domenica 5 febbraio 2017

La Meccanica di un Rito


Ermes Superiore Incognito



Un rituale è un insieme sistematico di gesti parole, frasi ad alto contenuto simbolico finalizzato a predisporre l'officiante a un diverso atteggiamento e impostazione spirituale.
Il rituale ha quindi sempre un fine e uno scopo e non è mai fine a se stesso. Solitamente un rituale è connesso ad un mito specifico nel quale si viene ad identificare meglio il messaggio contenuto e meglio si riesce a percepirne la verità nascosta.
Per raggiungere l'obbiettivo prefissato dal rito è necessario eseguirlo fasi successive che avranno diversa valenza e complessità.
Anche un gesto scaramantico se ripetuto ogni volta in determinate circostanze assume la valenza di rito a scopo apotropaico.
Nell'ambito invece delle tradizioni iniziatiche i rituali si diversificano a seconda del grado nel quale vengono eseguiti.
Ogni rito non a sfondo apotropaico ma evocativo o d'iniziazione si svolge obbligatoriamente in tre fasi: apertura, evocazione (iniziazione) e chiusura.
Nella prima fase è opportuno utilizzare oggetti che coinvolgano l'uso del corpo e del movimento; in questo modo l'attenzione si rivolge a ciò che stiamo compiendo estraniandoci dal mondo volgare e materiale. Il primo passo verso un universo interiore nel quale, alla profondità, corrispondono infiniti spazi infiniti.
La fase evocativa non cercherà in questo modo un dio esterno a noi, ma riuscirà a contattare quelle scintille divine che albergano in ognuno di noi.
Nel rituale giornaliero martinista dopo la recita dei salmi che ci guidano in un preciso percorso coprendo i concetti di Luce (In principio erat verbum...), di presentazione e riconoscimento della nostra eggregore (Ecce quam bonum et quam iucundum abitare fratres in unum...), di promessa per un risultato certo delle nostre azioni ( Beatus vir...)  e di benedizione sulla nostra fratellanza (Ecce nunc benedicite dominum...), evochiamo le essenze angeliche scorporandole dal nostro essere chiedendo protezione.
Una tripla protezione da: noi stessi, gli altri e per gli altri; affinché la superbia, l'ingordigia, l'ira, l'accidia, l'avarizia, la lussuria e l'invidia dentro e fuori di noi non alimentino lo spirito dei tempi rendendolo sempre più invivibile per noi e per le generazioni future.
Un'operazione spirituale potente con un grande potere di cambiamento che, anche se non lo vediamo, sappiamo essere stato lanciato ad aleggiare e a contrastare l'opera delle umane bassezze che inquina le nostre esistenze.
La chiusura consente di tornare nella dimensione terrena.
Più forti di prima? Direi di no.
In questa operazione doniamo e quindi ci priviamo di qualcosa, ma proprio la capacità di recuperare queste energie disperse, questo gesto di grazia, allena quelle parti noi che altrimenti si atrofizzerebbero, smorzandosi fino a spegnersi come un corpo malato senza difese immunitarie.
Più doniamo e più riceveremo.
Un rito come il nostro insegna ad affidarci alla parte migliore di noi stessi che altrimenti si perderebbe nella spazzatura che la vita di tutti i giorni ci fa inghiottire e continuerà a tentare di farci inghiottire presentandocela come un cibo prelibato, se non ci mettiamo nella posizione di diventare osservatori critici di noi stessi decidendo cosa è meglio fare o non fare.

Un fratello massone mi disse un giorno che il martinismo non faceva per lui perché non se la sentiva di fare il chierichetto. Quello che per lui era un disonore, ovvero di compiere un rito quotidiano per me era un atto d'umiltà verso me stesso e di fratellanza verso gli altri, quindi l'atto più grande che potessi compiere, che mi portava esattamente dalla parte opposta da quella indicata dall'ombra della superbia che serve solo a pompare quell'ego che acceca ogni nostro gesto. 

www.martinismo.net
eremitadaisettenodi@gmail.com

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