domenica 5 febbraio 2017

La Memoria



TALIA I:::I::: Collina Abraxas (Toscana)

Il biologo tedesco Richard Semon ipotizzò l’esistenza di una traccia mnestica  che conservasse gli effetti dell’esperienza nel tempo, consistente in una ipotetica alterazione più o meno permanente di qualche struttura all'interno del sistema nervoso, coniando il termine engramma: era l’anno 1904. Qualche anno prima, i Romani indicavano con il termine oblivium – da cui la nostra parola “oblio” - composto dal suffisso ob “verso” e dalla radice liv “scolorire” ma anche e soprattutto “lisciare”, la cancellazione appunto di segni o simboli mnemonici riportati su di una tavoletta di cera.  Qualche anno prima ancora, i greci davano vita al mito delle Muse, definite da Esiodo nella Teogonia "oblio dei mali”, proprio loro figlie predilette di Zeus e della personificazione della memoria, Mnenosine. Anni ed anni sciorinati in secoli, legati da trame incerte che potessero condurre a  scoperte solide ed inoppugnabili sulla memoria.
La memoria è la capacità intellettiva di conservare informazioni, ossia quella funzione psichica o mentale basata sul processo di apprendimento, immagazzinamento e richiamo di dati acquisiti tramite esperienza. Viene formalmente suddivisa in memoria a breve e lungo termine. La prima, chiamata anche “memoria di lavoro”, è una sorta di filtro che decide quale esperienza selezionare ed inviare alla seconda, in base ad un ordine soggettivo non costante, dipendente da molteplici condizioni. La memoria a lungo termine, il vero e proprio tesoro di database personale, può presentarsi come esplicita, evocando situazioni o particolari narrabili e comunicabili, oppure come implicita, ossia inconscia, che segue un processo di riemersione che non sappiamo spiegare né a noi né tantomeno agli altri. Plotino fu il primo a fare una differenziazione di questa sorta  fra i due tipi di memoria, corta e lunga, utilizzando come discriminante la “forza dell’immaginazione”. Memoria e ricordo non sono la stessa cosa.  “Ricordo” presenta la radice cor -cordis che significa cuore, e quindi rimanda palesemente ad una dimensione affettiva, mentre “memoria” ha la radice mem (radici indoeuropee man o mna) e richiama il concetto di  “eccitazione, sollecitudine, sobbalzo”. Il ricordo è un riallacciamento al cuore, sede delle nozioni, azione finalizzata a riattivare la memoria, che in quell’attimo ha un soprassalto.
Nel 450 a.C., il poeta lirico Simonide di Ceo, scampato ad un banchetto fatale in cui i partecipanti era rimasti uccisi per il crollo del soffitto,  riuscì a identificare ognuna delle irriconoscibili vittime, grazie alla propria memoria dei posti in cui gli ospiti si trovavano durante la cena, partorendo così la “teoria delle stanze”, metodo attraverso cui ricostruire la memoria legandola ad immagini di luoghi. Cicerone ne narra l’episodio nel “De Oratore”, sviluppandone in seguito l’idea che sarà perfezionata nella sua “tecnica dei loci”, fondamentale supporto alle due arti maggiori, la retorica e l’oratoria: le sensazioni e le emozioni sono il miglior metodo per fissare nella mente ogni tipo di informazione, sia volontariamente che involontariamente, e ciò accade in maniera al meglioquando queste sono legate ad un “luogo”, ad una immagine familiare. Immaginazione e visualizzazione, dunque, alla base di questa prassi che sarà poi traghettata nei secoli col nome di “mnemotecnica”, tramutando di essenza oltre che di scopo, pur mantenendo sempre vividi i riferimenti dell’origine classica, soprattutto facendo riferimento ad un testo “Ad Herennium”risalente agli anni 86-82 a.C. di anonimo, ma in realtà da molti ritenuto opera di Cicerone. In esso si fa riferimento a due tipi di memoria: una naturale, nata insieme col pensiero, l’altra artificiale, prodotto appunto di educazione tecnica. Tutta l’arte della memoria farà sempre riferimento, più o memo palesemente, a questo testo nel corso dei secoli.
Aristotele tratta della memoria nel suo “De anima”, basandosi sulla teoria della conoscenza e dando come chiave di volta l’immaginazione. E’ questa che funge da intermediaria tra le percezioni rilevate dai sensi, rielaborate e trattate, e l’intelletto. E’ proprio questa che forma le immagini dell’anima,  facendone così parte appunto come la memoria stessa.Platone – soprattutto nel suo “Fedone” -impronta la sua teoria della memoria similmente, dando però una natura diversa alla conoscenza che non è prodotta aristotelicamente da esperienza sensoriale, bensì trova origine nelle Idee, forme ed impronte che l’anima acquisisce prima di scendere nel mondo materiale. Questi simulacraesono innati nella memoria di tutte le anime, e la conoscenza risiede nella loro reminiscenza di cui l’esperienza terrena è solo una sbiadita corrispondenza. Le angolazioni di interpretazione dell’arte della memoria dei due grandi filosofi saranno alla base delle due impronte caratterizzanti lo sviluppo di tale pensiero, rispettivamente nel Medioevo, con la forma scolastica della mnenotecnica,e nel Rinascimento con la forma neoplatonica più ermetica.
Nel Medioevo l’arte della memoria diventa argomento importantissimo di grandi pensatori quali Alberto Magno e Tommaso d’Aquino.  Questi riesuma il concetto aristotelico di memoria come parte dell’anima che, assieme all’immaginazione, rielabora i phantasmata(=immagini), ma vi aggiunge l’intervento essenziale dell’intelletto. Esiste un iter ben preciso da seguire per realizzare tale reminiscenza, secondo il pensiero tomistico, e lo troviamo esemplificato in brevi versi di una “Summa” usata da frati predicatori: “le cose che aiutano l’uomo a ricordare sono l’ordine, la passione, le similitudini e la frequente meditazione”.
Nel XVI secolo, l’arte della memoria potrebbe apparire in declino ma invece sta solo cambiando natura, allontanandosi dalla pura e semplice tecnica del ricordare, così cara alla retorica e poi in seguito all’etica, ed assumendo un nuovo forte carattere: quello del movimento neoplatonico inaugurato da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Ma c’è un altro nome (meno  conosciuto) che ha dato un’impronta caratteristica ed affascinante a tale arte, dedicandovi un intero progetto – mai realizzato – di teatro: Giulio Camillo Delmino. Questi, amante dei testi ermetici tradotti dal Ficino(soprattutto il “Corpus Hermeticum” e l’“Asclepius”) apparteneva alla tradizione cabalista fondata da Pico e creò questa ipotesi di architettura di anfiteatro (ispirata al teatro romano descritto da Vitruvio), in cui l’opera finale doveva essere una perfetta fusione magico-mistica con l’arte della memoria classica. Il Teatro della Memoria di Giulio Camillo si innalza in sette gradi, separati da sette corsie dove si trovano sette porte, decorate con immagini. Non esiste pubblico: lo spettatore sta al centro della scena, rivolto verso l’auditorium, sul proscenio poggiato sui sette pilastri della Casa della Sapienza di Salomone. Le gradinate rappresentano i tre mondi dei cabalisti, attraversati in maniera differente dalle manifestazioni: quello delle Sephiroth o delle divine emanazioni, quello mediano delle stelle, quello degli elementi. Tutto il Teatro di Giulio Camillo è la raffigurazione dell’universo attraverso gli stadi della creazione,  visione del mondo e della natura ispirata dalla lettura del “Pimander” (primo trattato del Corpus): l’uomo è particula della mente divina ed è capace di catturare con la memoria l’universo, attraverso movimenti ascendenti e discendenti tra macrocosmo e microcosmo, ove può contenere il tutto nella sua divina mens(=memoria). Si tratta quindi di una scenografia magica che esteriorizza tutto ciò che è già in possesso dell’uomo nella sua costituzione occulta ed è già individuabile nelle immagini interiori di impronta divina.
Raimondo Lullo, con la sua “Ars Magna”, una sorta di logica della memoria che è anche metafisica, si basa sull’idea che l’anima ha tre facoltà: intellectus, arte del conoscere e trovare la verità, voluntas, arte dell’educare il volere all’amore, e memoria, arte del ricordare la verità. Lullo introduce nell’arte della memoria il concetto di movimento, di dinamismo: la memoria non è passiva ma attiva e vivace volontà.
Potremmo andare avanti parlando dell’arte della memoria attraverso altri grandi personaggi quali Giordano Bruno, Robert Fludd passando daLeibniz, Descartes, Spinoza, Bacon ma procederemmo solo in uno studio semplicemente pedissequo della memoria. Preme invece accennare al filosofo Henri Bergson, nato a Parigi a metà ‘800, ed autore del libro “Materia e memoria”. Accusato di essere paladino dell’irrazionale, sostenitore sfacciato della via intuitiva, Bergson afferma la realtà dello spirito e la realtà del corpo, determinando il rapporto tra l'una e l'altra su un esempio preciso, quello della memoria. Raffigura il suo concetto con l’immagine di un cono che appoggia il suo vertice (percezione) su di un piano (la realtà, la materia) e la cui base rappresenta appunto la memoria, lo spirito. Il cervello, mezzo per cui avviene la rilevazione, non è sostanziale per la natura del ricordo ma è solo uno strumento attraverso cui richiamarlo, un mezzo espressivo della memoria. Con un’altra immagine altrettanto esplicativa potremmo dire che siamo in presenza di un giradischi, dove la puntina è “inutile” finché non viene fatta scendere sul disco, segnato da molteplici incisioni, apparentemente illeggibili, dando vita ad una amabile armonia.

Quando formuliamo la fatidica domanda “chi siamo?”, inneschiamo immediatamente un meccanismo di ricordo che è alla base della costruzione della propria identità personale, o di ciò che comunque pensiamo essere. Un uomo senza memoria è una forma geometrica piana in un universo tridimensionale. L’essere umano invece ha bisogno di un collegamento temporale di coscienza per strutturare la propria personalità, e soprattutto per arrivare alla percezione del Sé. Ogni volta che noi ci ricordiamo qualcosa - in particolare ciò che apparentemente sembra dimenticato – eseguiamo un lavoro di ricostruzione. La memoria viene fatta “sobbalzare” (secondo il suo etimo) con un ricordo che non è mai un’azione lineare perché ogni volta viene reinterpretata secondo l’impronta emotiva vissuta dal cuore (secondo il suo etimo). Oggi gran parte della nostra memoria intellettuale acquisita o ipotetica viene contenuta in un hardware oppure comodamente su una rete universale, ed esistono milioni di sistemi di collegamento che possono aiutarci quando desideriamo sovvenire un concetto, un testo, una immagine. Questo tipo di memoria può quindi essere dilatata quasi all’infinito, con dinamiche di similitudine e di accoppiamento in quantità esponenziale. Il potenziale di questa memoria si potrebbe definire illimitato, eppure nella natura stessa di ciò che è contiene il suo perimetro strettissimo. Si tratta di nozioni, conoscenze, idee a disposizione di chiunque abbia lo strumento adatto per quel tipo di memoria che manca di caratteristiche fondanti rispetto a quella ricercata soprattutto da chi intraprende una via spirituale. Questa continua e perpetua opera strutturale si sviluppa grazie a due elementi fondamentali di cui gli antichi ci avevano già parlato. Per prima cosa, l’immaginazione. Questa, da Aristotele a Platone fino a Giordano Bruno, ha funzione di mediatrice conoscitiva tra i sensi e l'intelletto, tra il mondo delle idee e quello delle cose sensibili. Le immagini per MirceaEliade mettono a nudo le modalità più segrete dell'essere. Henri Corbin definiscemundusimaginalis quella dimensione intermedia tra corpo e spirito, tra sensibile e intelleggibile, dove si verifica - attraverso la pratica dell'immaginatione- la “spiritualizzazione dei corpi e la corporificazione degli spiriti”. L’immaginazione è un ponte con tante infinite arcate che ciascuno di noi costruisce, più o meno consapevolmente, con maggiore o minore destrezza e facilità, per viaggiare nelle proprie interiorità. Immaginare significa compiere un’azione conscia dentro se stessi attraverso rappresentazioni che vanno a costituire il mezzo mediante il quale poter svolgere il viaggio. L’Uomo Magico vive così la sua perpetua eikasia (=immaginazione) nella ricostruzione della sua interezza. E poi, poi,  la nostalgia, quel sentimento divino innato nell’uomo che strugge dall’interno senza un motivo apparente, in un ricordo perpetuo ma spesso superficialmente inconscio di una felicità perduta. La memoria è una Santa Barbara gigantesca pronta ad esplodere ad ogni scintilla del cuore, ma senza il desiderio del ritorno avrebbe ben poco valore, senza la consapevolezza della caduta non ci sarebbe la volontà di risalire. Abbiamo dentro di noi questa straordinaria molla che ci permette di percepire il vuoto ove prima avevamo qualcosa di amato, stimolandoci a reintegrare quanto dimenticato, apparentemente perduto. Struggente dolore che pungola al di sotto della carne, la nostalgia  - tortura e viatico assieme – è il fuoco posto sotto l’athanor, è il cuore degli antichi gnostici che richiama l’anima alla sua casa, che tutto muove da questa prigionia alla patria vera, è la luce che insegna il cammino tra le ombre e  gli inganni del percorso terreno, rammentandoci sempre -fiduciando di essereascoltata - la nostra vera essenza, che è deposta nella nostra memoria, lampeggiante nei nostri ricordi, evocata nella nostra immaginazione.
Dobbiamo tornare ogni giorno a costruire la nostra Odissea interiore e ad imparare a sapercela “cantare” ogni volta che ne abbiamo bisogno. Dobbiamo riconquistare il territorio della memoria attraverso quei piccoli intensi sobbalzi del cuore e camminare lungo la strada della nostalgia che sa indicarci perfettamente il sentiero, sa di cosa necessitiamo, sa cosa manca e dove tornare. Dobbiamo trovare il coraggio (la solita radice –cor), oltre che la volontà, di stare desti ad occhi spalancati alla meraviglia edallo stupore. Il giorno sarà una palestra di addestramento ricca di fonti di ispirazione, la notte sarà il terreno dove poter correre liberamente. Ricordiamoci infine di quell’importante aiuto riportato nei versi dei frati predicatori: la frequente meditazione. Con questa tecnica possiamo far riemergere immagini dal nostro deposito della memoria e rinforzare il filo che ci riconduce a queste, per ritrovare la sintesi perfetta, l’armonia. Fermiamoci dunque e dedichiamo tempo a quel ricordo che riemerge da scenari nebulosi alle nostre spalle, rendiamogli consistenza con attimi di attenzione, facciamolo tornare vivo. E’ qui la magia di quell’architettura mai costruita e che possiamo innalzare ogni giorno, ogni istante nel nostro tempio interiore, cibando nutrendo costruendo il nostro Sé luminoso, compiendo la vera Magia.
La memoria è un magnifico infinito coloratissimo poliedrico bersaglio appeso sul nostro muro interiore ed i ricordi sono curiosi appuntiti dinamici rapidissimi dardi che spesso lanciamo verso di essa, con l’intenzione di cogliere sempre più il centro. L’augurio per tutti noi,  alfine,  è quello di smettere di parlarne e di dedicare più tempo al gioco delle freccette, e ricordarsi (!) sempre che:


Di Mnemosine è questo sepolcro. Quando ti toccherà di morire andrai alle case ben costrutte di Ade: c'è alla destra una fonte, e accanto a essa un bianco cipresso diritto; là scendendo si raffreddano le anime dei morti. A questa fonte non andare neppure troppo vicino; ma di fronte troverai fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine, e sopra stanno i custodi, che ti chiederanno nel loro denso cuore cosa vai cercando nelle tenebre di Ade rovinoso. Di' loro: sono figlio della Greve e di Cielo stellante, sono riarso di sete e muoio; ma date, subito, fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine. E davvero ti mostreranno benevolenza per volere del re di sotto terra; e davvero ti lasceranno bere dalla palude di Mnemosine; e infine farai molta strada, per la sacra via che percorrono gloriosi anche gli altri iniziati e posseduti da Dioniso.

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