sabato 15 aprile 2017

LA MAPPA DEL SACRO - IMMANUEL I:::I:::




Il geografo Eugenio Turri nella sua opera “Il paesaggio come teatro” (1998) definì gli iconemi come “i dati incontrovertibili della percezione, i dati di partenza dell’operazione semiotica che ci porterà, a diversi livelli, a riconoscere un territorio o una regione, con i rapporti interni tra vari elementi, traducibili in segni” e ancora “le unità elementari della percezione, il segno di un insieme organico di segni, la sineddoche, come parte che esprime il tutto delle unità di paesaggio con una funzione gerarchica primaria. Sono gli elementi che maggiormente incarnano il genius loci di un territorio e la sua anima vera e profonda, sono il riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio territorio”. In un percorso iniziatico nell’ambito della meditazione e della ritualità si entra in contatto con immensi paesaggi simbolici dei quali si cerca di costruire una mappa, potremmo quindi traslare il significato filosofico del termine “iconemi” nell’ambito iniziatico e individuare nei vari simboli, linguaggi, movenze, cadenze del rituale e degli strumenti, nella fattispecie martinisti, gli iconemi di questo paesaggio dello spirito. Questo consente di circoscrivere un’identità del nostro corpus operativo e di perimetrarlo in modo da non cedere alle facili tentazioni di contaminazione che ne impoverirebbero le caratteristiche peculiari; il corpus operativo martinista proprio di un Ordine possiede infatti caratteristiche sue proprie strettamente connesse all’identità eggregorica che incarna. Dalla consapevolezza profonda dello spazio operativo in cui operiamo può scaturire quindi una riflessione sulle forme e le dinamiche dello spazio sacro, inteso non soltanto come spazio fisico o mentale nel quale si pone in atto l’operatività martinista, ma anche come spazio iconico, metaspazio nel quale il simbolismo vivente del rituale si stratifica e si modella in sinergia con l’operatore in un progressivo costruirsi di ponti e percorsi che rendono comunicanti le varie dimensioni del micro e del macrocosmo.  Solo quando questo spazio iconico raggiunge la sua completa definizione possiamo dire che dagli iconemi si è passati allo spazio dell’icona. Nella teologia cristiana d’oriente l’icona rappresenta il veicolo visibile dell’invisibile, l’essenza stessa del simbolo, la porta che attraverso l’immagine conduce alla visione dell’archetipo divino ma che in se stessa non reca alcuna natura divina. L’icona non ha caratteristiche ontologiche ma attraverso  il concorso dell’ecclesia orante coglie l’ipostasi del Logos nella sua specifica forma di Eikon e permette di contemplare il Prototipo della divinità immerso nella luce dell’astrale solare, del mondo archetipo arcangelico, come durante l’episodio della Trasfigurazione evangelica. Se il testo sacro veicola l’ipostasi divina attraverso il Logos e l’icona attraverso l’Eikon, il rituale teurgico, a partire dalle sue forme più basilari già presenti nel rituale giornaliero martinista, agisce secondo una logica analoga. Non sono i singoli elementi del rituale presi come tali a segnarne le peculiarità, bensì è la vivificazione del simbolismo tramite un concorso di elementi materiali che crea il supporto quaternario ideale per la costruzione di un campo dinamico che d’ora in avanti denominerò spazio sacro. La simbologia adottata dalla ritualità martinista, che è tradizionale quindi costantemente nutrita nell’Eggregore, in un estremo gioco di riduzioni e semplificazioni, combina elementi geometrici e numerici che si rifanno al quadrato, al numero 4, al numero 3, alla croce, al cerchio, al triangolo, al cerchio. La peculiarità del modo in cui percepiamo lo spazio fisico è che si vive in 3 dimensioni ma si proietta in 4 direzioni; lo spazio sacro sicuramente si proietta in 4 dimensioni, le quali vengono armonizzate dal cerchio e l’aspetto triangolare richiama l’idea di convergenza. Tuttavia le 4 dimensioni dello spazio sacro trascendono decisamente l’idea che possiamo avere di spazio. L’area sacra viene costruita partendo dai gesti rituali quali, come già detto, sono solo veicoli simbolici che, come i colori e il supporto ligneo in un’icona, permettono all’invisibile di manifestarsi in tutti i piani del visibile. I gesti che prevedono la proiezione del pantacolo, il tracciamento del cerchio, la croce cabalistica ecc generano reti sottili che attecchiscono nel piano astrale intercettando le correnti trascendenti provenienti dal piano archetipico e costituendo architetture geometriche basate sul quadrato e sul cerchio, figure piane sublimate però nel ripetersi frattale delle tre dimensioni dei corrispondenti solidi nelle infinite dimensioni dei piani dell’esistenza. Per chi abbia confidenza con la scacchiera massonica, è come se questo reticolo costituito da linee rette che si intersecano a 90 gradi venisse a riverberarsi in tutte le dimensioni fino a generare un ipercubo ad evoluzione infinita, il quale, essendo costituito da infinite proiezioni e roteando genera un’ipersfera, ovvero una sfera costituita da n-dimensioni. L’intima relazione che esiste tra il quadrato e il cerchio, come la famosa quadratura del cerchio, viene suggerita ad esempio nella topologia dove cubo e sfera sono omeomorfi, cioè possono essere trasformati l’uno nell’altra senza interromperne la continuità. In questo campo di lavoro il teurgo genera il suo spazio sacro e il suo ambiente di lavoro, non uno spazio astratto nel senso intellettuale del termine, ma uno spazio costituito dalle forme primordiali dei numeri e della geometria, il che in campo teurgico riveste una certa importanza, come ad esempio ci mostra il “Trattato della Reintegrazione degli Esseri” di Martinez De Pasqually.
La discriminante tra astrazione e realizzazione magica è, a mio avviso, nella percezione dello spazio sacro in cui si opera, uno spazio topologico dove non solo vige un omeomorfismo tra n-cubo ed n-sfera, ma dove anche i simboli tracciati a loro volta sono dominati da inediti rapporti matematici (ad esempio l’esagramma costituito da due triangoli opposti che si intrecciano ha le caratteristiche topologiche di un grafo euleriano, il che indica che esiste una qualche forma di tensione matematica che lo permea, ma l’analisi di questo esula dal presente lavoro). Finché lo spazio sacro viene immaginato sic et simpliciter, esso rimane un paesaggio immaginario. Per poter adeguatamente percepire lo spazio sacro il martinista deve porre in atto tutta una serie di pratiche preliminari il cui scopo è allargare la percezione di sé e del mondo oltre i confini sensibili, biologici e culturali. L’insieme delle pratiche di concentrazione, respirazione, visualizzazione, lo studio delle scienze iniziatiche e filosofiche atto a rimodellare i propri canoni di erudizione, la meditazione, la riprogrammazione delle proprie priorità esistenziali sui parametri del percorso iniziatico, tutto ciò insomma che, come scrive Joseph C. Lisiewski, costituisce la propria sintesi soggettiva, contribuisce a generare giorno per giorno la percezione dello spazio sacro, a patto che tutto ciò venga scandito dal ritmo e sostenuto dallo sforzo volitivo, per giungere a saturazione. La sintesi soggettiva, che costituisce tutto lo sforzo che il discepolo pone in essere per condensare e unificare il proprio cammino, riguarda l’intero complesso della propria esistenza ed è solo la cornice preparatoria e preliminare, l’insieme delle tecniche che permettono di transitare nella Via Cardiaca. Il rito giornaliero e le pratiche cicliche tipiche di ogni grado martinista rappresentano, nel continuum temporale, i punti di coagulazione dei propri sforzi al fine di costruire una solida sintesi soggettiva, sono i momenti in cui tutto ciò viene posto in atto, in cui tutta la tensione viene liberata e la percezione può di conseguenza superare le barriere della materia e metterci in contatto con i piani ulteriori, i piani oltre la nostra esistenza meramente materiale, in primis in piano astrale inferiore o astrale lunare. E’ importante notare che il contatto con il piano astrale inferiore può avvenire in maniera spontanea o poco più, come accade ad esempio nei sogni, ma questo costituisce solamente l’aspetto medianico ed emotivo della nostra esistenza a prescindere da un percorso iniziatico. Il martinista che ponga in atto la ricerca cosciente nel cammino rituale cerca invece di immergersi in modo volitivo nel mare astrale mantenendone il dovuto controllo attraverso la perimetrazione dello spazio sacro di cui sopra. Tra le tecniche preliminari a mio avviso un posto speciale occupa la visualizzazione, la quale permette realmente, se ben sviluppata, di controllare i fluidi e i simulacri che abitano il piano astrale lunare e di plasmarne a propria volta al fine di meglio astralizzare i simboli rituali e utilizzarli come strumenti sottili di lavoro; la visualizzazione di fatto parte come sforzo immaginativo, ma col tempo e l’addestramento permette di agganciare le istanze che trascendono la dimensione intellettiva e immaginativa.
Il percorso del grado di Associato, prevalentemente dedito alla Via Cardiaca, è specialmente dedicato alla purificazione, che si può aspirare a raggiungere se sono ben chiari i motivi che precludono la situazione di purezza. Il lavoro in luna nuova dovrebbe consentire di rischiarare la strada ai riflessi che provengono dai mondi archetipici superiori, i quali riflessi tendono a venire distorti o addirittura nascosti dalla torbidità peculiare dell’astrale lunare. Scrivevamo all’inizio di un paragone tra l’icona religiosa e il rituale martinista; è interessante notare come i religiosi dediti all’arte dell’icona compiano veri e propri atti preparatori e penitenziali, oltre a condurre una vita caratterizzata dalla preghiera, prima di accingersi a dipingere le icone. Nel lavoro rituale in grado di Associato si fa qualcosa di simile, si prepara il terreno, si prepara il proprio complesso psico-fisico come si tratterebbe una tavola di legno per la pittura, si compie un lavoro sulla propria moralità accompagnato da una prima cesellatura rituale al fine di iniziare a percepire e costruire quello spazio sacro che, quando si passerà al lavoro in luna piena, sarà divenuto acqua limpida pronta a veicolare la luce dell’astrale solare opportunamente filtrata. Lo spazio sacro così preparato, percepito al di là dell’intelletto nella sua tensione topologica cubico-sferica, è una immensa tavola da disegno millimetrata e reticolata pronta a dare ordine e senso ai riflessi di luce che provengono dal mondo dei Prototipi. Nel grado di Iniziato la ritualità quotidiana diventa così l’occasione per dispiegare lo spazio sacro e modularlo in modo che sia un portale, un Monte Tabor. L’Iniziato nella sua scacchiera n-dimensionale dispiegata a partire dai gesti rituali, utilizza la lama consacrata, autentico strumento di difesa e autorità, per tracciare il glifo teurgico, la cui origine è da rintracciare nella funzione di marchio e per estensione sigillo, chiave di chiusura ma anche di apertura a chi ne conosca il corretto codice. Il glifo teurgico ripropone la cadenza del 4 e il dinamismo del cerchio, in unione con la lama consacrata o spada magica esso diventa chiavistello, grimaldello proiettato sul lume individuale, che agisce nel reticolo della scacchiera n-dimensionale deformando topologicamente le linee che separano i quadrati per creare una breccia attraverso la quale si pone in atto l’invocazione teurgica. In Massoneria si dice anche che l’iniziato percorre la linea mediana che separa i quadrati della scacchiera, che si alternano tra bianchi e neri.
Caratteristica peculiare del lavoro teurgico è l’utilizzo dei così detti glifi angelici, ovvero segni, diagrammi, pittogrammi complessi che sintetizzano a livello grafico le qualità occulte della genialità angelica che rappresentano. Molto ci sarebbe da dire sull’uso dei sigilli angelici e sulle loro caratteristiche, così come in generale sui sigilli magici, la cui costruzione e il cui utilizzo possono servire a veicolare per condensazione cariche e fluidi astrali di ogni natura, sicuramente inferiore quando l’origine di tali sigilli è umana (basti pensare ad esempio alle tecniche di creazione di sigilli illustrate dallo stregone contemporaneo Austin Osman Spare). I glifi angelici sono deposito della tradizione teurgica occidentale e nel loro aspetto grafico racchiudono i più disparati simbolismi, al punto che la meditazione su queste immagini astratte può fornire un’ampia gamma di risultati intellettuali e intuizioni. Di fatto i glifi angelici sono circuiti metapsichici che, se utilizzati secondo opportune tecniche, fungono da ponti attraverso cui veicolare le ipostasi delle entità arcangeliche nel piano astrale lunare.
Arrivati a questo punto potrebbe risultare ostico capire in cosa consista il lavoro teurgico all’atto pratico, ma non è possibile in uno studio limitato come questo essere esaustivi, soprattutto perché l’arte teurgica ha bisogno di essere praticata a lungo per coglierne la profondità. Rimane comunque abbastanza evidente, a mio avviso, come l’arte teurgica abbia a che fare col mondo degli archetipi o, per dirla nel linguaggio della teologia ortodossa, dei Prototipi. Un Prototipo racchiude in sé qualità divine e al tempo stesso umane, quindi è in grado di realizzare un possente incontro tra il visibile e l’invisibile in questa Camera di Mezzo che è l’esistenza, di cui il mondo materiale non costituisce che l’ultimo stadio di emanazione. La peculiarità della teurgia è quella di generare le condizioni ideali affinché i Prototipi angelici possano entrare in comunicazione con l’uomo e riversare la Grazia che permette il percorso di Reintegrazione. L’atto teurgico non è dissimile da un atto sacramentale, meglio ancora diciamo che condivide con l’azione sacramentale diverse peculiarità, ma a sua volta rimane qualcosa di diverso. La ritualità teurgica condivide la struttura con i sacramenti ma al tempo stesso lavora sulle immagini sublimate come l’arte delle icone, l’atto teurgico si avvale di un variegato apparato simbolico in cui entra in gioco la visualizzazione come è tipico delle tecniche cardiache occidentali, ma al tempo stesso presuppone che si entri in uno stato sovra-intellettivo raggiungibile solo con la padronanza di alcune tecniche cardiache tipicamente orientali. Sicuramente è fondamentale che il teurgo superi le schematizzazioni e le apparenze della vita psico-biologica per entrare in quello spazio sacro e topologico dove si fa esperienza dell’invisibile e delle strutture stesse che sorreggono e demarcano i mondi sottili, per entrare poi in contatto con il mondo degli archetipi e trarne beneficio quando recherà nel suo percorso a ritroso i doni o “passi” ricevuti. Ciò che non si da per scontato però è che, nonostante le roboanti parole e intenzioni di molti estimatori della teurgia, forse appena confusi in merito ad essa, è che difficilmente si può assurgere direttamente al mondo astrale solare degli archetipi, questa peculiarità sembrerebbe appannaggio di pochi che per altro ne sono assurti dopo la morte fisica. Il teurgo, nella migliore delle ipotesi, può sperare, se ha lavorato bene nei percorsi preparatori, di beneficiare degli influssi del mondo archetipo angelico attraverso strumenti mediatori che costituiscono appunto la sostanza dei lavori teurgici.
Un esempio di ciò che nella vita quotidiana un adepto della via teurgica compie è il lavoro sulle virtù cardinali e sui vizi capitali, estensione e prosieguo su altri livelli dei lavori della meditazione dei 28 giorni e dei lavori purificatori. Nella ritualità quotidiana l’Iniziato mantiene il contatto con le gerarchie arcangeliche e utilizza gli strumenti di contatto sopra descritti all’interno dello spazio sacro topologico e, banalmente (o forse non tanto banalmente) non fa altro che ricercare l’aiuto divino alla maniera teurgica per poter lavorare in modo radicale sui singoli difetti del suo essere contrapposti alle virtù. E’ chiaro che nello spazio sacro dove si entra in contatto con gli schemi sottili costituenti l’essere stesso, il lavoro è ammantato, o meglio sintetizzato, da simbologie tradizionali e il lavoro sulla purificazione trascende, o meglio si trasfigura, rispetto al lavoro morale dei percorsi preparatori. Per semplificare possiamo dire che ad ogni Arcangelo corrispondono virtù e vizi, questi ultimi raffigurati dall’immagine della nera bestia dalle sette teste che sorge dal mare oscuro e profondo dell’astrale inferiore. Il teurgo, costruito lo spazio sacro, dinamizzatolo attraverso la deformazione topologica della scacchiera ipercubica col grimaldello del glifo teurgico e aperta la breccia, traccia il glifo arcangelico che veicola i carismi dell’arcangelo proprio. E poi che succede? La domanda andrebbe posta chiedendosi dove tutto ciò accade. Martinez De Pasqually insegnava ai propri Eletti Cohen che qualche segnale forse nel mondo fisico appariva ad indicare l’avvenuto contatto con le gerarchie angeliche, ma forse il Maestro intendeva altro, perché col tempo ho imparato che le manifestazioni su questo piano, qualora avvengano, sono sempre estremamente impercettibili. Tutto avviene nel piano proprio di lavoro all’interno di quello spazio sacro di cui vado cianciando fin dall’inizio e soprattutto avviene seguendo logiche e regole che trascendono i normali comportamenti e le classiche dinamiche della vita ilica. Mouni Sadhu nella sua opera “La Rota Magica dei Tarocchi” ha spiegato in maniera mirabile e fin troppo chiara che la filosofia iniziatica ragiona per triangoli che diventano quadrati, ovvero per copie di opposti che generano un terzo elemento neutro; l’unione dei tre elementi costituisce a sua volta un quarto elemento, il quale però funge anche da primo termine di una nuova copia di opposti e via dicendo. Lo scopo dell’iniziato è quello di neutralizzare le copie di opposti in maniera operativa, cercando il punto d’appoggio per la costruzione dei così detti “vortici astrali”. Sulla scorta di queste spiegazioni che trovano la loro origine nella verità della Tradizione, appare evidente come il lavoro sulla purificazione morale in Via Teurgica sia molto profondamente teso alla ricerca di quei punti d’appoggio che consentono la generazione dei vortici i quali nascono nel momento in cui l’Iniziato sia stato in grado, beneficiando dell’aiuto e dell’esempio proveniente dal mondo angelico invocato nello spazio sacro, di neutralizzare un vizio e la virtù ad essa opposta. Dove portano i vortici astrali? La domanda deve rimanere appannaggio di conosce la risposta.

Rimane infine essenziale capire che la Via Teurgica non deve essere percorsa con l’arroganza di cercare poteri sovrumani dispensati da entità sovrumane, le quali non sono entità personali come noi e nemmeno entità astrali inferiori a noi, ma sono entità Prototipiche, Archetipi divini che non cercano ma dispensano a chi sappia vedere le immagini divine nello spazio sacro con gli occhi degli Apostoli che videro la Trasfigurazione non sotto la luce terrestre ma sotto la luce del Sole superiore. Il lavoro parte sempre dalle concrezioni morali che non ci consentono di intuire in maniera consapevole il mondo divino e prosegue specializzandosi sempre con lo stesso scopo, in maniera sempre più profonda e peculiare, ma sempre sulle impurità si deve lavorare. Ogni altra ambizione è destinata a crollare miseramente e ad inabissarsi nelle acque profonde se non si parte da se stessi e dai propri angusti confini umani.

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