domenica 15 ottobre 2017

XLIII. IL LUTTO (un anno un percorso)




Carissimi Fratelli,

Vi propongo di inserire nei nostri umili lavori, tesi alla reintegrazione, le meditazioni integrali di Paul Sédir.E' da questo iniziale scritto, del Fratello Sédir, che sono poi state tratte le nostre tanto amate "meditazioni dei 28 giorni".Ecco quindi che per riscoprire l'essenza reale di questa pratica di spogliazione e rettificazione, trovo utile, per coloro che lo desiderano, intraprendere assieme questo percorso di riflessione scadenzato lungo tutto il corso dell'anno.Vi propongo quindi la prima delle meditazioni-riflessioni la cui estensione è valevole per tutta la settimana.Per quanto concerne come praticare, vi consiglio, se lo desiderate, la seguente pagina: La Pratica delle Meditazioni di Paul Sédir.



XLIII. LUTTO

"Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. " (Luca IX, 60)

I nostri cari, che la Morte prende a se, non sono affatto perduti. Malgrado la complessità spaventosa del mondo, ogni cosa si ritrova al suo posto quanto più velocemente le creature sono disposte ad essere guidate. Al contrario non obbedendo esse ritardano questo riordino, che le religioni chiamano Giudizio.
Se gli uomini potessero vedere quali situazioni felici genera la rassegnazione, se potessero vedere quali turbamenti il rimpianto ostinato o le pratiche spiritiche provocano nel doppio movimento delle anime, essi attenderebbe con maggiore pace il tempo di ricongiungersi con i loro morti, essi si accontenterebbero delle manifestazioni spontanee dei sopravvissuti; queste solo sono lecite ed opportune.
Lo spirito immortale non si riposa così di sovente come il corpo. Quando ha reso alla terra il suo strumento di lavoro, ne riceve un altro in un altro mondo. Tutte le religioni insegnano ciò. Questa vita ultraterrena, quando è espiatrice, si chiama inferno o purgatorio; quando è un riposo il suo nome è paradiso.
Quando piango i miei morti, non è forse che unicamente mi dispiace per la perdita della gioia, che la loro amata presenza mi ha donato? Ma ognuno non ha fatto il proprio lavoro? Non mi farà un torto, colui che mi impedisce di istruirmi? I defunti sono in una nuova scuola; io non ho il diritto di distrarli, di tirarli nuovamente a me; se io li amassi veramente, li lascerei interamente ai loro compiti sconosciuti.
Io piango i miei morti perché li amo, e li amo perché mi hanno donato la felicità, la pace e la forza. Anche la natura industriosa mi seduce all’Amore Puro attraverso delle esche commisurate al mio egoismo. A poco a poco mi offre di amare degli esseri elevati e gentilmente mi ha portato alla sommità da cui scoprire gli orizzonti del sacrificio.
Io rimarrò quindi unito con i miei morti, non più da tutti questi legami esterni, ma per il fatto stesso che abbiamo, loro ed io, qualcosa di più centrale e di più durevole; l'amore e la pratica del Bene.


OSSERVANZA: Nascondere il dolore del lutto.

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