Dove elementi simbolici, sonori, e gestuali trovano una fusione che investe, o dovrebbe investire il martinista, in ogni espressione del suo essere: sfera fisica, psicologica, ed energetica. La presenza a noi stessi, e l'attenzione sull'Opera che si sta compiendo, oltre ovviamente ad una congruità ideale e spirituale alle radici tradizionali del martinismo, porteranno l'iniziato a non vivere il rituale giornaliero come una parentesi più o meno ostica all'interno del transitare del tempo, ma ad organizzare la propria vita attorno al rituale giornaliero stesso. Così come una ruota trova il proprio centro e ragion d'essere nel perno. La comprensione delle dinamiche che legano ogni elemento del rituale, porteranno a considerarlo non come una sequela di elementi fra loro misteriosamente ed artatamente connessi, bensì come unica e sempre fruttuosa espressione dove lo stesso martinista è elemento di volontà e d'opera, parte integrante ed indistinta di un rituale che non è più posto esternamente a sè, ma ne rappresenta una simbiotica risonanza.

Concludendo, il rituale giornaliero è uno dei capisaldi dell'identità martinista, che continuamente ripeto essere di fattiva opera e non di sterile filosofia, e l'iniziato trova in esso quel nutrimento supersostanziale. Nutrimento che investe ogni bisogno del proprio essere magico, in virtù della prospettiva operativa che lo guiderà attraverso l'esercizio della docetica impartita da propri superiori viventi, e sotto l’influsso benefico dei Maestri che hanno passato il velo ma che sono sempre presenti.

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sabato 3 giugno 2017

XXIII ELOGIO (un anno un percorso)



Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir. 
E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni". 
Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.

Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana. 
Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.

XXIII. LA RICERCA DELL’ELOGIO

"Gli uomini di questa generazione sono come i bambini seduti in piazza, che gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto". (Luca VII, 32)

L’approvazione è una moda il cui candore mi fa sorridere quando la vedo negli altri; in me non la vedo. I professionisti della celebrità dispongono di abilità infinite nella raccolta dei molti apprezzamenti; essi sono responsabili di  vane manovre; cacciatori dell’effimero. Il Fato, un giorno, li costringerà a nutrirsi di illusioni.
Siamo forse stoici? Dunque cosa importa la lode o il biasimo, se si cerca solamente la testimonianza della propria coscienza? La reputazione, la popolarità, non appaiono allora che dei mezzi per manipolare la folla.
Non si crede più alla regalità del Volere? Quindi bisognerà guardarsi bene dal cercare elogi: ancora di meno le adulazioni, quel magnetismo inebriante emanato da coloro che ci circondano, effluvi per cui bisogna essere molto grandi, o molto piccoli, per sfuggire.
Gli apprezzamenti ricevuti possono essere sinceri o ipocriti. Vi è nei primi un profumo di fresco, che li rende più pericolosi per la nostra modesta rispetto ai secondi. Se fossimo saggi, vedremo i complimenti che riceviamo come una trappola. Poiché l’affetto dei nostri amici può essere prevenuto; e l'interesse degli adulatori non è quello di sedurci a loro vantaggio?
Non cercare lodi ed astenersi dalla critica, ecco quello che ci conviene se vogliamo giudicare con giustizia. Altri sforzi nella stessa direzione saranno tentati nel seguito. Ma questo semplice atteggiamento di discrezione è ben sufficiente per le nostre energie attuali, e ci lascerà la mente più chiara e il carattere più indipendente.


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