domenica 5 febbraio 2017

LOUIS CLAUDE DE SAINT-MARTIN E LA VIA CARDIACA



Talia I:::I:::

“C’è senza dubbio un diapason giusto nella natura, c’è n’è uno particolare per ogni essere. Se tu ne usi un altro, che puoi produrre? Malgrado la precisione di tutti i tuoi suoni, secondo i rapporti della scala musicale, questi non saranno meno falsi, poiché il diapason lo sarà lui stesso” - L.C. de Saint Martin
La preghiera è uno strumento espressivo di tutte le religioni ed è nata con il mondo. L’essere umano infatti spesso è ricorso all’atto del pregare per incamminarsi di nuovo verso la divinità, per invocare o evocare il proprio dio. Si potrebbe erroneamente definire la preghiera come il momento in cui l’uomo parla alla parte divina che è in sé, ma è molto di più di un semplice momento, anche e soprattutto in quanto priva di tempo, così come di spazio.
Pregare è l’azione più semplicemente efficace a disposizione dell’uomo, e la complessità non è del sacro. La preghiera è un segmento, la via immaginabile più breve per unire due punti la cui costituzione minima sono appunto i due punti stessi e che si dissolve nel suo scopo ultimo di farli combaciare e divenire un punto unico: l’Unità.
Louis Claude de Saint Martin nasce nel 1743 ad Amboise, in Francia. Frequenta la facoltà di giurisprudenza ma alla fine si dedica alla carriera militare. È in tale ambiente che, nel 1769, viene presentato a Martinez de Pasqually, fondatore dell’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo, di cui seguirà gli insegnamenti e da cui sarà iniziato, diventandone segretario nel 1768.  Dopo la morte del maestro (1774), sostenitore della Via Teurgica o Magica, Saint Martin – che non volle mai fondare un proprio Ordine - delinea i perimetri della propria dottrina che presenta caratteristiche mistiche, riconoscendo comunque un considerevole debito verso la cosmologia martinezista rivisitata alla luce della filosofia di Jacob Bohme. Questa sarà da Saint Martin stesso definita “Via Cardiaca”.
La mistica, o via cardiaca, è caratterizzata da una forte ricerca interiore e da un relativo distacco dalle cose mondane, nonché da una spiritualità semplice e lineare, istintiva e spontanea. È centralizzata sul superamento di ogni dialettica dualistica conflittuale, lavorando oltre i sistemi plurimi ed egoici della mente.  Vive e si nutre nel silenzio della comunione con il divino che è in noi. Non c’è ricerca di perdono, di comprensione, di riparo, di salvezza. C’è un viaggio irrazionale ma controllato, folle ma lucido, con una ricerca invocativa ed una manifestazione evocativa  di intensità inimmaginabile mediante mente umana: mania (stato non ordinario della coscienza a contatto con il sacro) ed entusiasmo (“con Dio dentro di sé”). I termini invocazione ed evocazione derivano entrambi dal latino e significano rispettivamente “chiamare intensamente” e “chiamare fuori”. L’accezione religiosa si distingue ovviamente da quella esoterica, ambito in cui non dobbiamo dimenticare che la preghiera è intesa come contatto diretto con il divino multisfaccettato, conosciuto o sconosciuto, che arde in noi. Ben si comprende quindi che utilizzeremo l’evocazione per risolvere un nostro difetto, per allontanarlo, dissolverlo, mentre invece ricorreremo all’invocazione per creare un ponte solido attraverso cui ottenere una qualità, farla giungere sino a noi e farla nostra. Ma per procedere tra questo “fuori” e questo “dentro” è necessario aver raggiunto la rara e perfetta posizione dell’enucleazione, dello sdoppiamento coscienziale, per prendere a piene mani da un lato, e dall’altro rimanere immuni e invulnerabili psicologicamente. Noi siamo lì, consapevoli di esserlo, non per perdere “qualcosa” bensì per canalizzarlo senza traumi in noi stessi.
La via cardiaca non è ideata in supplenza di quella teurgica, bensì a quest’ultima affiancata, ed esaltata dalla consapevolezza del desiderio che parte dalla mente, si consolida attraverso la volontà, per poi sbocciare dal cuore, luogo d’incontro con il divino. La teurgia è valida e prende senso, ma soprattutto efficacia, solo se non slegata dalla preghiera nonché dal lavoro di retrospezione e meditazione. La retrospezione è un allarme che segnala gli attacchi della nostra natura materiale a quella spirituale e divina, un segnalatore dei limiti alla nostra libertà. La meditazione è una sonda che rileva le catene della nostra prigione terrestre, e indica la fitta rete costruita da noi stessi (ma non solo) al di sotto di queste maglie che inconsciamente ci attanagliano ogni giorno. La preghiera esoterica è l’esercito con cui scendiamo in guerra contro i nostri demoni e le nostre paure, per vincere i nostri confini, per ridare la dignità e il trono al re che è in noi. Durante la retrospezione stiliamo la nostra anamnesi, durante la meditazione diventiamo il nostro medico migliore, durante la preghiera ci curiamo sino ad intervenire chirurgicamente.
Per rendere efficace l’azione della preghiera è necessaria la costruzione da due lati dello stesso canale, occorre cioè sia l’aiuto divino che la predisposizione umana. Si lavora in due, si opera in Uno, tramite lo strumento fondamentale che è la preghiera interiore unita a quella esteriore, serie di gesta quotidiane indirizzate verso l’universo metafisico. L’uomo dedito alla reintegrazione nella sua essenza divina universale è tutto proteso a riprendere il contatto con il Principio Supremo, a ristabilire l’Unità primordiale. Questo processo si manifesta, si costruisce e si fortifica mediante il desiderio e la volontà. L’essere umano infatti è un soggetto attivo con caratteristiche di “pensiero, volontà e azione” ed è proprio facendo leva su queste – riportate allo stato originario – che esso può elevarsi al NOSCE TE IPSUM. Nel poema “Il Coccodrillo” - scritto da Saint Martin nel 1799 - il protagonista Eleazar viene depredato della sua polvere magica ottenuta con la pansé o viola del pensiero con la quale aveva sempre vinto il male. Viene insomma a perdere la sua “forza elementale” pur restando in possesso del “desiderio”, che grazie anche alla “concentrazione”, riesce a dominare i nemici attraverso le tre facoltà dell’anima riconquistate: il pensare, il sentire, il volere. Questo è l’uomo nuovo, questo è l’uomo di desiderio. Saint Martin in una lettera ad un amico: "La sola iniziazione che predico e cerco, con tutto l'ardore della mia anima, è quella tramite cui possiamo entrare nel cuore di Dio e far entrare il cuore di Dio in noi, per realizzare un matrimonio indissolubile che fa di noi l'amico, il fratello e lo sposo del nostro Divino Riparatore. L'unico mezzo per arrivare a questa Santa Iniziazione è spingersi sempre più negli abissi del nostro essere e non mollare la presa finché non siamo giunti a trarne la vivente e vivificante radice".
La preghiera è un’Azione Sacra e nasce dalla sinergia delle tre macrozone fisiche e animiche dell’uomo. Queste individuano tre punti precisi del corpo umano pur appartenendo ad un livello più elevato, sottile: il plesso solare, il plesso cardiaco e la zona intracigliare. Ciascuna di esse rappresenta la fonte di una “qualità” ben delineata. Il plesso solare individua il luogo dove il nutrimento si trasforma in energia che viene destinata, oltre al corpo fisico, a funzioni intellettive, mentali, spirituali; è qui che umanamente viene nutrita la legione di ego. Il plesso cardiaco individua l’ingresso della caverna da cui salire o scendere lungo il nostro inconscio. È l’ingresso del labirinto dell’anima, ove introdursi fino al centro, sconfiggere lo sconosciuto mostro, e riemergere attraverso il filo “sottile”. La zona intracigliare è il centro del pensiero e dell’intelletto, più materiale e corporeo il primo, più elevato e nobile il secondo. Il plesso solare è energia, il plesso cardiaco è volontà, la zona intracigliare è pensiero: di nuovo incontriamo il “pensiero, volontà e azione” del maestro. È comunque il cuore la via di fuga dalla ristrettezza e dalla morte terrena, il centro della croce, bilancio e soluzione del dualismo che perviene dagli ego vigorosi materiali nonché dai pensieri duali e dubbiosi della mente. Quando ricerchiamo la nostra energia, la nostra coscienza, la nostra intelligenza, scopriamo che siamo ingannati in tale ricerca dalla continua e prevaricante ombra dell’ego. Quando preghiamo diventiamo invulnerabili e osserviamo la veste psicologica dei nostri io perché siamo oltre, così come in meditazione riusciamo a guardare dall’esterno la nostra mente che agisce per noi, ci prende in giro, e ci conduce dove vuole lei. Tutto è duale, tutto è bianco e nero, persino le due colonne poste come confine fra natura umana e divina. La preghiera è la barca per passare indenni le colonne d’Ercole ed intraprendere il viaggio spirituale.
Quando preghiamo, innanzitutto, dobbiamo trovare il tipo di respirazione più adatto, sia a noi stessi che al momento specifico. È necessario sgomberare ogni richiamo psicologico, e focalizzarsi nell’appropriata zona del corpo, magari supportati da una musica cadenzata, un ritmo armonico, simile al nostro respiro o comunque confacente ad esso. Le parole possono essere espresse con una mantralizzazione o esplose nel silenzio interiore. Il mantra in particolare, usato in molte preghiere e in molte religioni, è una vibrazione ritmica e sonora che “offre protezione”, una semplice armonia che conduce sino alla porta del risveglio. Così come ogni nostra zona del corpo ha un ordine, la serie delle nostre preghiere prevede l’inizio con l’Ave Maria, prosegue con il Cuore del Cristo, per concludersi con il Padre Nostro, in un ciclo che si ripete sino ad uscire dalla consistenza temporale e spaziale.  Una nenia circolare e continua, magica e profonda, inattaccabile dalla mente, che ci pone al riparo dalle infiltrazioni materiali e dove possiamo veramente operare sulla nostra materia. Una tabula rasa del livello ordinario su cui focalizzare la memoria di ciò che eravamo.
L’Ave Maria è associata al plesso solare, sede dei nostri istinti. È la luna, piena ed argentea. Ci si rivolge a Maria (=Amata del Signore) con un saluto di gioia (“ave”=rallegrati, esulta) e la constatazione di uno stato di grazia, che è dono divino, poi si passa a citare l’evento dell’immacolata concezione, non inteso come miracolo “carnale”. Maria è l’artefice di un atto compiuto - quello di procreare -  azione appartenente al mondo inferiore ma in perfetto accordo con quello superiore. Infatti è colma del divino (la grazia) e vergine di fronte al peccato dell’ignoranza del passato. Maria insomma è la mediatrice fra l’uomo e il divino. La luce della luna ci riempie, si espande in noi, e ci feconda.
Il Cuore del Cristo è legato al plesso cardiaco, sede dei sentimenti. È il luogo dello sposalizio fra luna e sole, il tempio sacro ed intimo dove avviene la trasmutazione alchemica. Lì siamo combattuti fra la terra, dove siamo nati nel nostro stato attuale, e il cielo, verso cui tendiamo a tornare, figli contesi fra la Madre e il Padre. Ambiamo a divenire Cristo, figlio di uomo che, nella morte iniziatica, è rinato figlio di Dio. Riconosciamo comunque i nostri limiti e la nostra ignoranza di fronte al passato e alla conoscenza (peccato). La sfera di energia ci avvolge, ci comprende in questa Unità, e ritorna a donarsi verso l’infinito.
Il Padre Nostro è legato alla zona intracigliare, soprattutto alla testa, sede del pensiero razionale.  È il sole, dorato e luminoso. È la formula più potente con cui finalmente si cerca la ricostituzione del tempio interiore quale immagine - e non più riflesso - di quello superiore, la casa del Padre a cui desideriamo tornare. Questa preghiera è un metodo che fornisce un insieme di indicazioni pratiche per ampliare la propria natura  spirituale e raggiungere la scintilla divina che dimora in noi. Si tratta di un alto rituale magico e come tale comprende le tre fasi di invocazione, preghiera, ringraziamento. Finalmente al termine raggiungiamo la purezza (“ma liberaci dal male”), meglio espressa in ebraico con il termine Kadosh: abbiamo raggiunto il dominio della natura inferiore, siamo padroni di pensieri ed emozioni, abbiamo squarciato il velo, e possiamo cogliere in noi il principio divino. Possiamo finalmente riconquistare e riattivare ogni sephirah del nostro albero della vita. Il sole si irradia su di noi, ci riempie di calore e di luce.
Per Saint Martin si desidera qualcosa solo se possediamo già in noi stessi una parte dell’oggetto del desiderio. Così “conoscere”, anche se inizialmente operato tramite un’intuizione cerebrale, si affinerà e si concretizzerà con una identità totale tra il pensante e l’oggetto pensato, compreso il mezzo stesso. Si tratta di una facoltà intellettuale che riconosce in sé il principio divino attraverso un’operazione spirituale. Nell’albero della vita Chokmah rappresenta la saggezza o piano dell’intuizione, mentre Binah rappresenta l’intelligenza o piano della razionalità; provenienti una da destra e l’altra da sinistra, costituiscono la base del triangolo che ha per vertice Keter, la corona spirituale, a cui entrambi sottendono e tendono. È un lavoro impegnativo e duro, ma lineare e intuitivo. Eleazar spiega che l’uomo deve necessariamente ricorrere a mezzi sensibili a causa della sua caduta. Non riesce a vedere la semplice verità perché gli è troppo vicina sin dall’inizio. Quando si fissa il sole al centro, in fondo, non si riesce a vedere il sole ma solo il suo contorno. “Quando l’uomo al contrario, cessando di fissare gli occhi sugli esseri sensibili e corporei, li riconduce sul suo proprio essere, e nell’intento di conoscerlo fa uso con cura della sua facoltà intellettuale, la sua vista acquista un’estensione immensa, concepisce e tocca, per così dire, dei raggi di luce che sente essere fuori di lui, ma di cui sente pure tutta l’analogia con se stesso; delle idee nuove discendono in lui, ma è sorpreso, ammirandole, di non trovarle estranee”, scrive Saint Martin in “Degli errori e delle Verità” del 1775.
Il Tempio di Salomone fu da questi realizzato secondo i disegni a lui consegnati, tramite il profeta Nathan, da suo padre David. Nel tempio - costruito a immagine di Dio, dell’uomo e dell’universo - furono deposti gli oggetti consacrati, l’Arca dell’Alleanza, il Candeliere a sette braccia, il Mare di Rame e infine due altari, con fuochi diversi. Uno era l’Altare dei Profumi e su questo veniva bruciato dell’incenso dedicato a Dio, sia a mezzogiorno che alla sera: rappresentava il cuore e le buone azioni. L’altro era l’Altare dei Sacrifici e su questo venivano offerte le vittime consacrate: rappresentava il cervello e il sacrificio delle passioni. I due altari sono insomma, come gli altri oggetti consacrati, due dei nostri centri psichici essenziali nel tempio interiore che portiamo in noi: “Quando il Tempio sarà consacrato, le sue pietre morte ritorneranno viventi, il metallo impuro sarà trasmutato in oro e l’uomo riscoprirà il suo stato primitivo” (Robert Fludd). Non si accede al Sacro se non si è Sacri…
Si legge di sovente la definizione di via secca (o solare, o regale) legata alla via teurgica,  ritenuta la più breve, ma al tempo stesso la più pericolosa, la più “guerriera”.  Si affianca altresì frequentemente il concetto di  via umida (o lunare, o sacerdotale)  al percorso devozionale e mistico, alla via cardiaca,  ritenendo questa la strada più semplice e sicura pur più lunga.  Ma il problema delle due vie è solo un falso problema, catalogazioni fini a se stesse, inquadramenti didattici superflui. Non siamo forse qui a lavorare per ri-unire, per ri-tornare, per re-integrare?! “Chi sa bruciare con l'acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo e del cielo terra preziosa” cita la famosa porta alchemica sul colle Esquilino. Così non esiste una via definibile migliore o più giusta, più blanda o più diretta o più veloce. Si tratta invece delle due facce della stessa moneta necessaria al traghettamento spirituale: “Due le parole scritte sull’albero della vita: spada e amore”.  La via teurgica funge da  specchio convesso mentre la via cardiaca ha funzione di specchio concavo, nella ricerca della reale immagine di sé liberata dallo sguardo e dagli abiti materiali.
La via cardiaca è perfettamente complementare a quella teurgica e ti assurge a novello San Giorgio che cattura e domina senza uccidere il perfido drago. Il mostro (orribile, ma pur sempre dotato di ali) esce da una caverna buia e nera, all’interno di una natura rocciosa e ostile, mentre sullo sfondo del cielo - rosso come il fuoco - spicca l’elegante ed etereo cavallo bianco del santo, vestito di abiti militari ma adorno di un fluido e morbido mantello verde-azzurro. Come non ricordare le parole di Tommaso nel suo Vangelo: “Colui che cerca non cessi dal cercare finché non trova, e quando troverà sarà stupito, e quando sarà stato stupito contemplerà e regnerà sul Tutto”. Lo stupore può nascere solo nel cuore, lì dove il razionale non trova alcuna corrispondenza, dove rimani travolto dal fiume carsico di percezioni spirituali, acqua possente che passa, ti purifica, ti arricchisce, e scivola via.  “Nuota costantemente nella preghiera, come in un vasto oceano in cui non riesci a individuare né la riva né il fondo ed in cui l’infinita immensità delle acque ti consenta in ogni istante una evoluzione libera e priva di turbamenti”  dice il maestro.
In realtà la preghiera, oltre a essere un atto sacro, è uno strumento di rottura, potremmo quasi osare definirla un’arma. La percezione umana passa inesorabilmente attraverso il mezzo di rilevazione a nostra disposizione e a cui siamo soggiogati, la psiche. Questa è condizionata dall’autoillusione di ritenersi il nostro unico “io”. In realtà noi siamo molto più grandi di ciò che  rileviamo ordinariamente e spesso manifestazioni singolari o comunque non omologate al nostro essere sono catalogate come esterne ed estranee. La preghiera è la lama con cui tagliamo i fitti rovi della convinzione della dimensione misera a cui ci vuole convincere e condurre la nostra psiche.  Il nostro essere è composto da una “legione di io” ci dice Marco. La preghiera amplia la nostra percezione, non escludendone alcuno, ci conduce verso ciò che stiamo cercando, e ci posiziona al di là della vista ordinata ma limitata della punta del nostro piede. La preghiera ci conduce alla perfetta coincidenza fra noi stessi ricercatori , il metodo di ricerca e il ricercato.  È tutto qui ciò di cui si sta parlando.  In questo percorso forse incontreremo tanti “Io” ma l’ ”Unità” saprà al fine comporli nuovamente e ricondurli alla reintegrazione. Abbiamo tra le dita tutti i cocci del nostro vaso rotto durante la caduta; sta a noi adesso ricomporli secondo il disegno superiore, secondo il vaso divino. Mediante la preghiera usciamo fuori dal solido multifacce del nostro io, così come in meditazione facciamo scivolare lontano i numerosi chiacchiericci della mente.  
La preghiera è lo strumento base di ogni operatività religiosa e magica ma è appunto nella mistica che raggiunge importanza apicale. Misticismo trova il suo significato nel riferimento all’etimologia greca significante Mistero. In ambito esoterico, la mistica viene definita anche via cardiaca appunto, per evidenziare il distinguo dal significato dello stesso termine  in ambito religioso. L’iniziato esoterico, dunque, attraverso la preghiera, fa risorgere e rievoca gli antichi misteri in sé medesimo, ricreandoli e nutrendosene al tempo stesso, trasformandosi appunto da iniziato ad adepto, perché l’iniziazione non è dono sterile ma conquista viva e perenne. Il viaggio intrapreso quando preghiamo è “oltre”, in un non-luogo di dominio e superamento della pluralità dell’io (il drago di cui sopra), impossibile da delineare, ancor più da definire, impensabile da comunicare. Siamo liberi da ogni forma o concetto, dall’idea di noi stessi, anche della libertà stessa. Siamo noi e Dio, siamo noi immersi in Dio, siamo noi e Dio come Unità.  “O Dio liberami da Dio” dirà il mistico renano del XIII secolo, Meister Eckhart.
Il “divino” Platone indicava un percorso iniziatico che non si basasse su riti bensì su una prassi tutta interiore. Questo percorso prevedeva una sorta di isolamento dal mondo con un relativo orientamento concentrato verso l’interno in “presenza a se stessi”. Questa consapevolezza sfociava in contemplazione che nient’altro era che la percezione dell’origine divina dell’anima. Il filosofo aveva il compito di purificare la coscienza/ragione dalle scorie materiali, convertirla così - pura e concentrata - verso se stessa, fino all’innalzamento, all’assimilazione, alla coincidenza con Dio tramite l’estasi. Questo termine, che significa “uscita” in greco, indicava la capacità ed il raggiunto stato di chi riesce a separarsi appunto dal piano sensibile, dai legami con il corpo materiale, considerato dagli orfici la tomba dell’anima (soma=sema).  Adesso possiamo ricordarci di quando detto sopra a proposito dell’invocazione e dell’evocazione in preghiera. “Quando l’anima, restando in sé sola, volge la sua ricerca allora si eleva a ciò che è puro, eterno ed immortale e avendo natura affine a quello, rimane sempre con quello ogni volta che le riesca essere in sé e per sé sola…e questo stato dell’anima si chiama ‘sapienzà “, questo un piccolo passo del Fedone. La sofia è quindi intuizione mistica del divino, esito naturale della contemplazione che ha origine nella riflessione, attività umana legata ai sensi: ancora il ”pensiero, volontà, azione” di Saint Martin. Il percorso platonico iniziava dalla dialettica (dalla filosofia del pensiero) e giungeva alla “theoria” (contemplazione) cioè all’esperienza mistica. Il pensiero si ferma, la percezione lascia il posto all’intuizione interiore, all’intelletto puro del cuore. Chi era in grado di raggiungere la condizione estatica veniva da Plotino definito “Illuminato”, in pratica un risvegliato dal sonno del corpo, un Buddha. L’attività del pensiero viene azzerata, si crea un vuoto mentale ed intellettuale, Dio allora si manifesta nella sua parousia nel cuore dell’essere umano: “Per separarsi dal corpo essa si raccoglie in se stessa come se provenisse da luoghi diversi, del tutto priva di turbamenti” - Enneadi.
Se la teurgia ci prepara a ricevere in ogni nostra molecola il trascendente, è proprio il cuore il “luogo” dove si spalanca lo stargate attraverso il quale si realizza la riconquista della natura spirituale. È nel profondo, nel buio, nel nostro antro interiore che, dopo la riscoperta e un faticoso lavoro di ripulitura del nostro ineffabile Sé, può illuminarsi la “scintilla”. Siamo archeologi della nostra anima, e lo scavo può e deve iniziare proprio dal cuore. Saint-Martin indica nella sua via cardiaca una strada ardua di purificazione protesa a far riemergere le note altissime risuonanti nel nostro profondo. Il risultato è quello di riportare alla luce i resti dell’antico splendore nascosti nelle nostre catacombe, senza farsi travolgere dalla loro magnificenza ma esaltandone bellezza e preziosità. Un durissimo ma ricompensato lavoro di immersione.
Abbandoniamo le dissertazioni, ora. Ritiriamoci nelle stanze solitarie del nostro genio. Il linguaggio del cuore parla in silenzio.


“Le verità e le preghiere che ci sono insegnate quaggiù sono troppo misere per i nostri bisogni; sono le preghiere e le verità del tempo e noi sentiamo essere stati fatti per altre preghiere e altre verità.” - L.C. de Saint Martin
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