ELENANDRO XI S:::I:::I::: Collina Abraxas (Toscana)
“Ricordo ancora quanto molti anni fa mi trovai, a Roma, innanzi a colui che
sarebbe divenuto, per sua sventura, il mio iniziatore. Questi, con il fare
sbrigativo e scostante che gli è proprio, mi chiese come mai volevo essere
associato al martinismo. La mia risposta fu che stavo cercando il cristianesimo
esoterico. Dopo alcune domande, attorno alla mia vita e alla mia
professione fui congedato. Mentre sul
treno, mi accingevo a tornare nella mia Toscana ricevetti una telefonata. Era
il mio futuro iniziatore che mi convocava la settimana successiva per fornirmi
la meditazione dei 28 Giorni. Mi chiesi, infastidito, come mai non mi era stata
consegnata in quel nostro primo incontro, ma ben presto imparai che le vie
dell’iniziazione sono spesso diverse da come noi le immaginiamo. Dopo la mia
iniziazione passai i miei migliori anni di vita martinista da “isolato”,
successivamente il servizio nei confronti dell’Ordine mi portò alla
responsabilità verso fratelli e sorelle. Devo ammettere che la felicità da quel
momento è stata messa a dura prova.“
Vi sono molteplici motivazioni per cui si giunge alle
soglie dell’Ordine Martinista. Alcune di queste sono dettate da pulsioni
sociali, da necessità di essere accolti, dal bisogno di essere compresi, altre
da autentico Desiderio di percorrere una via iniziatica tradizionale.
Ovviamente le prime, per quanto umane e comprensibili, sono in se e per se non
adeguate e, auspicherei, non ricevibili. Un Superiore Incognito Iniziatore
esperto cercherà, per quanto possibile, di portare all’evidenza del bussante la
reale motivazione che lo spinge alla soglia del Tempio. Sottilmente cercherà di
farlo desistere quand’essa risulta essere inadeguata o insufficiente rispetto
al duro cammino che l’iniziazione comporta. Attraverso l’attesa si provvederà a
far maturare e sedimentare la domanda, attraverso il rimandare si cercherà di
saggiarne la volontà iniziatica, oppure si valuteranno gli adempimenti e gli
inadempimenti, nel completare le fasi preparatorie all’associazione. Amo sempre ricordare che non siamo qui per fare
beneficenza, e neppure per sostituirci a qualche gruppo di supporto
terapeutico o psicologico, quanto piuttosto per trovare uomini e donne
meritevoli di ricevere l’iniziazione martinista, ed essere a loro volta i cuori
pulsanti e vivificanti della nostra tradizione. Ecco quindi che dobbiamo
valutare colui che desidera divenire nostro fratello, e ciò è fattibile grazie
all’analisi delle motivazioni che lo spingono, in quanto sintomi del tipo di
uomo che sotto tali agiti si cela.
Norbeto Bobbio ebbe a scrivere:” Il dato di fatto è questo: gli uomini sono tra loro tanto uguali
quanto diseguali. Sono uguali per certi aspetti, diseguali per altri. Volendo
fare l’esempio più familiare: sono eguali di fronte alla morte perché sono
tutti mortali, ma sono diseguali di fronte al modo di morire perché ognuno
muore in modo diverso.”
Parole vere, ed applicabili anche al contesto iniziatico.
In quanto nelle nostre Logge operano fratelli che non sono astrattamente
iniziati avulsi dalle contingenze del mondo, bensì vivono, come tutti gli
altri, in una società che detta tempi e regole.
Ogni uomo è eguale innanzi ai due estremi della vita
(nascita e morte), e certamente ogni uomo è degno di rispetto nella sua umana
sofferenza ed aspirazione di vita. Al contempo ogni uomo è diverso innanzi alle
cose dello spirito. E’ sufficiente osservare la nostra cerchia di amicizie, per
scoprire colui che ha sensibilità verso questioni sottili, ed individuare colui
che invece è refrattario ad ogni argomento che esula dal fallace tangibile del
quotidiano. Così come la vita profana ci insegna che esistono ruoli e funzioni,
per uomini dalle diverse attitudini, così la vita iniziatica dovrebbe suggerire
che non è possibile concedere tutto a tutti, perché in realtà niente si
concede, ma tutto si priva. La via iniziatica non è una via di immediato
accrescimento, ma una via inizialmente di spogliazione. Solo quando l’essenza
dell’essere sarà porta alla luce, liberandosi dall’involucro psicologico, essa,
come un seme, germoglierà: permettendo a quell'unico fiore che noi siamo di sbocciare. Siamo sicuri che tutti, coloro che bussano,
anelano a ciò?! Oppure hanno la possibilità di conseguire ciò?!
L’insieme di ciò che è richiesto al bussante, o che
dovrebbe essergli richiesto, in relazione al tipo di percorso che lo attende,
prende il nome di qualificazioni iniziatiche. Ecco quindi che esse non debbono,
erroneamente, essere intese come un qualcosa di esterno ed ostativo, ma bensì
come quei talenti di evangelica narrazione, che debbono essere debitamente, se
posseduti, impegnati. In quanto non vi è dolo nel non possedere le
qualificazioni, ma vi è dramma nel dissiparle.
Quali sarebbero le qualificazioni iniziatiche di cui un bussante al
martinismo deve essere munito?
Esse si possono suddividere in caratteristiche psicologiche, ed in qualità
spirituali.
Fra le prime troviamo la stabilità e l’equilibrio. L’associando deve avere
una vita sociale e affettiva solida, non fonte di eccessivi turbamenti, capace
di dare quelle giuste soddisfazioni, o almeno che non sia fonte di perniciose
devianze o frustrazioni. Anticamente solamente colui che era sposato, ben
inserito all’interno del proprio contesto sociale, e non soggetto all'altrui
dominio o ricatto, era ammesso all’iniziazione. La libertà dello Spirito certo
non è la libertà dalle cose di questo mondo, ma indubbiamente rendendoci
schiavi, delle cose di questo mondo, difficilmente potremo aspirare alla
prima. La stabilità, maturata nel
quotidiano, comporta quell'equilibrio interiore necessario per permetterci di
operare proficuamente con gli strumenti che l’Ordine mette a disposizione. Essi
non sono certo vuoti rituali, ma potenti utensili con cui incidere i veli della
lusinghiera ignoranza in cui siamo avvolti. Il nostro rituale di loggia recita “Tutto
è calmo ed in pace, tutto è giusto e perfetto”, a significare che
questo stato di calma interiore, conduce alla pace e al riposo nelle benevoli
braccia dello Spirito. Possibile che tutto ciò sia conseguito da colui che in
se cova disagi e disordini psicologici? L’esperienza mi porta a dubitarlo. In
realtà colui che è instabile nella vita profana, tenderà ad accentuare tale
condizione psicologica: giungendo a compromettere se stesso, e la tenuta di
tutta la catena.
La terza qualità psicologica o caratteriale è la capacità di attendere. Vi
sono Postulanti che richiedono l'Iniziazione e dopo un lasso di tempo
incredibilmente breve pretendono di dare lezioni di docetica, oppure pressano
per essere passati di grado. Anche in questo caso la via martinista non è, o
non dovrebbe essere, per loro. A tali personaggi, che non sanno attendere, che
non comprendono come sia necessario farsi coppa, possiamo solamente suggerire
di indagare attorno alla propria bramosia. E’ necessario lasciare i metalli,
fra cui l'ambizione e l'ego, oltre la soglia del Tempio. E’ necessario, nei
primi scalini della piramide rituale, operare al fine di smussare, integrare,
separare, ogni elemento grossolano e spurio che contamina la nostra divina
natura. Il lavoro rituale martinista, così come io lo intendo, è cadenzato dal
severo ritmo della progressione dei giorni, dell’alternanza delle stagioni.
Questi tempi non possono essere forzati, queste misure non possono essere
alterate. La vetta di una montagna, raggiunta con mezzi non congrui, non è
sinonimo di conquista ma di fallimento ed inganno. Ovviamente, tali qualifiche
necessarie ed indispensabili, devono essere attentamente valutate da parte di
colui che governa ed amministra. Vediamo fin troppi esempi di confusione e
mistificazione, proprio in virtù di valutazioni non piene e sagge
La quarta qualità, di questo primo insieme, é la fermezza. Magari il
Postulante ha un carattere stabile, é socialmente inserito nel tessuto sociale,
ma non é fermo nella sua risoluzione di lavoro interiore. In questo caso, il
postulante è volubile, lunatico, incapace di impegnarsi nella operazioni
giornaliere corrispondenti al grado che ricopre nella catena martinista. Tale
difetto caratteriale lo porterà a trovare sempre nuove scuse per rimandare, o
per evitare, i compiti assegnati. Inizialmente agirà la pigrizia, che suggerirà
tempi sempre più ristretti da dedicare ai rituali. Successivamente subentrerà
lo scetticismo in merito alle operazioni, alla docetica, e alla filosofia del
Nostro Venerabile Ordine. Infine compariranno superbia ed orgoglio che lo porteranno
a rompere ogni contatto fraterno. Al contempo non è
possibile pretendere che un essere umano si impegni in un rituale giornaliero,
quando non dispone della capacità e volontà di disciplinarsi. Non possiamo
credere, o auspicare, che egli colga il sommo valore della purificazione
mensile, quando egli per primo vive costantemente in una situazione di
dissolutezza e confusione. Non possiamo certamente ritenere che colui che
persevera in una condizione di vita frammentata, possa intraprendere il nostro
cammino. Il quale prevede una tendere alla reintegrazione della nostre parti
scisse, e non certo alla disgregazione, all’esaltazione, alla allucinata
manifestazione dell’ego.
Qualora accada che una persona sprovvista dei requisiti, sopra menzionati,
abbandoni il percorso non mi lamento troppo: un albero sano è una pianta che
muta la chioma, e indirizza la linfa vitale a quei rami capaci di dare frutto.
Il nostro primo proposito è la trasmissione e la salvaguardia della compiuta
iniziazione martinista, rispetto ad essa tutto è secondario e funzionale.
Quanto, brevemente, esaminato in precedenza è ascrivibile alle necessarie
qualità psicologiche che il bussante deve avere per potersi impegnare su di un
cammino iniziatico. Non credendo il sottoscritto ad una sostanziale
comparabilità fra i diversi cammini, e ciò per semplice spirito di osservazione
e mancanza di asservimento al politicamente corretto che tanto imperversa anche
nei nostri ambienti, ritengo necessario che colui che aspira a divenire prima
associato, poi iniziato, ed infine adepto di una particolare Gnosi, debba
possedere delle peculiari qualificazioni spirituali. Concetto assai poco
comprensibile per quei molti dispersi in fugaci e scomposte esternazioni, in cui di ama parlare di Filosofi di Unità,
di eguaglianza a prescindere da mezzi e possibilità, di impegno sociale e di
apertura al mondo profano. Ancora le qualificazioni spirituali poco valgono per
colui che ritiene che comunque tutto è assimilabile nella forma, per chi,
saltando da ambito ad ambito, non cerca la conoscenza in esso raccolta ma un
luogo dove depositare le proprie elucubrazioni o cercare ribalta.
Eppure la ragione d’essere di un Ordine Iniziatico o di un’Obbedienza non
risiede in ciò che ha in comune con altri Ordini od Obbedienze, ma in ciò che
da essi deferisce. In quanto se a fondamento, dell’esistenza stessa di tali
strutture, poniamo quanto è inevitabilmente eguale, allora non vi sarebbe
motivazione alla molteplicità dei depositi, delle forme, e dei rituali.
Ovviamente per alcuni di essi non vi è altro motivo di esistenza che l’ego di
taluni, ma avendo io riguardo a quanto è sano e non quanto è malato, ritengo
che è nella varietà la ricchezza e non nella mortifera livella della
eguaglianza e fratellanza formale. Gli Ordini e le Obbedienze, qualora sani e
tradizionali, incarnano aspetti filosofici ed operativi peculiari, in quanto
molteplici sono i tipi di uomo a cui si rivolgono. Discende da ciò che le
qualificazioni sono necessarie, proprio perché ad ogni percorso corrisponde un
tipo d'uomo, ed ad ogni tipo d'uomo corrisponde un percorso. Poniamo che
decidiamo di giungere sulla vetta della montagna. Sarà in virtù della nostra
capacità, costituzione fisica, e intelligenza che sceglieremo la via a noi
maggiormente congeniale. Coloro che ritengono che non sussista qualificazione
inevitabilmente procederanno lungo una via che si tramuterà, per loro, in danno
e dolore. Fin qui poco male, tutto rientra all’interno di quel rigido
meccanismi di causa ed effetto, ma qualora queste persone sono inserite
all’interno di una catena, ed esercitano un ruolo che non gli è proprio, allora
il dramma si ripercuoterà su molti. Disastro ancora maggiore qualora colui che
è inadeguato, a causa di non comprensione o convenienza, si è ritrovato, ed i
casi non sono rari, in posizione di governo rispetto ad altri. Un cattivo
iniziato sarà, inevitabilmente, un cattivo maestro.
A proposito di questo pregnante argomento propongo un
estratto di R. Le Forestier ("La
Massoneria Occultistica nel XVIII secolo e l'Ordine degli Eletti
Coen"): "Per quanto fossero
importanti le cerimonie delle Operazioni: prosternazioni, incensamenti,
invocazioni con preghiere, tuttavia esse non erano del tutto efficaci; erano
necessarie, ma non sufficienti. Per convalidare la loro azione erano
indispensabili tre fattori: la virtù mistica dell'operante, un'influenza
astrale favorevole ed il concorso della grazia divina. La virtù mistica
dell'adepto, a sua volta, dipendeva da tre condizioni: dal suo stato di
grazia, da una soprannaturale facoltà conferitagli dall'ordinazione,
dalla cooperazione simpatica a distanza dei suoi uguali in iniziazione. La
sola precisione della cerimonia non basta" scriveva Pasqually
nel 1768 a Bacon de la Chevalerie " sono necessarie anche
l'esattezza della santità di vita [...] (all'adepto che vuole entrare in
relazione con gli Spiriti), gli occorre una preparazione spirituale fatta
di preghiera, ritiro ed attesa" (V,229). L'Eletto Coen doveva
osservare una "regola di vita" molto ascetica. Gli era proibito
"per tutta la vita", nutrirsi di sangue, grasso e rognoni di
qualsiasi animale, mangiare carne di piccione domestico (111,76/77). Con
estrema moderazione poteva darsi ai piaceri dei sensi, poiché, per poter
giungere al grado supremo, egli doveva astenersi da qualsiasi materia impura
soprattutto dalla "fornicazione (relazioni sessuali) che crea
turbamenti all'anima" (11,105)"
Emerge chiaramente che l’iniziato, il reale iniziato,
non deve avere una visione “rituale centrica”, non considera il rituale,
qualunque esso sia, una sorta di panacea, o grande Totem, in grado di sopperire
ad ogni mancanza morale, intellettuale, o spirituale. Egli inizialmente deve
considerare la propria condotta di vita, e l’attinenza delle medesima agli
impegni rituali che deve compiere. Ecco quindi che emerge il concetto di
qualificazione, intenso non tanto come un “tesoretto” di varie qualità inerte e
passivo, quanto piuttosto come un’assonanza armonica interiore, con il percorso
su cui dobbiamo e possiamo procedere.
Nel martinismo, inteso come realtà operativa, vi è un
complesso di rituali di varia prospettiva. Alcuni volti ad esercitare la
teurgia, altri in chiave prevalentemente mistica, ed altri, infine, chiaramente
sacerdotali. Colui che non ha in se le adeguate caratteristiche spirituali (il
silenzio interiore e l’abbandono per il mistico, la capacità di governo
interiore per il teurgo, e il sacro fare per il sacerdote) si troverà
sicuramente nell’impossibilità di trarre reale giovamento da quanto porrà in
essere. Da cui discende il decadimento del rituale in cerimonia, e dell’opera
in farsa.
Altresì le qualificazioni, oltre ad essere necessitare
per ricoprire un determinato ruolo all’interno di una qualsiasi struttura
iniziatica, sono condizione indispensabile e necessaria per essere iniziati. In
quanto se è pur vero che all’interno di una struttura sussistono mansioni
diverse per tipi diversi di fratelli (esercizio del comando, esercizio
amministrativo, esercizio sacerdotale, ecc.. ecc.) vi è comunque una matrice di
fondo che unisce i vari fratelli ad essa aderenti. Matrice di fondo comune
indispensabile affinchè l’Ordine sia realmente iniziatico, e non una semplice
associazione umana, o una pantomina teatrale.
Ecco quindi se il nostro Venerabile Ordine ha come
finalità quella di pervenire alla reintegrazione dell’Uomo, bisognerà che ogni
singolo fratello sia orientato a tale nobile Opera. Al contempo essendo il
nostro un percorso atto a forgiare dei Monaci Guerrieri, si dovrà verificare,
nei bussanti, la presenza di quelle qualità ed attitudini psicologiche e
spirituali affini con tale forma. Attitudine alla celebrazione e comprensione
del sacro, servizio nei confronti dei fratelli, e quella santa virilità atta a
difendere il sacro e i fratelli dagli agenti di prevaricazione.
«Finché scorgerai la minima
macchia, e la minima sostanza opporrà una barriera ai tuoi sguardi, non abbi
riposo perché sia dissipato quest’ostacolo: più penetrerai nelle profondità del
tuo essere, più riconoscerai su quali basi riposa l’Opera»
(«Il ministero dell’Uomo-Spirito», Louis-Claude de Saint-Martin)
Come non condividere queste profonde parole del Filosofo Incognito. Le
quali ci spingono senza sosta a ricercare il motivo profondo delle nostre
azioni, e del basamento della nostra Opera Iniziatica? La quale, come un
gigante dai piedi di argilla, crollerà rovinosamente qualora poggi sulla
vanagloria, o su di una motivazione estranea all’ordine iniziatico. Quanto
sarebbe utile che ognuno di noi incessantemente si chiedesse di cosa deve
spogliarsi, per essere adeguato al percorso iniziatico intrapreso.
Purtroppo in alcuni ingenui vi è la credenza che il percorso debba essere
comunque offerto, a prescindere dalle qualificazioni richieste. Creando
situazioni di profondo sconforto personale, e alle volte tragiche ripercussioni
per tutto il movimento martinista. Altri ancora ritengono di godere di un
potere tale che possa sopperire ogni mancanza, spirituale o psicologica,
dell’associando. In quanto menzionato, l’accorto osservatore, intravedrà
l’incipiente ombra della rovina: il crollo della torre.
In conclusione di questo breve intervento riporto le parole, che spero
siano per noi tutti fonte di riflessione, di Réne Guénon sulle qualificazioni
iniziatiche:” Bisogna ritornare ora alle
questioni che si riferiscono alla condizione prima e preliminare
dell'iniziazione, vale a dire alle cosiddette « qualificazioni » iniziatiche;
in vero, questo soggetto è dl quelli che non è possibile pretendere di trattare
in modo completo, ma possiamo almeno apportarvi qualche chiarimento. In primo
luogo, deve ben'essere inteso che queste qualificazioni sono esclusivamente del
dominio dell'individualità; infatti se non vi fosse da considerane che la
personalità o il « Sè », non vi sarebbe alcuna differenza da fare a tal riguardo
fra gli esseri, e tutti sarebbero ugualmente qualificati, senza bisogno di fare
la minima eccezione; ma la questione si presenta in modo ben diverso per il
fatto chel'individualità deve necessariamente esser presa come mezzo ed
appoggio della realizzazione iniziatica; in conseguenza, bisogna che essa
possegga le attitudini richieste per rappresentare questa parte, ed il caso non
è sempre tale. Se si vuole, l'individualità non è che lo strumento dell'essere
vero; ma, se questo strumento presenta certi difetti, può essere più o meno
completamente inutilizzabile, od anche esserlo del tutto. D'altronde, non v'è
da meravigliarsi, volendo soltanto riflettere che, anche nell'ordine delle
attività profane (o almeno divenute tali nelle condizioni dell'epoca attuale),
ciò che è possibile per uno non lo è per un altro, e così, ad esempio,
l'esercizio di tale o di tal'altro mestiere esige certe attitudini speciali, in
pari tempo mentali e corporee. In questo caso, la, differenza essenziale è che
si tratta di una attività appartenente al dominio individuale, attività che non
lo oltrepassa menomamente e sotto alcun rapporto, mentre, in riguardo
all'iniziazione, il risultato da raggiungere è invece oltre i limiti
dell'individualità; ma, ripetiamolo ancora, quest'ultima deve non di meno
essere presa come punto di partenza, e si tratta di una condizione cui è
impossibile sottrarsi.”
Tristemente osservo come taluni, che si
definiscono iniziati, siano sprovvisti non solo delle qualità iniziatiche
necessarie, ma anche e soprattutto delle qualità umane. Per questi il
martinismo è divenuto il luogo dove scaricare malumori, frustrazioni,
mitomanie, deliri e fantasie maturate in altre istituzioni. Riversando in esso
quei liquami che hanno contributo proprio a rendere le strutture di origine
delle piante sterili. Ovviamente ciechi nel proprio orgoglio scaricano sugli
altri i motivi della propria inadeguatezza e miseria.
Purtroppo è evidente il Tallone d’Achille di
queste persone, e si può semplicemente riassumere in un concetto: ”Giunto
l’estremo iato della loro vita, rendendosi conto che niente hanno realizzato,
altro non hanno da fare che colpire coloro che ancora cercano di procedere
rettamente lungo la via.”
www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com
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