domenica 5 febbraio 2017

CHRONOS E KAIROS




Talia Iniziato Incognito

Il terzo millennio vede protagonista un uomo fortemente caratterizzato da due dimensioni , quella dello spazio e quella del tempo.  Schiavo della velocità e della divisione, l’essere umano si rende omologato a schemi sempre più subdoli di adeguamento ad una vita che non gli si confà nella quasi totalità degli aspetti.  Trascorriamo ore ed ore della giornata in movimento, rubando numerosi attimi a cose che nel nostro profondo consideriamo importanti. Ma questo non basta a fermarci. È essenziale essere in quel posto, nel minor tempo possibile, il più velocemente e meno disagiatamente si riesca. Lo spazio è inteso come punto di partenza e punto di arrivo, con un nulla fastidioso ed intermediario. All’uomo della velocità mancano essenzialmente due cose: l’amore per il viaggio, ed il perché del viaggio. Entrambi risiedono nella consapevolezza,  di ciò che è nella natura e di ciò che è dentro di noi.  Perdiamo e sperperiamo ogni messaggio che ci giunge dall’esterno a curare e nutrire la nostra parte più intima, più profonda.  E quando cerchiamo di normare - in maniera alquanto naif –la fuga da queste schiavitù, soggiaciamo facilmente a rimorsi per un tempo, pur piccolo, non vissuto alla massima velocità. Parliamo e filosofeggiamo di libero arbitrio, senza neppure avere la capacità di dosare od ottimizzare i nostri spostamenti quotidiani. 
Gli antichi greci avevano almeno due parole per indicare il tempo, chronos che indicava il tempo cronologico, nelle sue dimensioni ordinarie di passato presente e futuro, insomma il ben conosciuto scorrere delle ore, il tempo logico e sequenziale; e kairos,  un tempo indeterminato e speciale, il tempo definibile opportuno, la buona occasione, il momento propizio. Oggi anche l’uomo contemporaneo si abbuffa come il mitologico Crono, che divorava ciò che aveva generato lui stesso, padre oppressivo e ossessionato. Kairos – da sempre sconfitto di fronte a Kronos - significa invece "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade; è il lampo straordinario, nel senso etimologico del termine, di fuori dall’ordinario. Kairos è, secondo Aristotele, il contesto del tempo e dello spazio in cui la prova sarà affrontata. Questo tempo sfugge costantemente alle definizioni perché si trova sempre al centro di due concetti,  l'azione ed il tempo, e non è mai completamente da un lato o da un altro. L’uomo contemporaneo, così diverso da quello del secolo scorso, ma anche sorprendentemente da se stesso proiettato in una manciata di anni addietro, vive in un contesto ricco di stimoli e strumenti, ovattato in condizioni – spesso solo apparenti – di conquiste sociali e culturali, in un’ oasi antropologica in cui poter crescere più serenamente. Chiunque desideri trovare un’informazione o approfondire un argomento, lo può fare semplicemente attraverso la rete, e quando desideriamo metterci in contatto con qualcuno basta usare un cellulare. Siamo sempre connessi quindi, ma disconnessi da noi stessi. Questa nostra sgraziata enorme apertura verso l’esterno ci diluisce in potenza nel rivolgerci verso la parte più profonda di noi, ed inoltre ci espone senza sosta a coinvolgimenti, più o meno coscienti, in ondate negative che ci trascinano come uno tsunami. Lo spazio in cui quotidianamente ci muoviamo, pur debordante di opportunità e di finestre comunicative, ha come caratteristica principale l’omologazione. L’agorà in cui scendiamo ogni giorno - non per prendere decisioni bensì per subirle – ha sostituito i templi con nuovi edifici in cui ciascuno ritrova le convenzioni la cui aderenza appare esteriormente rassicurante. Subiamo quindi un appiattimento unificante da un lato, mentre dall’altro siamo assaliti da un perpetuo senso di inadeguatezza, che ci porta a muoversi da un luogo all’altro motivati soprattutto non dalla ragione ispiratrice quanto dallo scopo prefissato. Partiamo da un punto per arrivare ad un altro e godere della conquista di questo ma, in pratica, realmente solo se condivisa. Il progresso moderno non appartiene pertanto all’individuo ma alla massa; in questo processo di megavetrina, si accresce lo strato di pelle esposta mentre la parte interna, raggrinzendo lentamente, marcisce. Nell’antica Grecia invece l’agorà era uno spazio necessario in cui scendere per matura volontà ed i templi erano luoghi sacri in cui l’uomo divideva il suo spazio dalla profanità, e ritrovava – all’interno di un edificio – la parte interna del suo essere. Non vi può essere estetismo in una ierofania ed i templi infatti erano non-luoghi in cui concentrare ed incentrare l’innalzamento spirituale. Oggi ci plasmiamo in direzioni orizzontali, nell’antichità ci elevavamo lungo assi verticali. Come ogni era ha una sua evoluzione ciclica, anche la nostra epoca si sta attorcigliando e sta scivolando lentamente verso la sua coda, preparando nuovi tempi per nuove cose. L’uomo (qualche uomo…) non è più appagato di viaggiare in superficie, velocissimamente ed incessantemente sotto il sole. L’essere umano ha da sempre bisogno delle stagioni, così della notte e del giorno, in un alternarsi di luce ed ombre che fa parte di lui. Ma basta davvero desiderare il cambio di rotta? Basta provare un forte bisogno perché questo  venga trasformato in scelta cosciente? Non solo è necessario vivere una sorta di variazione di programma, ma per fare ciò si deve andare a “ripescare” dietro le nostre spalle, e tradurre tutto ciò che viene rievocato in linguaggio a noi oggi comprensibile. È qui che interviene la Tradizione che, come un fiume carsico, riaffiora nel momento stesso in cui se ne ha più bisogno, e siamo pronti a riceverlo a piene mani.
Arte dimenticata ma mai perduta, la tradizione si esplicita in simboli, rituali, dottrine che colmano quelle distanze ritenute dapprima insulse e cadenzano un nuovo tempo non misurabile. Il linguaggio dei misteri diventa attuale e parla all’uomo di oggi mediante operazioni di rettificazione, individuazione, purificazione che si sono arricchite – nel corso dei secoli – attraverso le conquiste razionali e scientifiche ma che continuano ad avere senso in quanto affondano l’origine nellaprisca sapientia. La tradizione non lascia scampo alla consolazione improvvisata perché è un albero dalle radici solide e profondissime che dona frutti maturi e profumati, è un’araba fenice che non si risparmia e torna a donare tutto ciò che ha mantenuto gelosamente nel suo sangue. Attraverso questa “trasmissione” riacquistiamo in solidità in quanto il solo desiderio di cambio di rotta provocherebbe un lavoro così pesantemente faticoso che alla fine ci sconforterebbe, ci piegherebbe fino a spezzarci. La Tradizione permette di scivolare più fluidamente verso il nostro progetto di reintegrazione, grazie alle sue acque possenti arricchite in anni ed anni di scorrimento.
L’uomo amplifica così le caratteristiche del proprio genio personale, inserito in un’orchestrazione strutturata ed arcaica, e finalmente liberato dalle illusioni del tempo e dello spazio, delle forme, dei nomi, dell’apparenza, proteso verso l’universalità, verso la divina unità.  La tradizione inserisce l’uomo di desiderio in una catena che moltiplica possentemente la sua volontà e non disperde l’energia generata in elucubrazioni intellettive o in concetti astratti, ma la concentra e la potenzia nella ricostruzione originale dell’essere umano. La tradizione oggi è spesso erosa dall’omologazione, dalla caduta dei valori, dall’esteriorizzazione il formalismo l’apparenza, caratteristiche delveloce e movimentato mondo moderno, ma conserva intatte le tessere del mosaico dell’essere divino nell’uomo che è nostra meta ricostruire e far risplendere. L’iniziato contemporaneo non è più un uomo solo ma è un solitario che procede su di un cammino al di fuori delle due dimensioni del tempo e dello spazio; non è più un uomo che corre velocemente sempre sotto il sole, ma è un calmo pellegrino consapevole  al riparo del suo mantello. È un uomo che riesce ad astrarsi dai vincoli della società moderna che avverte sempre più limitativi, ed andare oltre.  L’iniziato di oggi innalza nuovamente il suo tempio, edificando giorno dopo giorno il proprio essere, portando con sé il divino che è riuscito a riportare alla luce, camminando fra le colonne della propria personalità e rettificando i passi verso la propria essenza. Non si tratta di un uomo che ha bisogno di edifici né di luoghi ove convenire, ma di un uomo che porta il sacro ovunque inequivocabilmente dentro di sé. L’iniziato di oggi si riappropria del piacere del viaggio, cammino lungo cui è possibile la conoscenza, con occhi di nuovo desti e capaci di cogliere ogni pur minimo messaggio ci possa far progredire verso la meta.
Non è un uomo che vive fuori dal tempo, ma è un uomo che è tornato a discernere la differenza, ed a recuperare finalmente il proprio kairos.                       



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