domenica 5 febbraio 2017

PENSIERO CONTEMPORANEO E METODO MARTINISTA


Uriel Associato Incognito


Il pensiero contemporaneo è permeato dal male endemico dello scientismo che con le sue spinte totalizzanti, forte degli oggettivi e indiscutibili successi della scienza e della tecnologia, ha oramai raggiunto livelli di pandemia tali da diventare la base di un unico ethos occidentale. Lo scientismo attribuisce al metodo scientifico sperimentale la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’umanità, fino ad improntare di sé non solo la cultura ma anche l’etica e le scelte politiche, configurandosi così come l’unico ethos possibile. Questa mentalità ha conseguenze pericolose per il genere umano perché in nome di una presunta felicità crescente fornita dalla sempre potenzialmente possibile risoluzione a eventuali nuovi problemi che si vengono a porre, sono sacrificate certe facoltà umane che sono state adoperate per secoli ma adesso cadute in disgrazia poiché fuori dalla portata della scienza sperimentale. Quindi tutto ciò che ricade nell’alveo del metafisico, del trascendente, dello spirituale, del mito, finisce inevitabilmente per essere progressivamente relegato a retaggio del passato, a credenza popolare, a superstizione.
 Tuttavia il soddisfacimento delle necessità primarie e un buon grado di realizzazione dei bisogni superflui non solo non porta necessariamente ad un buon livello di appagamento personale, anzi lascia un senso di vuoto nella massa e acuisce in pochi individui più avvertiti l’impotenza a rispondere al problema esistenziale. Le religioni tradizionali, che dovrebbero occuparsi del piano spirituale e avere a cuore la sorte delle anime dei loro seguaci, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo enucleare, hanno finito per occuparsi di etica e fare politica, abdicando al ruolo pastorale di curare lo spirito di una comunità religiosa; al massimo possono operare sul piano del conforto, ma è poca cosa per chi ricerca una spiritualità.
 Paradossalmente, in epoca scientista dilagante, si assiste al fiorire di movimenti spiritualistici di qualsiasi gamma, genere e sorta che operano su una ristretta élite di uomini con il fine di nutrire quegli aspetti umani sacrificati sull’altare dello scientismo. Alcuni di essi hanno obiettivi e profili intellettuali realmente onesti, per quanto poi questo non basti da solo a garantirne l’efficacia; altri invece sono maliziosamente creati ad arte per approfittare e fare business o più banalmente sono calati nella dimensione del gioco di ruolo.
 La grande scommessa di un’organizzazione iniziatica è, secondo me, quella di riuscire ad armonizzare la dimensione conoscitiva con quella sapienziale, oppure - detto alla maniera martinista - la dimensione filosofica con quella della reintegrazione, infine - detto con parole più comuni - la dimensione scientifica con quella umanistica, che in principio erano unite, nate dalla medesima tensione, coltivate nei Templi che erano contemporaneamente luoghi di culto e punti di osservazione della natura, e che ora invece sono diventate nemiche. Il nostro tempo non è capace di armonizzare queste due dimensioni e le conseguenze si sperimentano nelle crisi sociali e politiche.  
 Il Martinismo è, a mio avviso, è uno dei movimenti spirituali contemporanei che può vincere questa scommessa; l’iniziazione martinista pone l’individuo davanti ad un cammino con diverse prospettive (io ne indicherò solo tre poiché più pregnanti con il tema in oggetto, ma ve ne sono altre) che mi appresto ad analizzare sinteticamente.
 La prima prospettiva è insita nell’opera che il martinista compie su se stesso per liberarsi dal proprio ego poiché, liberandosi dall’ego appunto, si pone a servizio di qualcosa di più grande e di più importante di se stesso. Così uomo libero (o meglio liberato da se medesimo) avrà creato uno spazio vuoto dentro di sé e questa liberazione è la prima grande possibilità che l’uomo possa realizzare poiché apertura verso l’alterità e creazione di spazio per altro. Questo altro sono tutte quelle esperienze che oggi sono negate dalla mentalità scientista, e mi riferisco a tutte le esperienze spirituali, all’esperienza del proprio sé intesa come consapevolezza della propria essenza, poiché il valore di un essere umano dipende da ciò che è, e non da ciò che sa e meno ancora da ciò che ha.
 La seconda prospettiva è l’ideale di reintegrazione spirituale che il martinismo persegue; seppur vero che tale ideale è presente in altri percorsi iniziatici, secondo me nel martinismo si raggiunge una maggiore efficacia per via di una serie di scelte fatte dai Maestri Passati e presenti, quali l’allontanamento da qualsiasi commistione illuminista (tipico di certe massonerie), l’esclusione di obiettivi puramente moraleggianti, la ricerca del sé fatta tramite operatività rituale che punta a risvegliare facoltà umane latenti, separazione tra teurgia e tutto ciò che sia occultismo e spiritismo.
 La terza prospettiva, forse a me più cara, è l’uso che il martinismo invita a fare della conoscenza. In primis bisogna intendersi sul concetto di conoscenza: la mentalità scientista considera conoscenza l’insieme di tutte le ipotesi scientifiche che hanno superato la verifica sperimentale, mentre la mentalità martinista include nella Conoscenza - si dica pure Tradizionale - aspetti che fanno parte integrante della natura umana, quali il mito, il sacro, lo spirito, l’amore. Del resto gli esseri umani nella loro vita quotidiana non compiono soltanto scelte razionali, anzi fattori come l’emotività, l’istinto, l’attrazione, la paura, la repulsione giocano quasi sempre un ruolo preponderante se guardiamo la vita degli uomini su una scala temporale più ampia che non sia l’affannoso decidere del giorno per giorno. Indi per cui, poiché esiste ed è innegabile questa enorme pressione interiore, che poi interagisce con quella degli altri individui in forma empatica o dispatica (se vogliamo restare sul piano psicologico) o eggregorico (se si vuole provare ad andare sul piano sottile). perché non imparare a conoscere, per quindi governare e gestire questa forza interiore e dirottarla verso finalità più alte, anziché vivere nella più alienante modernità? 
 Provando a stendere un filo rosso tra l’iniziazione martinista e l’uomo del terzo millennio, senza essere scientisti ma nemmeno antiscientifici, posso dire  che una soluzione risiede nel modo di attribuire significato esistenziale alla conoscenza. In altre parole, poiché gli stessi dati che la scienza analizza possono essere interpretati in modo diverso in funzione del vissuto esistenziale dell’osservatore, c’è sempre uno spazio di libertà rispetto ai dati esatti e all’interpretazione significativa per il senso del mondo e della vita, e questo spazio di libertà si chiama Filosofia. Filosofia non in senso accademico, ma nel senso in cui lo intendesse L.C.d.S.M. ovverosia quella metodologia - si dica pure Tradizionale - che consente di padroneggiare il lato umanistico, archetipale, sapienziale e profondo dell’uomo. L’uomo del terzo millennio, interpretando le teorie della scienza sotto l’egida di questa filosofia, può - deve - tentarne una reinterpretazione in ambito esistenziale, lasciando che la scienza faccia le sue conclusioni in ambito fisico. 

 E chiunque ritenga che dai dati scientifici debba necessariamente emergere una unica prospettiva, non sa che cosa sia la filosofia, nel senso di cui sopra. Chi ritiene che dai dati scientifici possano scaturire letture diverse sul piano esistenziale, invece crea uno spazio per riempire il vuoto ottenuto dall’eliminazione dell’ego (sempre se vi sia riuscito) e crede nella libertà della mente umana rispetto ai dati oggettivi.                                

www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com

Nessun commento:

Posta un commento