lunedì 12 giugno 2017

o usiamo male i nostri strumenti, o non li usiamo affatto




Prima osservazione: se ci facciamo orientare dalle piccole cose di tutti i giorni, non solo siamo in tutto e per tutto simili a quelli che sbrigativamente siamo soliti definire «profani», ma a volte, addirittura, giungiamo a collocarci un gradino più in basso, specie se ci confrontiamo con persone che, per altre vie, sono giunte all'analisi di se stesse, delle proprie motivazioni, delle proprie pulsioni e si sforzano di essere migliori con gli strumenti che hanno a disposizione e che sono di gran lunga meno sofisticati dei nostri. Una cosa allora appare scontata: o usiamo male i nostri strumenti, o non li usiamo affatto. Ci si può domandare allora perché abbiamo chiesto con tanta insistenza di entrare a far parte di un Ordine tradizionale che dispensa un'iniziazione reale e non virtuale e che schiude a tutti i suoi membri la possibilità di realizzarsi al cento per cento. Non è infrequente il caso di Martinisti che al primo ostacolo, dopo qualche mese o qualche anno di attività, scoprono la disillusione e ci abbandonano per cercare altre e più facili (o più difficili) vie. Il fatto è che non gli abbiamo dato quello che si aspettavano che gli dessimo (e che, a onor del vero, non ci eravamo sognati di promettergli). GIOVANNI ANIEL S.I.I. (FABRIZIO MARIANI) Venerato Maestro Passato
E’ sempre un piacere leggere le parole di un Maestro Passato che ben aveva compreso, a differenza di altri, la sostanziale difformità del percorso martinista da altri viatici dove lo sfoggio supera di gran lunga la sostanza. Non di rado capita di ricevere domande di associazioni condite da una moltitudine di curiosità, o di necessità psicologiche che sono assolutamente fuori luogo per un percorso che io definisco Maturo come quello martinista. Un viatico, il nostro, che vuole rendere l’uomo sacerdote di se stesso, capace di comprendere i materiali a disposizione per edificare il proprio tempio spirituale. Eppure vedi persone smaniose di collezionare l’ennesima iniziazione, altre che accampano strambe equipollenze per saltare i gradi e vedersi già iniziatori, altre ancora che dopo un fuoco di paglia scompaiano come la rugiada d’estate. Vi sono poi coloro che desiderano stabilire come, quando e dove venire associati, ed altri che una volta associati già demordono innanzi al semplice rituale giornaliero. Dimentichi tutti questi che se da un lato nessun Iniziatore sano di mente è a loro disposizione per colmare vizi e pigrizia, dall'altro neppure la via della reintegrazione è a loro disposizione per offrire comode scorciatoie. Ecco quindi che l’autentico fratello che andiamo cercando è colui che è animato da autentico DESIDERIO. 

L’etimo della parola desiderio racchiude come significato MOVIMENTO DELLA VOLONTA’ VERSO QUALCOSA CHE CI MANCA. Ecco quindi il riconoscimento della nostra mancanza, ma anche l’assoluta azione intellettiva che ci spinge famelicamente verso quanto abbisogna per la nostra integrazione interiore e divina. L’assenza del desiderio, che deve essere costante, non può essere sopperita, nel Martinismo, da nessun orpello, straccio di carta, cordone, sigla, o riesumazione. In quanto essendo l’autentico martinismo un percorso intimistico, una progressione individuale, nessun lustrino carnevalesco può nascondere la mancanza del desiderio. Il loro distacco dal lavoro rituale individuale, e collettivo, sarà inesorabile come inesorabile è la deriva di un legno nel mare.

Questi strumenti non possono essere rappresentati solamente da quelli proposti dalla tradizione passata; in quanto l'uomo di oggi è ben diverso dall'uomo ottocentesco. E' necessario dare anche una profondità alla nostra opera attraverso pratiche quali la meditazione, l'introspezione e la ricerca di un contatto con il nostro Essere Profondo. Tutto ciò a causa dello scollamento dell'uomo contemporaneo rispetto a quei cicli naturali e alle radici spirituali. Indubbiamente il nostro mondo non solo è invasivo, ma è anche, e sopratutto, separativo. L'uomo è tagliato da ogni rapporto comunitario, storico e culturale. Una massa nera ed amorfa, che tutto livella, seppellisce ogni rimembranza di ciò che siamo, per sostituirla con un vago ed insicuro presente. Una livella verso il basso, che inevitabilmente premia i mediocri, i plasmabili, coloro che possono assumere mille identità. E' doveroso asserire che ogni realtà tradizionale, e ogni lavoro reale, trova fondamento per prima cosa nella ricerca di quella memoria antica che ci rende INDIVIDUI.

E' infatti sommo scopo, di una reale struttura tradizionale, quello di agevolarlo nella piena manifestazione delle potenzialità e qualità peculiari; e non di proporre un becero e sciocco soggetto pieno di asserzioni morali, etiche o filosofiche. Le quali, la storia insegna, durano lo spazio della sicurezza personale.

Avendo ben presente tutto ciò, nessuna istanza profana potrà varcare i nostri perimetri. 



eremitadaisettenodi@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento