domenica 5 febbraio 2017

Daath Considerazioni Generali


Elenandro XI

1. Considerazioni Preliminari

La Cabbala è la Gnosi ebraica, fornisce mappa e strumenti a colui che oramai posto al confine fra le regioni di Nephesh ( corpo ) e Ruah ( anima ), desidera inoltrarsi verso la dimora di Neshamah ( Spirito ), che tutto raccoglie, e in virtù di ciò è ineffabile.
L’espressione grafica di tale paradigma, è rappresentata dal glifo mistico Etz Ha Chaim, composto da dieci sephire manifeste ( Kether, Chokmah, Binah, Chesed, Geburah, Tiphereth, Nezach, Hod, Yesod, Malkuth ) fra loro connesse e interdipendenti, correlate al microcosmo uomo, oltre ad una sephira invisibile ( Da’ath ). I segni e simboli associati ad ogni sephira sono atti a risvegliare, attraverso risonanza, la capacità intellettiva dell’argonauta dello Spirito. E’ erroneo però raccogliere nel numero di undici (11) le sephire, in quanto all’Uno Metafisico (1) non può riflettersi in altro numero che dieci (10).
Da ciò risulta che Da’ath non è solo su Etz Ha Chaim, ma lo attraversa continuamente oscillando come un pendolo.
Osservando l’Albero Sephirotico non possiamo fare a meno di notare lo sbilanciamento al Nadir di cui soffre La sephira Malkut ( il mondo del fare/dell’uomo ). Essa è debolmente unita alle sephire sorelle, in virtù del solo abbraccio con Yesod ( il piano emozionale ), e di come essa tende pericolosamente verso il basso. Al contempo, una seconda osservazione, ci permette di notare come una grande depressione sia presente nella regione della Triade Superiore, formata da Kether, Binah e Chokmah. Entrambe tali annotazioni ci donano la visione di un insieme a forma di esagramma disarmonico nella sua parte inferiore, e mancante di completezza nella sua parte superiore, quasi fosse il frutto del disegno rapido di un individuo alle prime esperienze nel tratteggio geometrico.
Se a percezione, segue conclusione essa non potrà che contemplare un equilibrio geometrico perduto, oppure mancato, ma implicito nella mente ispiratrice dell’Opera.
Inquieta osservare la zona depressa, posta in prossimità di Kether, e tale stato d’animo che riflette nello studioso le è valso il nome di Abisso a significare la sconosciuta ampiezza del divario che ci separa dalla consapevolezza e dal perchè di noi stessi; e ancora quanto deve essere ampio il baratro dove precipitare quanto di noi stessi è di ostacolo alla reintegrazione nell’Uno.
Tale Abisso trovando spazio in luogo di Da’ath, può essere definito il suo corrispettivo manifesto
2. Da’ath: La genesi
La moderna neurologia ci ha donato la certezza scientifica dell’esistenza di due cervelli. Uno dedicato e operante nella sfera del raziocino e del sensibile, l’altro operante nella sfera dell’intuito e dell’astratto. I padri della Cabbala ben consci da secoli di tale realtà dell’umana psiche l’hanno rappresentata attraverso Binah e Chokmah, ipotizzando la presenza di un terzo cervello: Da’ath
“ve-Adam yad’a et Chava ishto” ----> Adamo conobbe Eva sua moglie
La corrispondenza su Etz Ha Chaim di Eva è Chokhmà, e Binah di Adamo. Tale rapporto è comprovato da:
Genesi 3:20 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.
Binah è l’intelligenza logica-dialettica, che tutto ordina, la capacità di spiegare ogni accadimento, attraverso il raziocino: ma limitata alla semplice analisi del manifestato, e incapace di generare.
Chokmah è il lampo dell’intuizione, la capacità di astrazione. La prima e la seconda compongono assieme a Kether la triade superiore ( Kether rappresenta il Creatore, l’Anziano: il principio ontologico del dispiegamento della manifestazione ). Ed è con tale principio che l’unione di Adamo ed Eva ( Binah e Chokhmà ) si scontra, modificando lo sviluppo della matrice presente in Kether.
Che il seme da cui nasce Eva, è lo stesso di Adamo, emtrambi sono quindi raccolti nella identica sfera ontologica, è rivelato dal seguente versetto:
Genesi 2:22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
La parte raziocinate deve seguire come un’ombra quella intuitiva, in modo da afferrare quanto il fulmine strappa alla tenebra: ciò che risulta, nell’attimo di fusione è Da’ath: la conoscenza unificante. Da’ath è così capace di modificare il corso dell’umana vita, anche a discapito di quanto previsto dal destino, rompendo così il determinismo impostoci dalla storia divina.
Da’ath è quindi la risultante dell’interazione di due principi, essa è sia l’effetto dissolutore di ogni dualità, che il coagulante della stessa in nuovo Essere.
3. Conclusioni
Ecco quindi che troviamo in tali considerazioni la ragione dell’Abisso che determina la regione di Da’ath. Se è solamente attraverso gli strumenti del pensiero razionale-dialettico (Binah) che ci volgiamo ad essa, siamo impossibilitati a definire ciò che in se è una realtà nuova e quindi posta oltre i cancelli del sensibile e misurabile: parametri connessi alla realtè presente. Se la nostra via è quella dell’irrazionale, dell’arte e dell’intuito (Chokmah), le immagini che doneremo saranno potenti evocazioni, ma prive di quella consequenzialità atta a percorre un ordinato viatico.
Afferrare il fulmine di Zeus, è essere Zeus che scaglia il fulmine, è essere il fulmine, ed è il luogo dove esso cade: e tutto ciò contemporaneamente. Risulta quindi necessario enucleare una presenza costante della nostra mente razionale, e fecondare con essa le regioni più oscure del nostro inconscio. E ogni atto fecondo è Da’ath.
L’esercizio dialettico, corrotto dall’appiattimento del rappresentare il quotidiano, ci impedisce di rappresentare Da’ath. Dobbiamo constatare la duplice fallacità di quel poderoso costrutto psicologico chiamato pensiero, ogni nostra affermazione anche la più semplice implica inesorabilmente la propria confutazione, e al contempo la necessità di almeno due termini definitori di quanto asserito. Allontanandoci ad ogni passo dal vero cuore pulsante di ogni realtà: il niente, il vuoto, la spogliazione, l’Abisso.
Un Abisso che rappresenta la dissoluzione di ogni forma dell’umano pensiero, che necessariamente deve fondersi con il proprio opposto, immergendosi come in un utero metafisico: morendo nella forma e nella qualità conosciuta, per rinascere su di un piano non determinabile.
Se l’Abisso è l’utero metafisico, se Malkut e la propria ombra oscura si devono immergersi in esso per dissolversi, Da’ath è quanto riemerge da esso.
Concludendo alcune corrispondenze così come risultano meditando e operando in Da’ath.
Essa ha il suo equivalente nel cervelletto e nel midollo spinale.
In chiave spirituale essa è colei che produce il seme umano, durante l’unione ( Yichud ) sessuale.
Essa può generare nuova vita su questo piano, come su di un piano spirituale più sottile.
Il suo colore è ambra, e la potenza reggente è Lucifero.

E’ Da’ath la transunstazione di Malkuth e della sua riflessione.

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