sabato 15 aprile 2017

IL MITO DELLA CADUTA NEL MARTINISMO - URIEL A:::I:::




Ogni tradizione iniziatica necessita di basi per potersi definire tale; una di queste basi, probabilmente la prima, è quella di possedere un mito fondativo su cui innalzare il messaggio che tale tradizione intende trasmettere. Il mito consente di trattare di fatti avvenuti in un tempo metastorico, quando la storia non esisteva; il mito diventa quindi quel necessario generatore di simboli che consentono di descrivere questi fatti metastorici in modo comprensibile, senza i quali la loro descrizione sarebbe semplicemente impossibile. Il mito fondativo del Martinismo è il mito Caduta dell’Uomo, così come narrato nel Genesi al terzo capitolo.
          Come è noto, in tale capitolo, si descrive il mito di Adamo ed Eva nell’atto di trasgredire un comandamento di Dio, tentati dal serpente, oltrepassando il perimetro dei limiti assegnato loro da Dio stesso; le conseguenze della giustizia divina saranno inevitabili, tra cui una vita piena di fatica e dolori, la cacciata dall’Eden, la vergogna della nudità e la mortalità della specie umana, in quanto con questo evento - la Caduta - l’uomo viene separato dalla divinità che è la fonte della vita.
         
          Ci sono varie interpretazioni di tale mito, ma tutte concordano con il fatto che a un certo punto avvenne un evento non ordinario che cambiò lo status dell’uomo, da una situazione superiore e privilegiata, a una inferiore e svantaggiata.
          L’interpretazione della letteratura giudaico antica, nel libro di Enoch, parla di angeli, i vigilanti angelici che si ribellarono a Dio e a causa di ciò caddero sulla Terra; lì si accoppiarono con le donne umane le quali partorirono giganti (detti anche i decaduti) che diffusero il male nel mondo. L’umanità, che era stata creata immortale, quindi si corruppe a contatto con questi angeli decaduti e diventò mortale per punizione divina. Altre interpretazioni, sempre in seno alla cultura giudaico antica, accusano talvolta Adamo di essere causa dell’accorciamento della vita della progenie, talvolta Eva come la vera responsabile che portò il peccato e quindi la morte, in quanto fu lei a cedere alle tentazioni del serpente. Inoltre le conseguenze di questa Caduta sono talvolta eterne, mentre altre volte hanno un termine; con il Diluvio secondo alcuni, con una nuova stirpe pia (quale quella di Noé) secondo altri. 
          Nell’interpretazione della teologia biblica cristiana, questo evento è più che altro considerato dal punto di vista delle conseguenze più che per gli aspetti cosmogonici dell’evento in sé; ad esempio l’apostolo Paolo denuncia la mancanza di intelligenza spirituale dei cuori, l’ottusità della mente su questioni spirituali, e che l’uomo è figlio dell’ira e come tale estraneo a Dio.
          Non mancano altre interpretazioni, quali quelle secondo i cattolici romani, i protestanti, l’islam e poi le varie filosofie e teologie che si dispiegano in modo variegato nel corso dei due ultimi millenni, ma non è possibile dilungarmi in questa sede.

          Personalmente — ma è una mia personale opinione e vale come tale — io penso che l’evento della Caduta potrebbe coincidere con la nascita della coscienza dell’uomo, ovverosia quando nello sviluppo evolutivo del genere umano, l’uomo abbia messo se stesso come oggetto dei suoi pensieri e questo, dal punto di vista formale, coincide con il momento in cui il linguaggio dell’uomo è diventato argomento del linguaggio stesso, quindi un argomento in sé. Con questo non intendo minimamente demonizzare l’evoluzione dell’uomo né tantomeno propalare idee anti-scientifiche, ma più semplicemente sostenere che un tale sviluppo era comunque inevitabile così come lo era una separazione tra Natura e Uomo che diventa razionalmente cosciente di sé, pagando quindi il prezzo della perdita di una naturalità primigenia.

          Al di là delle interpretazioni del mito, il Martinismo innesta su questo mito fondativo il concetto di Reintegrazione Universale, dapprima dell’Uomo nell’Uomo e poi dell’Uomo nel Divino. Infatti il concetto di reintegrazione implica un recupero di qualcosa che è andato perduto, e sottintende una possibilità di recuperarlo. Cosa sia andato perduto è appunto descritto dal mito della Caduta, resta però la questione se una reintegrazione sia possibile, e quindi indicarne un percorso.
          Il Martinismo è un ordine cristiano, ed è proprio nella figura del Cristo, nominato “Il Riparatore” già da Martinez de Pasqually, che viene individuato un altro evento non ordinario che riapre la possibilità affinché una reintegrazione possa essere quantomeno possibile, simboleggiato dalla Shin che scende sul Tetragramma, lo Spirito Divino che precipita sul dispiegamento della manifestazione polare, ovverosia il Cristo che dà la possibilità all’uomo di reintegrarsi con una spiritualità perduta.
          Qui sta il punto: tutto ciò è una possibilità. Per usufruirne serve un atto di volontà del singolo, che parte dall’Iniziazione e, al principio del cammino, ci si deve fidare del proprio Iniziatore e dei rituali ricevuti, che a loro volta sono stati ereditati dai Maestri Passati che li hanno concepiti e sperimentati. Con la pratica quotidiana e le purificazioni poi bisogna imparare a vedere i segnali del processo reintegrativo in corso. Del resto tutti i cammini iniziatici sono tali se provocano dei cambiamenti per cui si diventa innanzitutto diversi da se stessi, se si sa rinunciare serenamente alle tentazioni mondane che ci rendono legati alle pesanti questioni terrene, se si alimenta dentro di noi quell’anelito a ripristinare quella spiritualità naturale perduta con la Caduta e a ristabilire il legame con la Divinità.

          Nel Martinismo, il focus sta quindi soprattutto sulla risalita, nel ripristino delle facoltà perdute con la Caduta, più che nella Caduta stessa, che rimane nello sfondo come mito fondativo, appunto. Nelle varie tradizioni occidentali ci sono già riferimenti alle possibilità di risalita, quali il sogno della scala di Giacobbe (che rappresenta un canale di collegamento tra Uomo e Divino), la risalita del profeta Elia su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco (merkavà), i percorsi di risalita lungo l’albero sefirotico dal Regno verso la Corona, ma il Martismo ne fa proprio l’obiettivo fondamentale.

www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com

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